Film

Inferno: lasciate ogne speranza voi ch’avete letto il libro

“Nel mezzo del cammin di nostra vita…”

Dopo Il codice da Vinci (2006), Angeli e demoni (2008) e il completo scavallamento de Il simbolo perduto, eccoci al cinema con Infernodopo sette lunghi anni di silenzio.

Tre film tratti dalla fortunata collana di best seller scritta da Dan Brown sull’esperto di simbologia Robert Langdon.

Mentre Inferno continua a sbancare al botteghino ecco una recensione fresca fresca… anzi calda calda. Come molti, anch’io sono fan delle saga letteraria. Pertanto sarà inevitabile che libro e film alla fine dell’articolo verranno messi a confronto, pur essendo due cose distinte.

Con ciò, non mi stancherò mai di dire che non sono uno di quelli che “se non mi fai il film uguale al libro m’incazzo come una bestia“. Son pienamente cosciente del fatto che:

1 – Per essere ultra fedeli al libro dovremmo aspettarci un film di minimo quattro ore (ergo improponibile);

2 – Il libro ha tempi e ritmi incalzanti, ma ben più dilatati tra dialoghi, descrizioni e narrazioni. In un film questo risulterebbe veramente pesante.

Ma cominciamo dal principio.

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La trama

Robert Langdon (il grande Tom Hanks) si risveglia in ospedale a Firenze con una ferita alla testa, visioni terrificanti e tre giorni di vuoto totale. Inseguito da una donna in divisa da carabiniere che vuole ucciderlo, riesce a fuggire con la dottoressa Sienna Brooks (Felicity Jones). Nelle tasche trova il primo indizio di una lunga serie: un puntatore che gli mostra un dipinto dell’Inferno di Dante eseguito da Botticelli. Cosa sta alla fine del percorso? Un virus pestilenziale, creato dallo squilibrato Bertrand Zobrist, in grado di risolvere il problema della sovrappopolazione mondiale.

Tra inseguimenti, enigmi e l’arte del Rinascimento, veniamo immersi in un crogiolo libidinoso per chi, come me, adora il genere.

Ridere per non piangere113

Tra le maestose opere artistiche, nel corso del film è stato aggiunto un dipinto dell’Italia per niente piacevole. C’è una scena in cui Robert Langdon finge che Sienna sia sua nipote, gli viene risposto: “Professore, siamo in Italia può anche evitare di dire che è sua nipote!”, fra le righe “Siamo abituati ai Bunga Bunga di Arcore!”. In un’altra scena viene camuffata una scena del delitto e il killer dice, testuali parole: “Non è uno dei miei lavori migliori, ma per gli italiani andrà bene”. Non ridere è stato impossibile, ma ci sarebbe da piangere.

Come un bravo bambino che ha fatto i compiti, prima di andare al cinema questo weekend mi son rivisto i film precedenti. Ho trovato lo stampo registico di Ron Howard più maturo e sinceramente più efficace rispetto a Il codice da Vinci. Ma il ritmo incalzante che abbiamo visto in Angeli e demoni e che dà forma a un vero thriller, in Inferno è stato perso per strada. Se era pienamente presente nella prima parte è andato scemando nella seconda. Questo per dare spazio a un nuovo tema, mai affrontato nei film precedenti: l’amore.

1234527 - INFERNONei libri oltre a una liaison con la dottoressa Vittoria Vetra in Angeli e demoni, non è mai più stata affrontata la vita sentimentale di Robert Langdon. Men che mai, in Inferno, il nostro protagonista ha avuto una relazione con la direttrice dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Elisabeth Siskey. Eppure nel film la loro storia d’amore prende largamente spazio rubandolo a ciò che invece aveva di bello questa storia sulla carta.

Nonostante questo, devo ammettere di aver apprezzato moltissimo una profonda riflessione di Robert Langdon a proposito dei “portoni”, delle “soglie”, dei “confini” legandosi al viaggio che dovranno intraprendere per Istanbul verso la fine del film e a questa fantomatica storia andata male con Elisabeth Siskey. Ma ci tengo a precisare, che l’avrei apprezzata molto di più se fosse stata una parentesi di due minuti e soprattutto giustificata. Invece sembra buttata lì a caso, forse per creare contrasto con la storia d’amore di Zobrist.

!!!ATTENZIONE: SPOILER!!!

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Il confronto

Il folle Bertrand Zobrist, ossessionato dal tema scottante della sovrappopolazione, ha creato un virus in grado di ridurre drasticamente la popolazione mondiale. Ha nascosto la sacca contenente il virus nella Cisterna Basilica di Istanbul, luogo perfetto per la diffusione. E fin qui siam tutti d’accordo.

FINALE del LIBRO. Il bluff di Zobrist: la sacca viene ritrovata vuota. Il virus è stato già rilasciato, quindi a spasso per il mondo. Ma, attenzione! Non si tratta di un virus della peste! Bensì di un vettore virale capace di cambiare il DNA umano e rendere sterile un terzo della popolazione mondiale.

FINALE del FILM. Morte di Sienna Brooks a parte, la sacca viene trovata integra e (dopo interminabili lotte in acqua) sigillata per evitare il contagio. Sul virus non viene detto nulla, ma con tutta probabilità si tratta davvero della peste.

Come ho detto, la trasposizione cinematografica di un film non potrà mai essere fedele al libro. MA PORCA ZOZZA! Qui hanno stravolto completamente il finale senza un buon motivo!! E’ come far finire Titanic con la nave che schiva l’iceberg!

Caro David Koeppinferno-photo-4

Caro David Koepp, che firmi la sceneggiatura,

MA POR** P****NA! Nella tua carriera avrai anche regalato bei film come Jurassic Park, Mission: Impossible, Spider-Man, ecc… Ma stavolta, lasciatelo dire, hai fatto “una cagata pazzesca” (cit. Fantozzi). Ciò che aveva di figo il libro era proprio il finale, perché finiva male! Perché ti faceva rimanere di stucco! Perché di lasciava l’amaro in bocca! E’ questo il bello del gioco! Uno spettacolo/un film/un libro che quando finisce continua a farti riflettere. Invece tu hai risolto tutto con il solito lieto fine di merda… Il fatto che Dan Brown sostenga che, nonostante tutto, il film mantenga ugualmente lo spirito del libro, non vale niente! Sappiamo bene che è la bocca dei quattrini a parlare!

“E quindi uscimmo a riveder le stelle…”

Sono uscito dal cinema completamente deluso dal finale, umiliato dalle frecciatine rivolte all’Italia e scontento del lavoro di Hans Zimmer alla colonna sonora (totalmente assenti i suoi famosi temi musicali memorabili). Rimango dell’idea che, sebbene continuino ad osannare Inferno come il migliore della trilogia, non sia all’altezza di Angeli e demoni.

Federico Luciani

Nasce nel 1990. Sette anni più tardi s'innamora del teatro e da allora sono fidanzati ufficialmente. Laureato al DAMS di Bologna e impegnato nel teatro sociale da diverso tempo. Quando non scrive, divora film di ogni genere. Dylan Dog come eroe, Samuel Beckett come mentore, Woody Allen come esempio e Robin Williams come mito.
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