L’ispettore Coliandro è uno spaccone, ma ci piace proprio per questo.
Era il 2004 quando i Manetti Bros., duo registico italiano autore del recente Ammore e malavita, decisero di mettere mano ad alcuni racconti di Lucarelli con protagonista un poliziotto… fuori dal comune. L’ispettore Marco Coliandro è il personaggio ideale per i Manetti, il cui stile pop si sposa perfettamente con la personalità atipica del poliziotto, permettendo di creare la prima serie tv italiana di genere crime/comico.
Questa mescolanza è possibile grazie ad un unico, semplicissimo fattore: Coliandro è un cazzone.
Coliandro è un poliziotto del Sud trasferito a Bologna che lavora inizialmente nella Squadra Mobile ma viene poi declassato di racconto in racconto, e di episodio in episodio, a causa della sua inettitudine. È razzista, ipocrita, donnaiolo, casinaro, un po’ tonto, ma fondamentalmente buono. È infarcito di un divertentissimo citazionismo da film d’azione, non per la volontà dei Manetti di ispirarsi a certi grandi cult cinematografici, ma perché Coliandro stesso vive la sua professione paragonandola sempre a personaggi come Clint Eastwood (vedi Ispettore Callaghan, suo grande mito), Bruce Willis, Bruce Lee e via dicendo. Ogni sua maldestra azione nasce sempre dall’intento di impersonare poliziotti cult, che però puntualmente finiscono per diventare immensi casini, nei quali il nostro Coliandro prende solo un sacco di botte senza capire quasi nulla di quello che succede.
Questa fortissima caratterizzazione, merito dell’ironica descrizione di Lucarelli, co-autore della serie, viene resa sullo schermo dai Bros. utilizzando gli stilemi tipici dei film d’azione: parolacce, donne e botte. Solo che Coliandro non è Callaghan che risolve misteri ammantato da un’aura di fascino e abilità uniche, è un ispettore che gode di quasi nessuna stima da parte dei colleghi perché fondamentalmente poco capace, ma pronto a prendersi a cuore un’indagine, purché a chiederglielo sia una bella donna. Questo mix, chiamiamolo hard boiled all’italiana, fu mal visto dalla rete nazionale che, nonostante la prima stagione già pronta, rimandò l’uscita di due anni, mandandola in onda nel 2006 in tarda serata. Temevano che i cazzotti e il linguaggio potessero “urtare” la sensibilità delicata degli spettatori medi di Rai2.
Incredibile ma vero, Coliandro dice “merda” e viene bannato, ma donnine nude e cinepanettoni vengono invece passati senza problemi. Ma andiamo avanti.
Vita di merda, città di merda, mestiere di merda…
Ecco che, nonostante i pareri avversi, avviene il miracolo. L’ispettore Coliandro diventa un cult. Proprio il suo formato particolare, inaspettatamente comico ma anche accattivante dal punto di vista del racconto giallo, ne fa un successo nazionale. Così, quando alla fine della quarta stagione la Rai blocca la messa in onda della successiva, i fan arrabbiatissimi mettono in moto un fenomenale mailbombing verso gli alti papaveri, riuscendo a fargli cambiare idea. Due episodi della quinta stagione vengono trasmessi e la sesta esce ufficialmente con il primo episodio il 13 ottobre di quest’anno.
Anche se non adatta certamente a tutti i palati, è pur sempre un’oretta di simpatico intrattenimento senza pensieri, L’ispettore Coliandro si mostra come una serie che non ha paura di divertire facendo leva proprio sui luoghi comuni del crime dal quale prende spunto. Callaghan è sveglio, Coliandro è tontolone, l’uno è un capace investigatore e l’altro uno sbadato poliziotto con una gran fortuna, Eastwood picchia duro e sfodera battute taglienti mentre Morelli (l’interprete di Coliandro) le busca sempre e cita i suoi film preferiti rimaneggiando di volta in volta le parole. Inoltre è la prima volta che nella tv nazionale sentiamo parlare un personaggio sostanzialmente razzista, sessista e pieno di preconcetti, anche se a fine episodio Coliandro finisce sempre per ricredersi, di solito grazie alle forme di una bella ragazza. Ecco che quindi sentiamo pronunciare cose come “involtini primavera” quando apostrofa i vicini di casa cinesi, o “scopabile” quando descrive una bella ragazza, o ancora “immigrato, pieno di soldi, per forza drogato” riferendosi a uno slavo.
Questa spregiudicatezza di Coliandro, che non ha paura di essere se stesso in tutta la sua naturale stronzaggine, ne fa un personaggio reale, umano e divertente. Chiunque può ritrovarsi nelle sue parole (anche se non necessariamente in quelle razziste), nei suoi commenti sulla sfiga, sulla vita di merda, sul lavoro che odia e che ama alternativamente. Persino sulle pizze surgelate che compra da “Kabir Bedi”, il pakistano che continua a scambiare volutamente per indiano che possiede un alimentari sotto casa sua.
Insomma, Coliandro è vero, in tutti i suoi pregi e difetti, e per questo ringraziamo Manetti & Lucarelli, oltre che lo scopabilissimo interprete Giampaolo Morelli, che hanno avuto il merito di buttarsi alle spalle tutto il vecchiume convenzionale delle serie tv italiane per dare vita a qualcosa di nuovo.
Per dirla come l’Ispettore: Minchia, è bestiale!