
Jason Bourne: una minestra riscaldata
“Adesso che credevo di esserne uscito, mi trascinano di nuovo dentro!”
Sono sempre scettico quando riesumano un personaggio parecchi anni dopo la sua ultima avventura. La storia in effetti è dalla mia parte: Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, John Rambo, Rocky Balboa. E ora è il turno della spia creata da Robert Ludlum: Jason Bourne. Con un quarantaseienne Matt Damon che prende a cazzotti tutto e tutti.
C’è da dire che sono sempre stato un fan degli intrighi della spia che ha perso la memoria, andandomi pure a vedere il carino ma dimenticabilissimo The Bourne Legacy. Perciò a sto giro ero parecchio gasato, lo ammetto: di nuovo Matt Damon, di nuovo Greengrass alla regia, di nuovo tutta la vecchia squadra (come il buon Matt aveva auspicato prima dell’uscita del film).
Perciò armato di buone speranze sono andato al cinema, accompagnato da un vero fan della serie, che avrebbe potuto recitarmi i primi tre film a memoria: mio padre. Sapevo che il suo insindacabile giudizio si sarebbe abbattuto su Jason Bourne, ma ci arriviamo.
Comunque, io ero gasato ma mi aspettavo esattamente un film alla Jason Bourne, cioè, immaginavo benissimo come sarebbe potuto essere. E? Ho ottenuto esattamente un film alla Jason Bourne. Bene mi direte voi, di che ti lamenti? Mi lamento perché è purtroppo questo il suo più grande difetto.
Devo ammetterlo, non so se è un problema che vale per tutti o solo per chi ha visto gli altri film della saga, ma Jason Bourne è un po’ come mangiare per una settimana lo stesso piatto: è inevitabile stufarsi. Sembra che al sesto giorno ti possa ancora piacere, ma al settimo senti che c’è bisogno di cambiare, è fisiologico.

La storia segue infatti gli stessi schemi già visti e rivisti in The Bourne Supremacy e The Bourne Ultimatum, con l’aggravante che a sto giro quel povero cristo di Bourne si stava facendo i suoi, perché della CIA e del suo mondo non vuole più nemmeno sentirne parlare. Ma il suo passato ritorna, travolgendolo come un fiume in piena, e lui non può far altro che attivare tutto quello che i programmi Blackbriar e Treadstone gli hanno inculcato nel cervello.
Il pretesto che dà inizio agli eventi è credibile, molto Hollywood ma credibile, però lascia la sensazione che sia comunque un modo per agitare il salvadanaio sperando escano ancora delle monete. Tutto si muove esattamente come nei film passati, solo che Bourne è più vittima degli eventi che artefice del suo destino, e noi spettatori sentiamo troppo che la sua storia è già stata raccontata, che quello che c’era da dire l’avevano detto, non serviva aggiungere altro.
Jason Bourne sa di già visto, è così. Il che potrebbe necessariamente non essere un male, ma risulta comunque una spy-story che ricalca i suoi predecessori proponendo una storia uguale ma diversa. Nuovi indizi sul passato di Bourne, lui che va in giro per il mondo, tutti che cercano di accopparlo eccetera eccetera. Magari se il film si fosse chiamato in un altro modo poteva anche destare stupore, ma così no, così sa davvero troppo di minestra riscaldata.

Quindi perché quelle quelle 3 stelle su 5 mi chiederete voi? Perché nonostante tutto Jason Bourne è un film godibile, che intrattiene. Il che vuol dire sia che se non andate a vederlo non vi cambia la vita, sia che se andate a vederlo non buttate proprio due ore e rotti del vostro tempo.
Intanto perché Jason Bourne è una pellicola attuale, pronta a sbatterti in faccia quanto gli Stati Uniti vogliano avere occhi e orecchie ovunque, pure mentre guardi i pornazzi su internet. Anzi, soprattutto mentre guardi i pornazzi su internet. Per farlo basta mettere lo Steve Jobs/Mark Zuckerberg di turno così i giovani si immedesimano, capendo che i loro smartphone sono un dispositivo per il controllo delle masse. Non ancora, ma come suggerisce qualcuno ci arriveremo. Un attimo che mi faccio un selfie e torno.
Dicevamo, Jason Bourne è godibile anche per gli interpreti. A Matt Damon basta una faccia scura e l’espressione corrucciata, non gli serve altro. La storia che diceva solo una trentina di battute mi è parsa una cagata, anche perché all’inizio ho provato a contarle ma stavano già diventando troppe quasi subito. Parla poco, vero, ma parla. Però siamo sempre lì: c’è poca introspezione del personaggio. Le cose gli succedono e faccia corrucciata, si va poco oltre.

Tommy Lee Jones è sempre Tommy Lee Jones, ergo fantastico. Un direttore della CIA che rappresenta il male dei servizi segreti statunitensi, pronto a tutto pur di proteggere un ideale distorto di libertà. Anche se ha due Michael Kors sotto gli occhi è sempre fenomenale. Pure Vincent Cassel dai, la sua faccia da schiaffi è utile allo scopo.
E poi c’è lei: Alicia Vikander. Fresca vincitrice dell’Oscar per quella paraculata di The Danish Girl, riesce a farti innamorare al primo sguardo. Fassbender non è mica scemo. Credibile nel ruolo di analista informatica della CIA, ha una presenza magnetica. Sarà anche perché è fastidiosamente bella nella sua semplicità, ma sono dettagli.

Dai, mi sono tenuto il meglio alla fine, perché la vera star di Jason Bourne è quello di Vinyl Paul Greengrass. Le 3 stellette sono decisamente per lui. Il regista britannico è un maestro dietro la macchina da presa. Il suo stile è ben delineato, con questi zoom sulle varie parti del corpo che fanno molto documentario. Ma quando si tratta di scene d’azione ecco che Greengrass dimostra di essere ad un livello superiore. Sequenze adrenaliniche, sporche, scattanti, senza un attimo di respiro, quasi al punto da farti perdere il filo, ma così facendo ti immergono nel film, facendoti sentire sulla pelle quello che sente Bourne. L’esatto opposto delle scene pulite dei fratelli Russo in Winter Soldier e Civil War per intenderci, ma ugualmente efficaci. Ecco diciamo che l’ultima sequenza a Las Vegas sarebbe stata meglio in un film della Marvel, ma possiamo abbuonarla dai.
Alla fine resta comunque l’amaro in bocca, quel brutto retrogusto che Jason Bourne sia solo l’ennesimo prodotto di una serie che ha già fatto il suo tempo. Intrattiene, nulla di più.
Ah, giusto, l’insindacabile giudizio di mio padre: “Che cagata. Pensano davvero che sia così facile fare breccia in una rete di telecamere? Che poi è un film, quindi ci sta. Però è una cagata”.
Provocazioni a parte vi prego, lasciate stare Jason Bourne, siamo a posto così.