
It: Capitolo 2 – 36 milioni per qualche “Bubusettete!”
It: Capitolo 2 è uscito nelle sale, sarà riuscito il regista Muschietti a replicare il buon risultato del primo capitolo?
Qui trovate la nostra recensione della prima parte
Sarà un caso, ma i miei sensi di ragno questa volta avevano presagito un mefitico olezzo in vista di questo It: Capitolo 2, ma come insegnano le maestre d’asilo, mai giudicare i film dai trailer.
Cominciamo dalle (poche) cose che vanno in questo film: qualche scena ben diretta qua e là (la scena del Ponte dei Baci con un cameo molto wow, la signora Kersh, la scena nel labirinto degli specchi e un altro immancabile cameo di Voi-Sapete-King).
Stop.
Pochissima roba in confronto all’esageratissimo minutaggio di 2 ore e 49 minuti.
Muschietti stavolta ha toppato, signori: a distanza di due anni dal ben più riuscito It, così come capitava anche nella miniserie del 1990, la seconda parte non riesce a replicare la magia della prima, soprattutto a causa di una ripetitività frustrante, un cast più moscio che mai, cambiamenti ad minchiam rispetto al libro, una marea di jump-scares insostenibili e un’ironia veramente fuori luogo nel contesto di un (supposto) film dell’orrore. In generale la responsabilità maggiore per questo fallimento grava sulle spalle dello sceneggiatore Gary Dauberman, il cui cognome è in sé bastevole per spiegarvi ciò che penso del risultato finale.
Qui la giusta colonna sonora dopo questa battutona.
Ma andiamo per gradi:
Repetita stocazzo che iuvat
Il nostro espertissimo team di narratologi si è riunito e, dopo l’empio spettacolo, ha ricostruito la struttura narrativa di It: Capitolo 2 tramite un complessissimo algoritmo. Seguitemi:
Fase 1. Personaggio X arriva in un luogo per lui significativo
Fase 2. Flashback in cui da piccolo/a aveva visto It (con immancabile jump-scare)
Fase 3. Ritorno al presente in cui vede di nuovo It (sempre con immancabile jump-scare)
Ripetete questa formula per ben sei volte, conditela con qualche altro flashback il più delle volte inutile (ma che almeno riporta in scena i ragazzini, che meritano decisamente di più delle loro controparti adulte) e avrete l’87% del minutaggio di It: Capitolo 2. Capite che c’è qualcosa che non va.
Ma che cast…?
Dal giorno seguente all’annuncio della divisione di It in due parti (una coi Perdenti da ragazzi e una coi Perdenti da adulti) il webbe si è scatenato provando a ipotizzare quale sarebbe stato il cast di questo secondo episodio. Ricordiamo tutti i millemila rumors che volevano Cumberbatch nei panni di Bill, Chris Pratt in quelli di Ben, Idris Elba in quelli di Mike, Eddie Redmayne in quelli di Eddie, Robert Downey Junior in quelli di Ritchie, Marlon Brando in quelli di Stan ed Eleonora Duse in quelli della signora Kersh, ma al di là dell’ovvissima Jessica Chastain nei panni di Bev i rumors sono stati sonoramente smentiti, visto che la produzione si è affidata a un paio di volti noti come McAvoy e – appunto – la Chastain, mentre per il resto della cumpa si è scelto cinque sconosciuti o quasi.
Risultato tragico visto che per Ben hanno preferito un pentolone monoespressivo con gli addominali in vista; per Eddie un secco che ha il carisma di un sottobicchiere; per Ritchie uno che gliel’ammolla sanza infamia e sanza lode e Stan non mi ricordo nemmeno che faccia avesse.

L’horror non si fa coi jump-scares
…o almeno questo ci insegnano i grandi registi di questo nobile genere, maestri che hanno sempre puntato sull’atmosfera, sulla regia, sulla scrittura, sulla fotografia per trasmettere inquietudine, e non su “Bubusettete!” mostruosi, accompagnati da un’improvvisa impennata del volume per far saltare i gonzi sulle poltroncine. Questo non è cinema dell’orrore, eppure è tutto quello che It: Capitolo 2 si porta in dote: un’ininterrotta trafila di salti che alla lunga annoiano e risultano più prevedibili del risultato di un Real Madrid – Cittadella.

Perché stravolgi il libro?
Il romanzo di It è certamente il migliore della straordinaria carriera di Stephen King, il più complesso, il più sentito, il più iconico, il più terrificante, il più commovente, quello coi personaggi che più ti si imprimono dell’anima. Personaggi, intreccio, colpi di scena, scavo psicologico, atmosfera, creazione di un microcosmo horror-fantasy meraviglioso, ironia, nostalgia, splatter: tutto funziona in quel libro. E allora io mi chiedo: perché sputtanarlo? Posso capire i tagli, gli alleggerimenti, le semplificazioni, ma perché prendere qualcosa di ben scritto, coerente e funzionale e trasformarlo in una robetta sciapa, insapore, poco sensata e soprattutto noiosa?
Che diavolo è quel finale? Cosa ne è stato del povero rito di Chud?
Per mezzo film Bill Denbrough viene sfottuto perché non saprebbe scrivere i finali dei suoi libri, ma a quanto pare voleva essere una specie di autoaccusa che il buon Dauberman rivolge a se stesso, una confessione. Ti ascoltiamo Gary, dicci tutto: ci stai sussurrando che il tuo finale è una merda? Che la battaglia decisiva è meno degna di una qualsiasi puntata dei Power Rangers?
Beh, hai ragione.
Non voglio ridere!
Altra nota dolente è l’ironia. Per carità, c’è anche nel libro: le gag di Ritchie Tozier riempiono le pagine del monumentale romanzo di It, ma sul grande schermo, all’interno di un contesto che mi dovrebbe spaventare, a quel ritmo e – lo riconosciamo – con quell’efficacia comica, spezzano l’ansia e la tensione in modo deprimente. In sala si sentivano molte più persone sghignazzare, piuttosto che farsela sotto dalla fifa. Ok che stiamo parlando di un horror per il grande pubblico, che qualche momento che smorzi la suspance ci vuole, ma il troppo stroppia.
La domanda che emerge alla fine del film, spontanea come la puzzetta di un infante, è: ma perché splittare It in due parti? In questo modo? Perché non evitare la solita divisione tra parte infantile e parte adulta?
Perché nessuno dell’entourage di Muschietti non ha alzato il ditino per dirgli “Andres, Andres, ma lo capisci che stai a fare una cazzata? Il bello di It è proprio la compenetrazione tra il passato e il presente dei Perdenti, il confronto tra trauma infantile e suo riverbero nell’età adulta, l’alternanza temporale che aiuta la suspance, che ti tiene incollato alla pagina. Non ha senso che tu prima me li mostri bimbi e poi adulti. Sputtani tutto, Andres. Non è vero Stephen? Stephen?”.
Il problema?
Che lo zio Stephen in quel momento stava firmando per le royalties e in ogni caso non sarebbe stato a sentire.
Ci ha rimesso It, ci ha rimesso il mio cuoricino infranto, non ci avranno sicuramente rimesso gli incassi che il grande pubblico gonfierà a dismisura, andandosi a cibare dell’ennesimo fenomeno pop che poteva tramutarsi in grande cinema e invece si tramuterà solo in gadget per ragazzini sotto i 14 anni.
Quelli ai quali il film era vietato.
Gli unici che si sarebbero potuti spaventare di fronte a un film del genere.