Chiaccherata amichevole con David Franzoni, vincitore del Premio Oscar per il copione de Il gladiatore a margine del Riviera International Film Festival.
Chi è.

Non potrete credere alle vostre orecchie, ma è così. Quegli scappati di casa del MacGuffin sono riusciti ad avvicinare e persino ad intervistare un premio Oscar.
No, nessun rapimento, tranquilli.
Semplicemente io, inviato dal supremo capo del sito, sono riuscito, come potete leggere qui, ad imbucarmi al primo Riviera International Film Festival, che si è svolto a Sestri Levante dal 26 al 30 aprile e che ha visto la partecipazione di diversi nomi importanti del cinema nostrano e non. Vi rimando all’intervista all’organizzatore per i ragguagli del caso su questo meraviglioso evento.
In mezzo a tutti questi ospiti non potevamo farci sfuggire un vero e proprio monumento: David Franzoni, sceneggiatore di film come Amistad di Steven Spielberg, King Arthur di Antoine Fuqua e soprattutto Il gladiatore di Ridley Scott.
Oltre a essere stato uno dei giurati della manifestazione, David ha deliziato i locali con uno stupendo “Ted Talk” sul ruolo dello sceneggiatore. Un dialogo molto informale e personale sulla sua esperienza come scrittore di copioni, che mi ha personalmente lasciato a bocca aperta. Proprio a margine di questo evento abbiamo avuto l’occasione di parlarci a quattrocchi.
Andiamo a vedere cosa ci ha raccontato.
Caro David, lasciami dire che è un onore averti qui con noi del MacGuffin come primo nostro ospite di caratura internazionale, come ti senti a riguardo? Ti stai godendo questi giorni?
Oh beh, grazie! È un grande piacere per me! (Fa la faccia perplessa quando gli dico il nome del sito ma vabbè). Assolutamente, questo posto è meraviglioso.
Cominciamo dalla base. Hai vinto un Oscar. Di conseguenza, sei certamente abituato a eventi “glamour” come un film festival. Vorrei chiederti, perché hai deciso di partecipare a questo festival dedicato ai registi under 35? Che differenze avverti tra una manifestazione come questa, che si svolge in una piccola cittadina di mare italiana, e quelle a cui sei più abituato?
Posso rispondere allo stesso modo a tutte le domande. La ragione principale per essere qua è che amo parlare con i giovani in generale e con i giovani creativi in particolar modo. Soprattutto amo confrontarmi con un contesto lontano da quello, solito a me, statunitense. Adoro questi festival. A mio avviso c’è maggior libertà di pensiero al di fuori di Hollywood. Inoltre, credo che festival come questi, benché si svolgano in città piccole, abbiano bisogno di supporto per crescere e mi sembrava giusto dare il mio contributo. Si sono raggruppate insieme, quindi, un bel po’ di motivazioni personali.
Abbiamo appena sentito il tuo workshop sul ruolo dello sceneggiatore, cosa volevi comunicare attraverso esso?

