
Jesus Christ Superstar, quando Gerusalemme era più simile a Woodstock
Le vetrine sono piene di coniglietti e uova di cioccolata, imperversano palme e rami d’ulivo: in attesa dell’evento della settimana, ovvero la Via Crucis in tv (di cui nonna mi comunica continuamente gli updates, nonostante le risponda che la vita è tutta una camminata verso il Golgota – senza resurrezione, peraltro), ho deciso di rispondere blasfemamente all’edificante maratona pasquale con il mio musical preferito: Jesus Christ Superstar.
Momento autobiografia: mia madre (non la citavo da un po’!), da buona hippy qual è, ha da sempre un culto per questo film, culto condiviso con mio padre; credo sia uno dei pilastri del loro matrimonio. Intorno ai quattordici anni, ritenuta matura a sufficienza per entrare nella setta, fui sottoposta alla visione della pellicola, con tanto di genitori gasatissimi e canterini.
Oltre a chiedermi se fosse possibile divorziare da figlia, dovetti riconoscere che la Jesusmania (cit.) si era insinuata in me, tanto da iniziare a vestirmi da figlia dei fiori (pessima idea) e a intonare i brani di continuo. E non ho mai più smesso…
Un gruppo di hippy arriva nel deserto con un pulmino e si prepara a mettere in scena un musical sugli ultimi sette giorni di Gesù.
La storia è raccontata dal punto di vista di Giuda/Carl Anderson che rimprovera a Gesù/Ted Neeley di trascurare la loro missione perché troppo preso dalle premure degli apostoli e dalle moine di Maria Maddalena/Yvonne Elliman.
Il Nazareno è ormai diventato una celebrità e Giuda teme che l’eccessiva sovraesposizione del Maestro possa causare a tutti dei grossi problemi con i Romani, che controllano il Paese e che di certo non gradirebbero un Re dei Giudei, come la gente inizia a chiamare Cristo.
Le preoccupazione dell’apostolo sono condivise anche dalla casta sacerdotale, che sta perdendo di influenza sul popolo: Gesù è una minaccia per la nazione e quindi Caifa e Anna si accordano con Giuda per porre rimedio a questa situazione.
Jesus Christ Superstar è un film del 1973 diretto da Norman Jewison e tratto dall’omonima opera rock di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber.
Ai tempi si gridò allo scandalo: Gesù Cristo non fa miracoli, è un vanaglorioso non insensibile alle attenzioni delle donne e, scandalo ancora più grosso!, il personaggio verso cui va la comprensione dello spettatore è Giuda Iscariota, il Traditore.
Inoltre non si ebbero scrupoli nell’accostare il movimento hippy – che di certo con il suo messaggio di liberazione dei costumi non godeva del favore della Chiesa – alla storia di Cristo: comprensibile con quali riserve la placida Italia democristiana abbia accolto un film così sovversivo.
Di converso, Jesus Christ Superstar fu un successo di pubblico e critica, tanto da vincere il David di Donatello per il Miglior Film Straniero.
La musica: beh, in un musical ha una certa rilevanza. La colonna sonora di Jesus Christ Superstar è superba, alcuni brani sono degli autentici capolavori per sonorità e per intensità dei testi.
Oltre all’orecchiabilissimo Hosanna, Superstar, segnalo I Don’t Know How To Love Him, interpretato dalla splendida Yvonne Elliman, in cui Maria Maddalena esprime tutto il suo infelice amore per Cristo (con buona pace di Dan Brown) e Gethsemane (I Only Want to Say), in cui il Nazareno parla con il Padre Celeste e sì, non pare così contento di essere destinato alla crocifissione.
Il film è interamente cantato, a eccezione di due o tre battute, ma sono 108 minuti di canzoni bellissime, che ti entrano in testa per non uscirne più – sto scrivendo la recensione con la colonna sonora in sottofondo: la conosco talmente bene che potrei mettere in scena lo spettacolo da sola-.
Ma cosa sarebbe Jesus Christ Superstar senza Ted Neeley e Carl Anderson?
Niente, tanto che il buon vecchio Ted ancora interpreta Gesù a teatro, nonostante abbia ormai circa il triplo degli anni del suo personaggio – e ancora le sue corde vocali reggono, lasciatelo dire ad una stronza che è andata a vedere il musical a teatro tre volte -.
Il Neeley ventottenne è un concentrato di voce fantastica, pathos e dubbi esistenziali: sì, perché il suo è un Gesù terreno e sfiduciato, che non muore dalla voglia di essere appeso ad una croce, come il catechismo ci insegna.
Un agnello di Dio recalcitrante, “umano, troppo umano”. E per questo molto più efficace e vicino allo spettatore.
Indimenticabile la performance della sua controparte, il cantante e attore afroamericano Carl Anderson: dotato di una potente voce tenorile e di occhi grandi ed espressivi, su cui il regista gioca molto per gli scambi di sguardi tra lui e il Maestro, è un Giuda tormentato, dilaniato tra l’ammirazione per Cristo e la delusione per il comportamento dello stesso.
Stupenda l’interpretazione del brano d’apertura, Heaven On Their Minds, in cui l’apostolo stigmatizza la condotta dei seguaci di Gesù, che lo considerano una specie di divo.
Vorrei analizzare tutti i personaggi ma questa recensione diventerebbe un papiro così lungo da farvi venire voglia di morire crocifissi anche voi: oltre alla già citata Yvonne Elliman, ottima anche la scelta dei personaggi “minori”, tra i quali Bob Bingham per Caifa e Barry Dennen nei panni di Pilato.
Notevole, a livello scenografico, l’accostamento di elementi antichi, quali le rovine di Avdat, in Israele, ad altri moderni, ad esempio i carri armati, l’abbigliamento anni ’70 e i souvenir nella scena di Gesù al Tempio.
Jesus Christ Superstar è un film da vedere assolutamente, che non può mancare nella carriera di un cinefilo che si definisca tale: è un musical, vero, ma è soprattutto la vera storia di un uomo. Per credenti e non.