
Io ti salverò: se Hitchcock si sdraia sul lettino di Freud
Io ti salverò (1945) ovvero una traduzione che può far pensare al polpettone sentimentale anche perché si discosta decisamente dal titolo originale, Spellbound (letteralmente: incantato, ammaliato) ma che ha una sua raison d’être, come vi spiegherò in seguito.
Vi anticipo che questo non è il classico prodotto hitchcockiano: il giallo e la tensione ci sono, ma il punto focale è la mente umana e i suoi complessi meccanismi.
Ah, è anche un rarissimo esempio che stravolge l’assioma tale per cui “il libro è meglio del film”: giuro che il romanzo su cui si basa (con molte libertà) La casa del dottor Edwardes non è niente di che, anche se offre alcuni spunti interessanti.
Ovviamente anche questo film mi è stato consigliato da mia madre.
Costanza Petersen/Ingrid Bergman è una giovane psicanalista totalmente dedita al suo lavoro, che svolge alla clinica Villa Verde, diretta dal dottor Murchison/Leo G. Carrol, il quale, a causa di un esaurimento nervoso, sta per andare in pensione.
A sostituirlo sarà Antonio Edwardes/Gregory Peck, bello e pieno di talento: il suo fascino riesce a scardinare le resistenze di Costanza e a farla innamorare, ricambiata, di lui.
Il dottor Edwardes è però, per usare un eufemismo, un tantino singolare: ha strane fobie e, come presto scopre Costanza, soffre di amnesia. In effetti, giusto per aggungere un po’ di pepe, Edwardes non è altri che John Ballantyne, paziente del vero dottore, di cui è stato ritrovato il cadavere.
I sospetti ricadono ovviamente su John, convinto lui stesso di essere colpevole, e Costanza dovrà fare di tutto per dimostrarne l’innocenza.
Ah, il caro Hitch… In Io ti salverò non si è risparmiato: bisticci con il leggendario produttore David O. Selznick, Salvador Dalì come scenografo per la parte centrale del sogno di John e due stelle del calibro di Ingrid Bergman e Gregory Peck.
Se Gregory Peck è bellissimo e dal perenne sguardo allucinato, tormentato da una domanda dal peso enorme, ovvero: «Chi sono?», la cui mancanza di risposta è essenza stessa del dramma, la vera protagonista è lei, super Ingrid.
Analizzando la traduzione letterale del titolo originale, “ammaliata”, potremmo rimanerne fuorviati: perché sì, Costanza è effettivamente ammaliata dal nuovo direttore della clinica (dalle torto – l’età media del resto del personale rasenta il secolo) ma solitamente diamo al termine un accezione negativa, nel senso che ci figuriamo una totale perdita di giudizio.
Non potremmo essere più lontani di così: se è vero che l’amore fa crollare la torre d’avorio e di studio in cui la protagonista si è volontariamente chiusa, di certo non le fa perdere la testa, anzi, fa emergere doti investigative che non avremmo sospettato in lei.
Il tutto in nome di quell’Io ti salverò che noi crocerossine sentimentali esibiamo quando ci troviamo di fronte a casi umani che rifiutiamo di riconoscere come tali: lei almeno deve tirar fuori dai guai Gregory Peck, noi che scusa abbiamo?
Costanza però non si vota a una irrazionale missione salvifica, anzi, si avvale dello strumento più concreto che possegga, ovvero il suo lavoro di psicanalista: fruga nella mente dell’amato, tenendo sempre presente che egli possa effettivamente essere colpevole.
Deve dimostrare a una Corte il contrario, senza lacrime e scene madri ma con dati e fatti: in questo è una donna moderna, che lavora in mezzo agli uomini (siamo negli anni ’40, eh!) e non ne è affatto spaventata.
Grazie Hitch per la fiducia che ci dai.
Io ti salverò è probabilmente uno dei film meno celebri del Maestro del brivido, ma possiamo dire che sia un giro di boa per lo stile del regista; la protagonista femminile che si addossa l’onere di proteggere l’amato, il metodo psicanalitico per trovare il colpevole, l’interesse per i complicati, e spesso contraddittori, processi mentali: tutti elementi che ritroviamo nell’Hitchcock successivo e più apprezzato.
Un titolo che merita una riscoperta. E se lo dice mia madre potete fidarvi.