
Independence Day: Rigenerazione (fallita)
Independence Day non si può certo definire un capolavoro, eppure per molta gente (me compreso) resta un cult intramontabile. Dopotutto stiamo parlando di una delle massime espressioni del blockbuster anni ’90, capace di entrare di prepotenza nell’immaginario collettivo (famosissima la scena della distruzione della Casa Bianca) e lanciare Will Smith nell’Olimpo delle star. Una pellicola stupida e caciarona, ma divertente e memorabile. E che non aveva alcun bisogno di seguiti.
Invece ecco che, a 20 anni esatti da quel fatidico 1996, è spuntato fuori il secondo capitolo, dall’inconsueto sottotitolo Rigenerazione (sul serio, niente Il ritorno o La vendetta?). Fiutando l’odore di boiata fin dal giorno dell’annuncio, mi sono rifiutato di vederlo al cinema (a differenza del mio collega Mattia) e in seguito non ho mai sentito la necessità di recuperarlo. Almeno fino a qualche settimana fa, quando è stato trasmesso per la prima volta in tv e, vinto dalla curiosità, ho deciso di dargli una possibilità. Non l’avessi mai fatto!

Diretto nuovamente da Roland Emmerich, Independence Day: Rigenerazione si svolge due decenni dopo il lungometraggio originale, coerentemente con il tempo trascorso nel mondo reale. Solo che nella finzione cinematografica l’umanità non solo ha imparato a vivere in pace, ma ha anche sfruttato la tecnologia aliena, recuperata dopo la guerra con gli E.T., per potenziare la propria, creando super-velivoli, cannoni laser, scudi energetici e così via.
Purtroppo la felicità dura poco, perché un’altra astronave extraterrestre, molto più grande della precedente, arriva sulla Terra, di nuovo in occasione dei festeggiamenti del 4 luglio (a quanto pare gli alieni hanno una fissazione per questa data!). A quel punto vecchi e nuovi eroi dovranno unirsi per affrontare la fresca minaccia, che si rivelerà molto più forte del previsto e… blah blah… non serve un genio per capire come andrà a finire.

Se devo riassumere in una parola ciò che ho provato guardando Independence Day: Rigenerazione, quella parola è frustrazione. Perché sì, il film è brutto, eppure al suo interno le buone idee non mancano. L’avanzamento tecnologico di cui ho parlato prima (con tanto di base difensiva sulla Luna), la sottotrama della tribù africana, l’Area 51 trasformata in prigione per marziani, la mega-astronave con il proprio ecosistema, la Regina aliena (palesemente rubata da Aliens, ma vabbè), la civiltà extraterrestre rivale… sono tutte novità che espandono in maniera interessante la mitologia creata da Emmerich e Dean Devlin.

Peccato che ciò venga sprecato in un prodotto che pare realizzato in fretta e furia e senza particolare impegno. Tanto per cominciare, non fa molto per distinguersi dal primo film, anzi ne riprende spudoratamente le dinamiche (invasione, distruzione di città importanti, primo tentativo di riscossa fallimentare, scontro finale con tanto di sacrificio) e, giusto per non farsi mancare niente, pure le battute celebri. Ma questo è ancora il male minore.
Uno dei pregi dell’Independence Day originale è che si prendeva tutto il tempo necessario per presentare e sviluppare a dovere personaggi e situazioni. Al contrario, Rigenerazione ha un ritmo che definire indiavolato è poco. Il film è così impaziente di arrivare ai titoli di coda da liquidare in pochi secondi svolte narrative di una certa importanza, mentre ai protagonisti non viene dato abbastanza spazio per essere caratterizzati decentemente.

In breve, tutto è trattato con estrema superficialità. Volete sapere come una nave grossa un terzo della Terra sia arrivata sul pianeta senza farsi notare? Nessuno lo spiega. C’è bisogno di un nuovo presidente? In un battito di ciglia viene nominato successore un tipo di cui sappiamo poco o niente (non a caso interpretato da William “tizio-che-trovi-dappertutto-ma-di-cui-ti-sfugge-sempre-il-nome” Fitchner). Che dire poi della sottotrama dei ragazzini che spunta così a caso e non serve a un fico secco?

