Film

Ip Man: come propinare le arti marziali a una donna

Voi dite che esistono donne che guardano film di arti marziali? Intendo, di propria specifica e dichiarata volontà? Senza esservi costrette dal proprio uomo-oggetto/fidanzato-marito ormai stanco di vedere la Kidman che salva fattorie in Australia? Non per mettermi a fare la gallina dalle uova sessiste, ma pare che le donne che scoprono Ip Man grazie a un sincero interesse siano talmente rare da confondersi ormai con gli uomini. L’ultima che lo ha visto, per l’appunto, aveva i baffi. Si trattava di me, ovviamente.

Tutta colpa del mercato dei film di arti marziali, i cui contenuti donna-oriented in genere si fanno assai desiderare. Veri fichi che battono falsi fichi nel corso di lunghe peripezie con l’obiettivo di stabilire una volta per tutte come si strizza correttamente il tubetto del dentifricio e via dicendo, in un’infinita guerra tra pinnacoli.

Mi chiedete come lo so, dato che ho visto soltanto Ip Man?

A questo specifico proposito, voi che cosa preferite tra prosciutto, melone, carpaccio e pompelmo?

Volendo procedere con le informazioni di base, il protagonista di Ip Man si chiama Ip Man. Somiglia giusto un pizzico alla versione orientale di Don Camillo, ma non ci interessa (l’abbiamo anche rivisto di recente in Rogue One). Ci interessa giusto che il suo non sia un nome da supereroe obeso, e che pratichi un’arte conosciuta come Wing Chun.

Dal punto di vista di una femmina molto cinica, l’informazione di maggior interesse in tutto ciò è che la tecnica Wing Chun fu anticamente inventata da una donna: pochi dubbi, quindi, sul perché Ip ne sia l’unico esponente nella Foshan del 1935. Ma l’invasione delle truppe giapponesi è alle porte, densa di bellica crudezza e pronta a mangiucchiare le certezze dei detrattori.

Passiamo adesso al più importante fattore di interesse per creature diversamente maschili. Mi rendo conto che – a differenza delle pregiudizievoli infondatezze da me espresse sul genere – Ip Man ha in effetti una vera trama. Basata pure sull’autentica storia di Ip, fatto spesso gradito alle autentiche ragazze.

Qui, l’elemento storico-biografico riveste di genuinità anche l’indagine più superficiale. Se dunque da un lato abbiamo il cliché dell’eroe, umile e morigerato come un qualsiasi giustiziere orientale del segno della Vergine, dall’altro ogni scena di colluttazione è perfettamente giustificata ed inserita in un contesto storico avvincente. Lo spessore dei personaggi, non eccessivamente approfondito, non appare affatto inadeguato in questo contesto. Anzi, in quei 106 plausibili minuti ho voluto bene a Ip, ci ho tenuto davvero. A lui, a suo figlio, e pure alla moglie cinese inspiegabilmente alta e rossa.

Che colpa ne ho io, infine, se gli sceneggiatori compiono pessime scelte accennando solo brevemente alla prodiga inventrice del Wing Chun? Un’enorme, nerissima voragine da riempire. Tuttavia, nel vasto mare delle guerre fra pinnacoli, mi accontento di sapere che il “grande Ip” debba tutto a una misteriosaimpareggiabile maestra.

Chiara Leoni

Germoglio appena ventisettenne, vive infestando riviste, siti internet e cartelloni pubblicitari. Naturalmente propensa a turbare la quiete pubblica in modo sempre più variegato, oltre a posare come modella scrive articoli, disegna e, a discapito di innumerevoli marinai dispersi, canta.
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