
It Follows – quando l’orrore diventa una splendida metafora
Sono andato a vedere It Follows nella migliore condizione possibile per andare a vedere un horror: completamente al buio. Senza leggere nulla, senza vedere nulla, senza sentire nulla. Certo, già il titolo del film, traducibile come “Colui che segue“, qualche informazione me la dava, e poi bisognava essere ciechi e sordi e muti per non avvertire l’eccitazione che si è sparsa nell’aria alla schifosamente tardiva uscita del film in questo bizzarro Paese.
Ecco perché parole come “capolavoro” e “horror del decennio” mi erano già giunte più volte alle orecchie. Per farla breve: non ne sapevo un cazzo, ma le aspettative erano comunque altissime.
Insomma, entro in questa benedetta sala e visto che è vuota decido di fare l’italiano: mi siedo nei posti v.i.p. Oh dai, con tutti i soldi che gli mollo all’UCI dovrebbe esserci una poltrona con il mio nome placcato in oro. In ogni caso, appena comincia il film, iniziano le seghe mentali del tipo “ecco, ora passerò i primi 10 minuti ad ansiare nel timore che arrivi qualcuno a farmi sloggiare, e poi metteranno la mia foto all’ingresso del cinema con su scritto Bandito per sempre“.
Haddonfield, Illinois, 1978
Fortunatamente ci pensa It Follows a stroncare sul nascere le mie paranoie.
Perché la sequenza iniziale del film di David Robert Mitchell è CLA-MO-RO-SA.
Guardo il primo fotogramma e la mente va subito ad Halloween di Carpenter. Partono le musiche e ciao, il mio cuore si è già fermato. Sintetizzatori a manetta, melodie che non fungono semplicemente da sottofondo, ma che entrano da protagoniste nella scena, dettandone i tempi e regolandone la tensione. Musiche che terrorizzano, inquietano, ti stritolano lo stomaco.
Ho già la pelle d’oca.
In poco più di due minuti la regia di Mitchell e la colonna sonora dei Disasterpiece hanno riportato letteralmente in vita l’atmosfera dell’horror anni ’70. E se opere come The Conjuring si basano interamente su un citazionismo che a tratti sconfina nell’emulazione, It Follows si dimostra fin da subito un’opera totalmente su un altro livello. Perché invece di presentarsi come un omaggio ai classici dell’horror ne è un figlio diretto. Rispettoso ma allo stesso tempo emancipato, maturo, desideroso di imporsi sulla scena con le sue sole forze.
Un horror finalmente originale. Puro e quasi del tutto incontaminato dalle regole del nuovo millennio. Un’opera così squisitamente retro’ da lasciare il segno all’istante.
E allora lo capisco: sto per gustarmi un film della madonna.
Terrore sessualmente trasmissibile: il simbolismo al potere
Sì ok, ma la trama? Ora vi accenno il minimo indispensabile. Subito dopo la folgorante scena di apertura, il film entra nel vivo: la diciannovenne Jay, dopo essere uscita con una ragazzo e averci fatto le cosacce in macchina, si ritrova appiccicata addosso una sorta di terribile maledizione: ovunque andrà, sarà perseguitata da un’entità. Questo “It” potrà assumere l’aspetto di una persona qualsiasi, e comincerà a camminare dritta verso Jay, seguendola dovunque andrà. E se riuscirà a raggiungerla, beh, ciao ciao bella bionda.
Jay sarà così costretta a scappare in continuazione, guardandosi continuamente alle spalle, dormendo con un occhio solo. Perché non potrà mai allontanarsi abbastanza, prima o poi la “cosa” si ripresenterà. Sempre.
A meno che riesca a passare la maledizione ad un altra persona. E come? Beh… ehm, facendo sesso con un altro. In questo caso, la maledizione passerebbe ad un nuovo sventurato. Tuttavia, se quest’ultimo dovesse morire, l’entità tornerebbe a perseguitare Jay.
