
It – Quando la paura vera si concretizza nello spettatore
La novella di King, che assume i caratteri dell’epopea, venne trasportata in una miniserie TV nel 1990. Probabilmente nessuno si aspettava tale successo
Minchia
Non sono un amante dei film horror, né tantomeno solitamente li recensisco, ma se parliamo di It… minchia, non credo possa esimermi.
È difficile spiegare come questo film sia riuscito a entrare così potentemente nell’immaginario collettivo di una generazione. Credo che chiedendo a qualunque individuo della generazione ’80/’90 di pensare a un film che si ricorda con particolare orrore, It probabilmente sarà una risposta base.
Ricordo alla perfezione quando entrò prepotentemente nel MIO immaginario. 2003, vacanza a Torino con i miei e un’altra famiglia di amici. Il loro figlioletto infame è appassionato di film horror e sfracassa gli zebedei alla madre perché gli compri una cassetta da guardare in albergo la sera. Passando tra i mercatini dell’usato il bastardo vede una locandina che lo attira, questa:

Mini serie Tv in due puntate trasmessa negli USA nel 1990, adattato dall’omonina novella di Stephen King, It si è classificato al primo posto, seguito da X-Files, nel sondaggio indetto nel 2004 dal magazine Radio Times per i programmi più spaventosi mandati in onda nella televisione americana.
Trascinato dal ragazzino pestifero e masochista, mi sono così sparato in due serate in albergo l’intera cassetta. Risultato? Non ho un ricordo molto vivido di Torino.
Non-ho-dormito-per-due-notti.
Recidivo
Passano gli anni, i miei cominciano a lasciarmi solo in casa anche la sera. Ho circa 16 anni ed è un giovedì sera qualunque. Il giorno dopo c’è scuola quindi non si esce, ma i miei hanno una cena a Putenburgo, quindi torneranno tardi. Preparo gelato e ogni tipo di schifezza e decido di riguardare It, con la spavalderia di chi si sente già svezzato.
Non vi dico la difficoltà nel prendere la decisione di avventurarmi nel buio corridoio che porta al bagno ed espletare le mie minzioni (giunte copiose non solo per la birra ingurgitata).
Vabbè insomma, credo abbiate capito il succo del discorso: ‘sto film fa letteralmente rabbrividire.
Abbiamo già parlato in questa sede di quanto il binomio Stephen King – Cinema abbia dato spesso ottimi risultati. Questo è uno dei film che conferma la tendenza.
Parliamo però di un prodotto più unico che raro, per i seguenti motivi:
- Si tratta di un adattamento di un mattonazzo da ben 1238 pagine, stampato con caratteri molto piccoli, che sono riusciti a buttare in soli 3 ore di pellicola. P.S. considerate che, per un numero simile di pagine, Peter Jackson ha usato tre film della stessa corposità.
- È un mini-serial TV, che per gli anni ’90 non era esattamente garanzia di qualità.
- Ha avuto talmente tanto successo, che nonostante fosse pensato per la TV, è stato prodotto su cassetta e venduto a schifo in tutto il mondo.
Il film è di grande qualità e non ti terrorizza semplicemente mostrando agguati improvvisi e buttando a caso sulla pellicola mostri per impressionare i bimbi e ragazzine, no no no!
Trama
Prima di andare avanti, un po’ di trama:
Il film si muove su due piani temporali che, con eccezione del prologo, vengono presentati in modo consecutivo e lineare. Questi due piani nel libro, invece, sono in costante sovrapposizione.
Inizialmente siamo negli anni ’60 in una cittadina del Maine, Derry. Qui un gruppo di ragazzini, che per motivi vari sono degli esclusi dalla società (l’ipocondriaco, lo scout sfigato, il ciccione, la donna, il nero, l’occhialuto e il balbuziente), subendo a varie riprese le angherie di un gruppo di bulli, si ritrova ad unirsi in una banda: La banda dei perdenti.
Parliamo di questa Derry. Secondo voi è la classica cittadina americana dove sembra che succedano sempre le stesse cose?
Mmmmm non proprio!
