Joker di Todd Phillips sta facendo parlare tantissimo di sé, principalmente in toni positivi, ma ci sono anche gli scontenti. Nel secondo caso le motivazioni più quotate mi paiono essere due: gli spettatori si sono trovati davanti a un film completamente diverso da quello che si aspettavano; gli spettatori sono in disaccordo con la morale del film. Ulteriori motivazioni nel muovere critiche alla pellicola denunciano una cosa soltanto: di cinema non capite un cazzo. Bacioni.
Vado a spiegarmi meglio. È perfettamente plausibile che, a chi si aspettava di vedere un cinecomic “canonico” (e vi prego, non scateniamo polemiche sterili), Joker abbia lasciato con un certo amaro in bocca, perché, al di là delle disquisizioni sul fatto che il film sia o meno un cinecomic, di sicuro non ne rispetta gli stilemi più tipici. Per intenderci: niente supereroi, niente combattimenti fichissimi, niente effetti speciali potenti e via dicendo.
Coloro che invece non hanno apprezzato il film per discordanza rispetto alla morale espressa, lo hanno fatto principalmente per un motivo: la presunta esaltazione e/o giustificazione della violenza. Bene, sappiate, voi soggetti moralmente integri, che oggi siete voi il mio obiettivo polemico. Per tutti gli altri, prendete pure i pop corn.
Nell’attesa, se voleste fare un ripassino sulla violenza, vi lascio questo mio articolo sulla violenza nel cinema di Refn. CA$H CA$H CA$H.
VI AVVISO CHE DA QUI IN POI SEGUIRANNO FIUMI DI SPOILER, QUINDI PIUTTOSTO DISERTATE, NON VOGLIO PESI SULLA COSCIENZA.
Partiamo con una premessa piuttosto generica: non è scritto da nessuna parte che io dietro un’opera debba leggerci l’autore. Cioè? L’opera ha vita propria, che è bene sia scissa da quella dell’autore in quanto, a mio modesto parere, un capolavoro diviene tale quando ad esso vengono applicati significati che trascendono la visione che l’autore ha della propria opera. E questo è in primo luogo inevitabile (vi sfido a dirmi con certezza cosa ne pensasse Dante della Commedia), in secondo luogo necessario, perché altrimenti la profondità di un’opera si ridurrebbe alla didascalica spiegazione del suo significato da parte dell’autore.
Detto ciò è doveroso aggiungere che non è necessariamente vero che un autore sia concorde con quanto mostra, il che influisce sul messaggio finale. Ad esempio: secondo voi Scorsese stava dalla parte di Jordan Belfort quando girava The Wolf of Wall Street? Ci sono vari dispositivi, anche apparentemente impercettibili, che un autore può decidere di utilizzare per prendere le distanze da quanto sta mostrando. Un altro esempio: Moravia ne Gli indifferenti si schiera a favore della borghesia romana? Eppure ne parla. Ci sono poi autori che prendono le distanze in modo palese, vedi Adam McKay nel suo ultimo Vice. Comunque sia, il succo resta lo stesso: l’autore non necessariamente si fa portatore della voce morale espressa dalla pellicola.
Ma addentriamoci nel caso specifico di Joker. La principale critica mossa al film è quella di esaltare la violenza o, addirittura, di giustificarla. Ma io credo che prima di fare un discorso del genere bisognerebbe rinfrescare alla memoria la differenza tra giustificazione e comprensione; e per farlo faremo riferimento a un caro vecchio amico: il dizionario. Giustificazione letteralmente significa: legittimazione di un comportamento, di un atto ecc. di per sé non giusti né corretti. Comprensione è un termine che ha ovviamente varie sfaccettature di significato, ma nel senso in cui lo stiamo intendendo noi significa: il comprendere l’animo e i sentimenti di una persona, rendendosi conto delle circostanze e dei motivi delle sue azioni.
Bene. Uno dei principali motivi per cui ho amato alla follia Joker è che è un film psicologico, non è un film su Joker, è un film su un uomo che diventa Joker. Il focus non è sulle efferatezze compiute dal criminale numero 1 di Gotham, ma sul capire il perché Arthur Fleck diventa l’incarnazione stessa di un problema inscritto all’interno della società. Quindi Todd Phillips ci sta spiegando quali sono le cause che hanno portato Arthur Fleck a diventare Joker: il che è ben diverso dal dire “poverino, non è colpa sua, è la società che è bastarda”.