Lo so, detta così sembra una cazzata. Ma in realtà è proprio da questa rivelazione che It Follows si presenta veramente per quello che è: una gigantesca metafora. Di cosa? Eh, qua cominciano i cazzi. Perché Mitchell nel suo film mette dentro tanti di quei livelli di lettura che è davvero complesso farsi un’idea chiara sul vero significato del film. E probabilmente era proprio questo l’intento del regista. Chapeau.
Impossibile non pensare prima di tutto alle malattie veneree, ed in particolare all’AIDS. Ecco perché molti hanno visto in It Follows un film di denuncia contro “questi giovani di oggi che scopano come se non ci fosse un domani, senza cervello e senza protezioni”. Detta in maniera diplomatica: ritengo che un’interpretazione di questo tipo sia piuttosto superficiale. Non posso credere che il significato del film si possa riassumere in un avvilente “fate sesso protetto”.
Io credo che in It Follows ci sia in ballo qualcosa di molto di più grande.
Perché il sesso non è solo il modo per contrarre la maledizione, ma è anche l’unica via che consente a chi ne ha afflitto di liberarsene. Ecco allora che la tematica “sesso” merita di essere approfondita, o meglio, di essere contestualizzata.
Ora, essendo un film a libera interpretazione, ci tengo a precisare che ciò che segue è quello che credo di aver capito IO. In film di questo tipo, la verità assoluta non è contemplata.
Un horror a tinte Coming of age
It Follows non parla del sesso, ma della solitudine in cui vivono molti giovani che non riescono ad affrontare le difficoltà del passaggio dall’adolescenza alla maturità (genere che prende il nome di Coming of age).
In It Follows gli adulti non esistono, non sono contemplati. E quando vengono inquadrati sono inutili, fugaci, quasi come se fossimo nel mondo dei Peanuts. Questo perché, secondo Mitchell, spesso gli adulti non sono in grado di aiutare i propri figli in una fase così complessa e così personale della loro esistenza. Oppure, altra interpretazione, potrebbe anche esservi una critica nei confronti dell’incapacità dei genitori di accorgersi delle sofferenze dei figli, che si ritrovano soli e impauriti all’ombra di demoni che non riescono ad affrontare.
Il tema del sesso è solo lo specchietto per le allodole di un significato più profondo e complesso: la paura della vita. L’ingiustificata malinconia della giovinezza quando giovani lo si è ancora, e il rimpianto di una spensieratezza che con il passare degli anni appassisce sempre di più, sepolta dalle preoccupazioni, dalle indecisioni e dalle responsabilità.
Fateci caso: sono numerosi i dialoghi in cui si batte su questo tasto. Giovani che rimpiangono i sogni che avevano da ragazzini, e che ora sembrano non poter più permettersi. Giovani che a 21 anni si sentono già vecchi, e che osservano il loro futuro come si osservano le minacciose nubi di un temporale all’orizzonte. Perché i loro sogni si sono infranti contro una realtà ben più grigia e triste di quella che immaginavano.
In tutto questo, il sesso, indicato come causa scatenante della maledizione, potrebbe rappresentare la perdita dell’innocenza e della serenità, e di conseguenza l’arrivo delle sofferenze portate dalla maturità. In quest’ottica, l’It che insegue Jay sarebbe la rappresentazione di tutte quelle paure dalle quali non riusciamo a liberarci, e dalle quali continuiamo disperatamente a scappare, ben sapendo che difficilmente ci lasceranno in pace. Perché l’angoscia potrà essere allontanata per un periodo, ma mai eliminata del tutto.
E l’idea del sesso come unica possibile via di fuga dall’entità? Forse Mitchell vuole sottolineare l’insicurezza di questi ragazzi sperduti, la loro fragilità, e i loro tentativi di nascondere i loro scheletri nell’armadio piuttosto che affrontarli. Soluzioni fragili e temporanee, che raramente riescono a scacciare l’angoscia per sempre.
Della serie “scappare dalle tue paure ti renderà solo più stanco quando queste ti raggiungeranno“.
L’arte di terrorizzare
Ora, può essere che io mi stia facendo dei viaggi mentali inutili, ma It Follows merita comunque di essere ricordato come uno degli horror più interessanti di questo secolo.