La quiete cittadina è rotta da una serie di misteriosi ed efferati omicidi di alcuni ragazzini. Le voci parlano di un misterioso ed inquietante pagliaccio.

Una della vittime è proprio George, il fratellino di uno dei ragazzi: Bill il balbuziente.
I nostri perdenti cominciano ad avere visioni di questo pagliaccio, che, nelle sue apparizioni, assume le forme delle loro paure più recondite.
Facendo qualche indagine, e qua il film un poco zoppica perché questo passaggio è descritto frettolosamente, il gruppo scopre che si trova di fronte a una creatura millenaria. Essa si sveglia ogni 30 anni per cibarsi di ragazzini. Utilizza i suoi poteri per stimolare la paura e apparecchiare al meglio i suoi “pasti”. È in grado non solo di trasformarsi, ma di plasmare la realtà e le menti che lo circondano per ottenere questo scopo.
Decidono quindi di unire le loro forze e di andare nelle fogne a sconfiggere It semplicemente utilizzando la loro unione, il loro coraggio e… un proiettile d’argento.
Trent’anni dopo, i 7 ragazzi, ormai uomini di un certo successo, vengono riconvocati da uno di loro, Mike, che è rimasto a Derry. Pare che It abbia nuovamente palesato la propria presenza.
Si ritroveranno a dover riaffrontare l’orrore dimenticato della loro infanzia. Ma saranno altrettanto forti di spirito questa volta?
Paura, paura sul serio
A descrivere la trama potrebbe non sembrare nulla di speciale.
It riesce invece a trasportare perfettamente su pellicola quella che io chiamo la paura originale, la paura vera: quella scaturita dalla grettezza umana che si nasconde dietro all’apparente normalità.
Sarebbe troppo facile, però, associare questa metafora al pagliaccio in sé come simbolo di allegria che nasconde un terribile mostro.
King, e il serial di conseguenza, mostrano come questa entità millenaria si sia come impossessata della città. I cittadini di Derry vengono mostrati come omertose entità al servizio dei bisogni del mostro. Tutta la normalità che circonda i sette perdenti non è altro che una facciata per nascondere il male umano, il menefreghismo, l’egoismo che portano l’uomo ad escludere l’altro.
La ragione di tutto ciò è data dal soprannaturale, ma nel mondo reale è un germe che infetta di natura le nostre esistenze.
I sette del club dei perdenti sconfiggono It perché, reietti dalla società individualista, fanno gruppo contro il male che governa le nostre azioni.
Questa chiave di lettura è ben resa su pellicola dal regista T.L. Wallace. Egli non si dimentica comunque di farci accapponare la pelle quanto il libro. Attraverso la musica, i movimenti di camera, ci trasporta nelle paure di tutte le vittime di It.
Cosa c’è di più spaventoso della morte in sé, infatti? Il fronteggiare qualcosa che va oltre le tue possibilità. Qualcosa che appartiene solo ai tuoi peggiori incubi, che non puoi sconfiggere fisicamente. Puoi riuscire solo affrontando le tue paure e i muri che ci separano dagli altri.
L’entità agisce in modo subdolo sui ragazzini, facendo in modo di regalare loro una vita di successi, per permettere di dimenticare l’orrore vissuto da piccoli, disunirsi, perdere il coraggio della loro infanzia ed essere di nuovo vulnerabili.
Nel momento in cui, dopo 30 anni di vita soddisfacente, almeno nell’apparenza, si troveranno di fronte a tutto ciò potranno di nuovo trovare la forza interiore che avevano tirato fuori allora?
Perché è un buon adattamento?
Il film funziona perché riprende alla grande la magnifica intuizione narrativa e tematica di King.
Naturalmente trasportando un’opera del genere in 3 ore di film, qualcosa si perde. Alcune parti paiono un po’ frettolose e non ben sciorinate, soprattutto il finale.
Parliamo comunque di un film che fa ampiamente il suo dovere e non scontenta i fan del libro.
Insomma, paura fa paura…
Ora scusate, faccio un salto in bagno.
Dov’è la torcia??
Se gli horror sono la vostra passione, fate un salto dai nostri amici di Film esageratamente da paura!