
King Arthur (2004): niente prigionieri e nessuna pietà!
Correva l’anno 2000. Lo sceneggiatore americano David Franzoni aveva rispolverato il peplum con lo scottiano Gladiatore, azzeccando così uno dei più grandi successi commerciali e di critica della storia del cinema. Quattro anni dopo, con l’appoggio del produttore Jerry Bruckheimer (Pirati dei Caraibi), ha ritentato l’impresa con questo King Arthur; decidendo però di prendere totalmente le distanze dal mito conosciuto di Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, con gli effetti che di seguito andremo a esporre.
La storia ha inizio nel 460 d.C. I Romani hanno deciso di abbandonare la Britannia per rafforzare le difese di un Impero ormai allo sfacelo, ma così facendo lasciano l’isola alla mercé di popolazioni barbare quali Pitti e Sassoni. L’invasione ormai è inevitabile, e l’ultimo baluardo della libertà è costituito dal valoroso Artorius Castus (Clive Owen) e dal suo manipolo di cavalieri sarmati, costretti prima a superare atavici conflitti con il popolo dei Guadi, guidati dal misterioso Merlino (Stephen Dillane) e dalla coraggiosa Ginevra (Keira Knightley).
Per riassumere cosa penso di King Arthur, faccio sfoggio della mia invidiabile conoscenza cinefila usando un’altissima citazione di kubrickiana memoria: questo film è un pezzo informe di materia organica anfibia comunemente detta merda. Vero che Bruckheimer non si è mai tirato indietro quando si tratta di finanziare le peggio porcherie tamarro/americanoidi, ma raramente aveva toccato vette di trash così elevate come in King Arthur.
In genere non sono un cagacazzi con le “licenze poetiche”, se no il già citato Gladiatore, da bravo appassionato di storia quale sono, dovrei reputarlo una mondezza laida. Ma se King Arthur non fosse così amorfo e svogliato, potrei tranquillamente passare sopra su Artù sarmata ad cazzum, sui Cavalieri della Tavola Rotonda ridotti ad Armata Brancaleone dei poveri, su Ginevra trasformata in guerriera amazzone A CASO solo per dare una nota ipocrita di female power in un contesto fin troppo machista, su Merlino sacerdote celtico rincoglionito, sul tormentato amore tra Ginevra e Lancillotto ridotto a un patetico flirt di dieci secondi… e l’elenco potrei continuarlo fino al Giorno del Giudizio!
La trama si trascina tra uno sbadiglio e l’altro, tra un agghiacciante dialogo degno dei peggiori fumetti Marvel e l’altro, fino ad una battaglia finale senza suspense né climax emotivi. I personaggi invece sono così superficiali, stereotipati e poco coinvolgenti che poco ci fanno preoccupare per i loro destini: che la guerra la vincano i sarmati o i Pitti non interessa, quale sia la natura del rapporto tra Artù e Merlino non conta. Lo spettacolo è molesto, frastornante, per nulla avvincente.
La recitazione, di conseguenza, è inevitabilmente scialba. Clive Owen passa tutto il tempo con una perenne espressione da cane bastonato degna di Jon Snow, ma anche il resto del cast è semplicemente squallido: Keira Knightley è fuori luogo, Stephen Dillane (il magnifico Stannis Baratheon di Game of Thrones, rendiamoci conto) sfoggia un carisma direttamente proporzionale alla sua utilità nella storia (pari allo zero). Sullo spreco di Stellan Skarsgard è pure meglio sorvolare visto che inspiegabilmente sono riusciti a inserire persino Ivano Marescotti. Giusto per accompagnare il cringe con fave e buon Chianti!
Ma ora veniamo a ciò che forse poteva salvare il film dal totale disastro: il comparto tecnico.
Il regista Antoine Fuqua, che a quanto pare quel mezzo capolavoro di Training Day deve averlo azzeccato per sbaglio viste le mondezze da lui partorite in seguito, si dimostra poco tagliato per il genere, specie nelle scene di battaglia che, oltre a essere rare nel mare di noia, sono girate malissimo e montate peggio. Ci avessero messo la mano Ridley Scott o Peter Jackson probabilmente staremo qui a parlare di capolavoro del secolo. La fotografia è degna dei peggiori film di Michael Bay, talmente satura da impedire a degli effetti speciali da galera (si salva a malapena il sangue in CGI) di integrarsi col resto delle riprese.
In questo squallore di proporzioni epiche regna sovrana la stupenda colonna sonora firmata da Hans Zimmer con performance vocali di Lisa Gerrard che, come era già accaduto col Gladiatore, riescono a toccare corde inaspettate con le loro suggestive sonorità.
Poi mi dicono che è l’Arthur di Guy Ritchie a essere un buon lassativo. Mah…