Volevo semplicemente far capire la mia esperienza. Non c’è un modo purtroppo per insegnare l’arte o la sceneggiatura in particolare. Non è matematica. Dovresti cercare di connetterti il più possibile con il tuo “bambino interiore”. Infatti, ebbi proprio l’idea de Il Gladiatore durante l’infanzia. Solo ciò che esperisci con i tuoi sensi può essere trasportato efficacemente su una sceneggiatura, quindi occorre farlo quanto possibile. Bisogna essere in grado di giustificare le parole scritte e il migliore modo per farlo è proprio connettere le parole con la tua esperienza. Passare ore e ore all’interno del Colosseo, ad esempio, è stato per me fondamentale quando scrissi Il gladiatore.
Un’altra cosa importante, secondo me, quando si scrive una sceneggiatura, è l’amore per essa. Innamorarti della tua idea è la cosa più importante. Ti devi divertire mentre lo fai e devi abbracciare la tua visione senza che nessuno ti forzi a fare altro. Per me è ancora uno spasso. Non riesco proprio a capire tutti quelli che hanno bisogno della sofferenza per sentirsi ispirati.
Passiamo a te. La tua carriera è culminata con l’uscita di Amistad e Il gladiatore. Nonostante ciò, la tua vita è iniziata come viaggiatore attorno al mondo. Come credi che questo fatto abbia influenzato il tuo lavoro?
Ha cambiato tutta la mia prospettiva di vita e di lavoro di conseguenza. Per questo motivo, ad esempio, mi hanno incaricato di scrivere diverse sceneggiature nei paesi islamici, un mondo di cui ho un ricordo fantastico. Infatti, ho viaggiato a lungo in quei paesi all’inizio degli anni ’70, quando i problemi odierni ancora non esistevano. Si poteva godere di quei luoghi meravigliosi, viaggiando in motocicletta e sentendoti veramente libero (tecnicamente ha detto facendo il cazzo che ti pare. ndr). Le persone erano fantastiche prima che tutta quella merda (sì, ha detto proprio shit) accadesse. Riuscire ad apprezzare quella cultura mi ha insegnato a rispettare le differenze tra popoli e sono diventato più aperto. Quello che vediamo oggi è effetto dei conflitti, non certo della cultura.
Andiamo a ciò che interessa sicuramente di più a tutti. Come si fa a scrivere una sceneggiatura da Oscar? Vedi, non mi dispiacerebbe fare lo stesso.
Come ho detto, prima di tutto devi essere pazzo della tua idea. Non seguire la merda degli altri e, soprattutto, non pensare a una cosa a seconda di quanto può farti guadagnare.
Preoccupati solo di ciò che hai in mente. La cosa più importante a cui devi pensare è la psicologia del tuo protagonista, che deve essere reale e vera, perché le persone a cui ti rivolgi devono sentirlo vicino. Lo sviluppo di essa dev’essere il centro attorno al quale costruisci tutto il resto.
Una volta che hai scritto la prima bozza riguarda tutto una prima volta.
Non toccare gli elementi della storia che ti fanno innamorare, per quanto tu possa avere l’impressione che possano non essere capiti. Tutto il resto, invece, sarà la “matematica” della tua storia ed è ciò su cui devi lavorare maggiormente, perché è la base oggettiva su cui si regge la parte invece più emotiva.
Dopodiché, fai una seconda revisione, ancora più attenta. L’affetto per il personaggio non deve mai venire meno. Ad esempio, ne Il Gladiatore il divertimento non sta nel vedere se un gladiatore riesce ad avere la sua vendetta, ma nello scoprire se Massimo riesce a trovare sé stesso e la sua strada.
In tutto ciò non smettere mai di essere critico e non essere mai soddisfatto del tuo lavoro.

Quando hai realizzato che i tuoi due capolavori erano destinati a diventare tali?
Ad essere onesti, ritengo che Amistad non sia stato apprezzato quanto meritava, almeno appena uscito. La gente non ha capito cosa Steven stava cercando di comunicare. La sua visione non è stata diretta come credevamo. Il film si è comunque ritagliato un suo posticino nella storia del cinema. Per quanto riguarda Il gladiatore invece, non appena ho visto le primissime riprese ho realizzato che quella roba sarebbe stata out of control!! Una volta facemmo un meeting con gli addetti alla post produzione che stavano discutendo alcune noiosissime modifiche. A un certo punto mi sono rotto e gli ho semplicemente detto: “Sentite, potete fare uscire questa roba anche ora, cazzo. Pure senza colonna sonora sarebbe una bomba!”.
Secondo te qual è la strada che devono perseguire i giovani registi, produttori e sceneggiatori là fuori?
Ovviamente posso dire maggiormente la mia sulla sceneggiatura in particolare. Il messaggio di fondo, però, è sempre lo stesso: se questo è ciò che ami fare, devi sforzarti di trovare tutti i modi possibili per arrivarci. Così facendo, in qualche maniera riuscirai a farlo. Sembra retorica ma non lo è. Se vuoi fare lo sceneggiatore, chiuditi in una stanza buia finché non tiri fuori un copione come si deve. Se vuoi fare il produttore, vai là fuori e non smettere mai di cercare contatti e apprendere. Approfittate anche delle possibilità dei nuovi media e mettete le mani su ogni produzione low budget che trovate per imparare.
Grazie infinite Mr. Franzoni.
E niente, per concludere tutto mi sono concesso una foto con lui, sentendomi chiedere: What the fuck of smartphone do you have?
P.S. è un Huawei.