Film

Jin-Roh: una versione brutale della fiaba di Cappuccetto Rosso

Nel 1986 Mamoru Oshii, regista giapponese di importanza indescrivibile, diede vita a quella che oggi conosciamo col nome di Kerberos Saga, una serie di narrazioni sviluppate attraverso vari media (manga, anime, lungometraggi, cortometraggi, radiodrammi, ecc…) che si incentrano sul corpo di forze speciali della polizia di Tokyo soprannominato appunto Kerberos. Jin-Roh ufficialmente è il terzo capitolo della saga, anche se a livello narrativo ne costituisce un prequel. Ma comunque sia questo lungometraggio animato per via di alcune sue peculiarità costituisce praticamente un’opera a sé stante.

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Tanto per cominciare Jin-Roh non è diretto da Oshii stesso, ma da un suo fido collaboratore, Hiroyuki Okiura. Inizialmente, tra l’altro, l’opera doveva essere un vero e proprio film live action, ma quando Oshii si trovò a doverlo sviluppare stava già lavorando a quel capolavoro di Ghost in the shell, e quindi optò per la virata verso il film d’animazione affidandolo ad Okiura, comunque sempre sotto la sua stretta supervisione.

Dire che Jin-Roh è fortemente politico è usare un eufemismo. Difatti l’opera è ambientata in una vera e propria ucronia in cui, intuitivamente, il Giappone ha perso la Seconda Guerra Mondiale, ma la Germania l’ha vinta. Per questo motivo il paese del Sol Levante vive in una sorta di dominio tedesco. Ciò ha provocato una serie di disordini e squilibri nella politica interna del paese e soprattutto a livello sociale che ha portato proprio alla creazione dell’unità speciale Kerberos nel tentativo di sedare i conflitti di quella che è di fatto una guerra civile tra la popolazione e le forze di polizia.

Come se queste premesse non fossero già abbastanza per pensare al peggio, bé, sappiate che l’unità Kerberos è composta da uomini addestrati a comportarsi come veri e propri cani dell’esercito. Quindi sì, tanto sangue e tanti spari. Ma non è Rambo.

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Oshii ha deciso di sviluppare la narrazione di Jin-Roh come se fosse una sorta di riscrittura della fiaba di Cappuccetto Rosso dei fratelli Grimm. L’intenzione è evidente fin dai primi minuti di pellicola, in quanto i terroristi che lottano contro le forze di polizia spesso utilizzano delle figure denominate appunto Cappuccetto Rosso. Queste altro non sono che delle ragazze (possibilmente minorenni) che trasportano pacchi bomba da far esplodere nei tempi e nei modi più opportuni.

Tutto l’intreccio è instillato sul tema del dilemma morale e su una serie di contrapposizioni che dovrebbero essere evidenti ma che invece sfumano col passare dei minuti. La domanda che si pone Oshii è una delle più antiche: chi sono i buoni?

mamoru oshii
Questo fotogramma è un capolavoro.

È questa una domanda con una risposta impossibile. Questo perché la controparte di Cappuccetto Rosso è costituita dal lupo, ovvero i membri dell’unità speciale e in particolar modo da Fuse, il protagonista e membro della Kerberos. Come dicevo sopra, questi sono uomini addestrati a comportarsi come un branco di lupi, sbranando tutto e privi di una morale.

Però a un certo punto il dilemma morale si insinua anche in un essere umano che dovrebbe esserne privo e Fuse ha un rimorso di coscienza nello sparare a una Cappuccetto Rosso, la quale quindi si fa esplodere. Questo evento tradisce in qualche modo l’umanità di Fuse, che spara a tutti gli obiettivi, ma quando si trova faccia a faccia con una ragazzina minorenne esita e non riesce a spararle.

Da questo punto in poi Jin-Roh diventa quasi un film di spionaggio in cui scopriamo che tutti sono manipolati da tutti. Perché anche la ragazza che Fuse – e anche noi – per tutta la durata del film crede essere la sorella della Cappuccetto Rosso dinamitarda – e con la quale il protagonista sviluppa un rapporto di affetto profondo – si rivela essere una pedina mossa da qualcuno che sta più in alto.

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Perciò in Jin-Roh non viviamo nella favola, in cui di fianco al lupo cattivo c’è Cappucetto Rosso, simbolo di purezza e innocenza. In Jin-Roh siamo di fronte alla cruda e fredda realtà, in cui è la stessa Cappuccetto Rosso ad essere sporca.

E quindi la risposta al dilemma morale è impossibile perché nell’universo di Mamoru Oshii i buoni non esistono: i membri della Kerberos non sono uomini travestiti da lupo, ma lupi travestiti da uomini. E nonostante sia evidentemente percepibile il fatto che Fuse senta di volersi allontanare dal branco, alla fine si ritroverà ad uccidere ancora, perché senza via di scampo da una realtà di odio e violenza che si contorce su se stessa senza fine e senza salvezza per nessuno.

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È evidente la volontà di Oshii di far riferimento alla situazione socio-politica del Giappone del Secondo dopoguerra, in particolare di quello degli anni ’60. Il clima che si respira è teso e invivibile come lo deve essere stato a quei tempi vivere nella patria nipponica. Questa sensazione è resa perfettamente dal crudo realismo – quasi Neorealista – del design e delle animazioni e dal filtro tendente al grigio e allo sporco che pervade ogni angolo di fotografia della pellicola.

In questo ambiente si muovono personaggi che non sorridono mai, e quando lo fanno rivelano un sorriso traditore. Oshii stava cercando di comunicarci la mancanza di prospettive e di ogni speranza per il futuro in un mondo che è governato da forze autoritarie e in cui la violenza è padrona suprema. E per questo motivo, anche nel finale, non c’è spazio per la redenzione.

Mario Vannoni

Un paesaggio in ombra e una luce calante che getta tenebra su una figura defilata. Un poco inutile descrivere chi o cosa sono io se poi ognuno di voi mi percepirà in modo diverso, non trovate?
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