Ricordare che Emmerich ha avuto un ventennio per progettare questo sequel rende la faccenda ancora più imbarazzante. È come quando uno studente ha un sacco di tempo per preparare un compito, ma non fa che procrastinare e alla fine è costretto a fare tutto il giorno prima alla bell’e meglio. Che il risultato sarebbe stato disastroso era chiaro fin dall’annuncio che Will Smith non avrebbe preso parte al progetto, preferendogli Suicide Squad. E già quello non è un filmone, quindi fate voi.
Con il principe di Bel Air fuori dai giochi, del trio originale di protagonisti sono perciò rimasti solo Jeff Goldblum e Bill Pullman. Se il primo in fondo se la cava, facendo quello che gli riesce meglio (fare Jeff Goldblum), il secondo viene svuotato di tutto il carisma che aveva in passato e relegato all’ingrato ruolo del vecchio svalvolato che vede e sa tutto, ma non viene cagato di striscio da nessuno. L’ex presidente Whitmore meritava una fine migliore.

A sorpresa torna anche Brent Spiner (il Data di Star Trek: The Next Generation) nei panni del dottor Okun. Questo nonostante il personaggio fosse chiaramente morto nel film precedente (qui giustificano tutto con un coma)! E se in precedenza aveva solo un ruolo secondario, in Independence Day: Rigenerazione si vede crescere la propria importanza, sfortunatamente nella forma di un’insopportabile spalla comica (una delle tante, a onor del vero).

Tra le nuove leve abbiamo invece Jessie T. Usher nel ruolo del figliastro di Steve Hiller e Liam Hemsworth in quello della new entry Jake Morrison. Entrambi aspirano a diventare il nuovo Will Smith, ma il primo recita da cani (solo il doppiaggio italiano riesce a salvarlo un po’), mentre il fratello di Thor interpreta un personaggio la cui unica caratterizzazione è essere una testa calda. Non va meglio a Maika Monroe, un’attrice molto più a suo agio nel cinema indipendente e che infatti non brilla particolarmente come figlia di Whitmore.

Visto come stiamo messi, uno spererebbe che almeno il film intrattenga. In fondo di Emmerich si può dire tutto, ma non che non abbia il senso dello spettacolo. Invece anche questo latita. Non fraintendetemi, l’azione c’è ed è supportata da effetti speciali abbastanza convincenti, però è comunque sottotono. Un peccato, perché con la scusa che gli umani pilotano aerei “spaziali”, potevano venir fuori dei fantastici combattimenti alla Star Wars. Nemmeno le sequenze da disaster movie, il cavallo da battaglia del regista, lasciano il segno. Per dire, mezzo mondo viene spazzato via e l’impatto è comunque minore rispetto alle devastazioni del primo capitolo!

C’è altro da segnalare? Ah già, le continue e irritanti strizzate d’occhio al pubblico cinese, che purtroppo non si limitano alla presenza della superstar Angelababy: si va dalla pubblicità occulta di prodotti locali alle parole ruffiane nei confronti del Governo. Perché si sa, la Cina è il secondo mercato cinematografico più importante del mondo ed è sempre utile ingraziarsi il pubblico del posto. Ma alla fine tale opera di lecchinaggio ha funzionato? Non molto, considerato che Independence Day: Rigenerazione laggiù ha incassato appena 75 milioni di dollari, meno dei già modesti 103 domestici. Possibile che ai Cinesi piaccia più gustarsi un buon film che avere visibilità? Incredibile, pare proprio di sì.
Infine, come se non bastasse, il finale lascia la porta aperta (diciamo pure spalancata) a un obbligatorio terzo capitolo dalla possibilissima ambientazione spaziale. Solo che, alla luce del fallimento critico e commerciale del secondo, dubito fortemente che lo vedremo mai. E forse è meglio così.