It Follows non è solo un horror, ma è anche un grandissimo film. Perché solo i grandi film contengono così tanti strati interpretativi, riuscendo comunque ad intrattenere e ad appassionare per tutta la loro durate.
Perché tu puoi avere anche il miglior messaggio del mondo, ma se poi non lo sai mettere in scena va tutto a baldracche.
E allora qua devo ritornare alle caratteristiche tecniche del film, di cui ho già accennato parlando dell’incipit. E Mitchell si dimostra già un maestro. It Follows è un manuale perfetto di come suscitare un’inquietudine esasperata, un costante senso di agitazione che accompagna lo spettatore per tutta la durata. Grazie a trovate di regia da applausi, come le panoramiche a 360°, i controcampi e le inquadrature fisse sugli sfondi, It Follows ti porta letteralmente a cercare con gli occhi la minaccia che si avvicina. Che spesso si rileva essere solo un tizio che si faceva i suoi ascoltando la musica, ma intanto ti sei cagato addosso.
Per quanto riguarda la prova di Maika Monroe, chiamata ad interpretare il difficile ruolo della protagonista, non si può far altro che applaudire una performance da vera Scream queen anni ’70. Bravissima e, finalmente, non così schifosamente bella da apparire inverosimile. Perché dai, io non ne posso più di horror in cui ogni maledetto membro del cast sembra uscito da Jersey Shore. Basta.
Jay e i suoi amici invece sono credibili perché verosimili, sia nei comportamenti che nell’aspetto. Non c’è la super gnocca da copertina, non c’è il palestrato mascellone. Solo ragazzi normali, alle prese con un problema che non conoscono e che non sanno come affrontare. Ecco, diciamo che l’immedesimazione in questi termini riesce un pelino più facile.
Capolavoro? Quasi
Insomma, stiamo parlando del film perfetto? Ovviamente no.
Se la prima ora di It Follows è quasi insostenibile dal punto di vista della tensione, nel corso del secondo tempo il ritmo del film cala leggermente. Errori e piccole sviste di scrittura si possono ritrovare qua e là nello script, e ad un certo punto ho avuto paura che Mitchell non avesse idea di come concludere la sua storia, o meglio, di come portarla alla conclusione che lui aveva già in mente. Ed il dubbio un pochino mi rimane ancora adesso, soprattutto se penso alle concessioni che il regista ha dovuto inserire per agevolare lo spettacolo e, di conseguenza, la commerciabilità del prodotto (vedi la scena della piscina). Insomma, un paio di volte mi sono ritrovato, a malincuore, a storcere il naso.
In ogni caso, mentre il film si avvia alla conclusione, il senso dell’opera diventa sempre più chiaro. NON farò spoiler ovviamente (anche perché non saprei nemmeno da dove cominciare), ma per chi ha capito lo spirito del film sarà facile prevedere di che tipologia sarà il finale.
Perché It Follows non poteva che concludersi così. Con un finale che subito ti lascia spiazzato, ma poi, mano a mano che sedimenta, si rivela in tutta la sua grandezza. Uno di quei finali che ti fanno venir voglia di tornare al cinema il giorno dopo per riguardare tutto il film da capo, in modo da poterlo comprendere meglio.
Dopo aver offerto allo spettatore tutte le tessere del puzzle, Mitchell spegne la luce, sguinzagliando le interpretazioni più svariate.
It Follows merita di essere visto non solo dagli amanti dell’horror, ma, come era già per Babadook, da tutti amanti del cinema.
Perché inquieta, terrorizza, stupisce, e fa emozionare. Perché è una gioia per gli occhi ed una gioia per le orecchie. Ma soprattutto, perché fa usare la testa.
E perché, per un motivo o per l’altro, non potrete dimenticarlo.
P.s. Ricordatevi di passare dalla pagina di Midnight Factory, la casa distribuzione che ha portato in italia alcuni degli horror migliori degli ultimi anni, come It Follows, Babadook e tanti altri!