Ciò è reso ancora più evidente dal fatto che per la maggior parte della pellicola il protagonista non veste i panni di Joker: lui non è Joker, lo diventa, ma quando lo diventa è già un’altra persona; e il film ci sta spiegando i motivi per cui diventa un’altra persona.
È poi bene non dimenticare che tutto il film è mediato dalla prospettiva di Arthur. Una prospettiva malata, alterata, psicotica e mentalmente deviata, che nella maggior parte dei casi ci mostra i fatti così come Arthur li vede, o li immagina. E quindi attenzione: ciò che dal suo occhio è visto positivamente, dal nostro potrebbe essere visto nella tonalità opposta. E il punto cruciale è proprio questo: tutto il film gioca sull’ambiguità del reale filtrata dall’occhio di Arthur. Ad esempio non sapremo mai se Thomas Wayne è o no suo padre. Ma quindi la prospettiva distorta del protagonista basta a darci la direzione morale del film?
Assolutamente no, cazzo. E questa tesi è rafforzata dal fatto che la violenza nel film non è mai, ma neanche per sbaglio, spettacolarizzata (cosa che a volte avviene nel film di Nolan, per motivi diversi); è scenica sicuramente, è diegetica, ma mai spettacolare. Ogni volta che c’è una scena di violenza essa è preceduta da un crescendo di angoscia e quando infine la violenza esplode ci fa male, ci colpisce come se fossimo noi a subirla: l’impatto è talmente forte da creare in noi una scissione, siamo combattuti perché sappiamo i motivi per cui Arthur sta compiendo certi atti, ma allo stesso tempo le sue azioni sono moralmente inaccettabili.
Il succo di tutta la faccenda è quindi questo: per quanto lo spettatore è portato ad empatizzare con Arthur, quest’empatia gli permette “solo” di comprenderlo, ma non arriva mai al punto di giustificare le sue azioni. Azioni che non vedono diminuire la loro gravità in nessun modo, ma che anzi, proprio in virtù della pre-comprensione, aumentano la tragicità di un atto deplorevole al quale, sotto sotto, tutti avremmo voluto che Arthur potesse scampare.
A questo punto spendiamo un paio di parole sul finale, che del resto è ambiguo come tutta la pellicola, ma forse un pelino di più. Immagino sappiate tutti le varie congetture che sono state formulate sul finale. Ora, senza andare a prenderle tutte in considerazione, esaminiamo solo la più quotata: tutto ciò che abbiamo visto era frutto di un delirio immaginativo di Arthur. Se così fosse, capite che qualsiasi ragionamento sulla “correttezza” morale del film andrebbe in fumo: la pellicola è pura, moralmente parlando, per il semplice fatto che sta riportando la visione deviata di un pazzo; che, di nuovo, è diverso dal sposarne la causa.
Ma ammettiamo anche che non sia così, che quindi la scena finale sia cronologicamente consequenziale al tutto: Joker è stato punito, è in manicomio per aver compiuto nefandezze inenarrabili. Il che evidenzia, ancora una volta, la volontà di dissociarsi dalla sua causa.
Aggiungeteci poi che nel film ciò che dà definitivamente la possibilità ad Arthur di diventare Joker è un male ancora più grande di lui, o meglio è quel male di cui lui stesso diventa incarnazione: tutto ciò che gli sta attorno, la Gotham impazzita che delira nell’anarchia. Ma, cosa ancor più importante, a Joker non interessa nulla del movimento che ha creato: lui è felice solo perché ora ha le attenzioni che da tempo ricercava. E quindi tutto il male che nel frattempo si viene a creare all’esterno, a differenza di quello che si crea all’interno della persona di Arthur (che è comprensibile e compreso nel corso del film), è completamente spregiudicato, ingiustificabile ed eccessivo, il tutto immortalato da un’incredibile inquadratura di Joker che balla sull’auto con attorno tutto che brucia. E questa a me sembra una palese presa di posizione, ma non in favore di una giustificazione della violenza, quanto invece in direzione di una sua totale condanna.
Ed è qui che Joker diventa una tragedia, la quale, letta con gli occhi di Arthur, altro non è che la più bella commedia di sempre.