
Invictus – Io sono il capitano della mia anima
Con Invictus Clint Eastwood ci porta in Sudafrica per raccontare il rugby e l’apartheid.
È il 1995. In Sudafrica è appena caduto il regno dell’apartheid, Nelson Mandela è diventato presidente – il primo presidente nero – dopo quasi trent’anni di prigione e il suo primo impegno è quello di ristabilire la fiducia e il rispetto tra bianchi e neri, nel nome di uno Stato più grande. Per fare questo, Madiba decide di fare leva sulla locale squadra di rugby, gli Springboks, simbolo degli afrikaners durante l’apartheid e per questo motivo disprezzati dai compatrioti neri. Non a caso la squadra è composta da quattordici atleti bianchi ed uno solo nero, osannato dalla popolazione di colore.
Mandela mantiene la maglia verde-oro della squadra e la usa per costruire la famosa “squadra arcobaleno”. Grazie ai suoi brillanti discorsi di ispirazione, e grazie al rapporto con il capitano Pienaard, le sorti della squadra saranno drasticamente ribaltate. Mandela riesce infatti ad unire l’intera nazione attorno al team sudafricano, sfruttando l’attenzione mediatica del Rugby World Cup (disputata quell’anno proprio in Sudafrica) e mostrando come l’integrazione possa cominciare anche dallo sport. Il sostegno morale che nascerà nella nazione in favore dei Bocks, li porterà nella finale di campionato contro gli All Blacks.
Clint Eastwood porta in scena con Invictus – L’invincibile un dramma storico reale, ispirato ai fatti raccontanti nel libro di John Carlin Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game That Made a Nation. Il regista non si fa sviare dalle personali convinzioni repubblicane e si sofferma invece sul filo conduttore di tutto il suo lavoro di cineasta: l’unione di due diversità. Chi ha visto Gran Torino sa di cosa sto parlando, così come per American Sniper e per tanti altri suoi film. C’è, nel lavoro di Eastwood in generale e qui in Invictus, la risposta alla domanda se sia possibile unificare due ideali opposti. Che siano vietnamiti e americani, bianchi e neri, soldati e reduci, Clint Eastwood trova sempre possibile questa occasione di incontro.
E non importa se l’unione nasce da un calcolo politico (Mandela, prima di appassionarsi di cuore al gioco, lo usa come fine del suo programma amministrativo), quello che conta sono gli eventi che ne scaturiscono. Una vittoria sul campo, un incontro di menti altrimenti distanti. Invictus è un bel film perché, oltre a raccontare una bella storia, suscita sentimenti attraverso momenti che non sono mai stucchevoli. I discorsi di Madiba, interpretato da un Morgan Freeman perfetto per la parte, sono veri; lo stupore di Pienaard (Matt Damon, biondo e vitale nel ruolo di rugbista) durante i confronti con il Presidente è sincero, si distingue nei suoi occhi che sta sviluppando una consapevolezza nuova del suo ruolo.
Invictus potrebbe non essere il titolo più eccelso nella filmografia di Eastwood, di certo ha prodotto film più importanti, ma è sicuramente un bel film. Un film che tiene incollati alla sedia nonostante la durata, merito della partita finale al cardiopalma, e che riesce a conquistare il pubblico di ogni genere. Non solo grazie alla forza della vicenda raccontata, ma anche grazie alla presenza di attori che, con una mimesi incredibile, diventano fisicamente i protagonisti di un pezzetto di storia.