Vi ricordate Gotham? Quella serie si proponeva un obiettivo sulla carta interessante: svelare ciò che era successo tra l’assassinio dei coniugi Wayne e l’ascesa di Batman. Tutto molto bello, peccato che non sapesse da che parte girarsi, costringendo gli sceneggiatori ad arrampicarsi sugli specchi nel tentativo di dare un senso al progetto, tra filler, risurrezioni miracolose e stravolgimenti del canone. Quando perciò ho sentito parlare per la prima volta di Krypton, temevo che potesse rivelarsi una nuova Gotham, con Superman al posto del Cavaliere Oscuro. Fortunatamente sono stato smentito.

Sviluppata da David S. Goyer per il canale SyFy, Krypton è ambientata 200 anni prima della nascita dell’Uomo d’acciaio e segue le vicende di un antenato dell’eroe, Seg-El. Quando lo incontriamo non se la passa benissimo. La sua illustre famiglia, infatti, è stata diffamata ed esiliata dopo la condanna per tradimento del nonno, lo scienziato Val-El. La sua colpa? Aver osato opporsi al corrotto regime della città-stato di Kandor ipotizzando l’esistenza di una vita oltre il pianeta.
Costretto a vivere nelle baraccopoli dei “Senza-rango”, ovvero la classe inferiore, Seg-El si barcamena giorno dopo giorno cercando di sopravvivere e al contempo riabilitare il proprio nome. Le cose prendono una piega imprevista quando si imbatte in Adam Strange, viaggiatore temporale venuto dal futuro per avvertirlo di una minaccia incombente, che potrebbe mettere a rischio l’esistenza del celebre Kal-El. Una minaccia rappresentata dal cyborg alieno Braniac.

Da tali premesse si dispiega un’avventura fantascientifica molto più intrigante del previsto, che abbraccia la mitologia DC in una maniera innovativa e sorprendente. Già sceneggiatore de L’Uomo d’Acciaio, Goyer riprende dal film di Zack Snyder suggestioni, tematiche ed estetica, espandendole e innestandole in un’avvincente e suggestiva space opera che non ha nulla da invidiare a Dune. L’idea di una società basata su concepimenti in vitro à la Gattaca e ruoli predeterminati dalla nascita fa così da sfondo a una storia dai forti echi shakespeariani, tra intrighi di palazzo, lotte per il potere e relazioni in stile Romeo e Giulietta, rappresentate dall’amore proibito tra Seg-El e Lyta Zod (che sì, è parente proprio di quel Zod).
Ne deriva un ritratto minuzioso e affascinante del pianeta Krypton prima della sua distruzione. Un periodo mai esplorato così nel dettaglio al di fuori dei fumetti, portato finalmente su schermo grazie anche ad effetti speciali di qualità straordinaria per gli standard televisivi, tanto da compensare la scarsa varietà in fatto di location fisiche (uno dei pochi difetti della serie). Molta attenzione viene rivolta alla vita politica di Kandor, caratterizzata da una teocrazia con a capo la Voce di Rao, che reprime con la forza qualsiasi tentativo di contestare i dogmi ufficiali. Così facendo Krypton non manca di stimolare riflessioni sul fanatismo religioso e sulle derive estremiste dei governi, di cui purtroppo abbiamo sempre più esempi al giorno d’oggi.

In tutto ciò, lo show si dimostra estremamente rispettoso della mitologia di Superman. Numerosi sono gli omaggi e le strizzate d’occhio alla storia e all’iconografia del personaggio di punta della DC. E perciò abbiamo una proto-Fortezza della Solitudine, la Sala della Vita, la Zona Fantasma, un Doomsday parecchio più fedele alla versione cartacea rispetto a quello di Batman v Superman. Fa la sua comparsa persino il parassita alieno Black Mercy, grazie al quale Krypton può cimentarsi nel suo personale riadattamento di Per l’uomo che aveva tutto, una delle opere più note e apprezzate di Alan Moore.

Non che manchi il coraggio di divergere dal canone, se necessario. Per esempio introducendo uno Zod di colore, così come un’inaspettata parentela tra il più grande avversario di Superman (dopo Lex Luthor) e la casata degli El. L’azzardo più grande coinvolge però l’intera seconda stagione, quando, in modo non dissimile allo Star Trek di J.J. Abrams, il viaggio nel tempo viene usato come scusa per proiettare gli eventi in un universo parallelo. Uno stratagemma audace e vincente, che ha permesso alla serie di trovare una propria identità e direzione, senza preoccuparsi (a differenza di Gotham) di dover necessariamente chiudere un cerchio.

Tra gli altri pregi di Krypton vanno senz’altro citate le ottime (e vagamente snyderiane) scene d’azione e le musiche di Pinar Toprak (Captain Marvel), che alternano sonorità elettroniche e omaggi a John Williams. Ma le lodi maggiori sono riservate al cast, guidato da un carismatico e ironico Cameron Cuffe nei panni dell’eroe Seg-El. Tra i cattivi invece spicca il veterano Colin Salmon (già apparso in Arrow, per restare in area DC), il quale dà corpo a un’inedita e sfaccettata incarnazione del Generale Zod, capace di fondere il meglio delle versioni di Terence Stamp e Michael Shannon.
Meritano una menzione speciale anche gli altri due big bad della serie. Blake Ritson è un Braniac inquietante e meravigliosamente comic accurate, nonché il migliore che si sia mai visto in live action (ogni riferimento a Supergirl è puramente voluto). D’altro canto, Emmett Scanlan è irresistibile nel ruolo di Lobo, divertentissimo e sboccatissimo cacciatore di taglie alieno alla sua prima apparizione dal vivo. Forse l’unico anello debole della compagnia è Georgina Campbell (Lyta Zod), decisamente troppo magrolina per essere credibile come cadetto dell’esercito kryptoniano. Ma sono dettagli.

Ambiziosa nella messa in scena e coraggiosa sul piano narrativo, Krypton è stata un gradevolissimo esperimento all’interno del panorama seriale della DC. Il fatto che SyFy l’abbia cancellata dopo solo due stagioni è davvero spiacevole, specie se pensiamo che show mediocri come Titans e Batwoman ancora sopravvivono. C’era ancora molto da dire e mostrare, e le possibilità che un altro network riprenda in mano il progetto sono labili. Spero almeno che ciò che è stato realizzato divenga oggetto di culto tra i fan. Non è molto, ma sarebbe già una bella consolazione.