E così, ridendo e sterminando, siamo arrivati al mid-season della settima stagione di The Walking Dead. Una stagione che aveva aperto col botto, un botto che coincideva con un paio di crani sfracellati e un one-man show da pelle d’oca del nuovo villain: Negan.
Negan, il cattivo che ci avevano fatto annusare per tutta la scorsa stagione, il cui clamoroso ingresso è stato sporcato solo da quel finale da Guantanamo, il cui arrivo ha rappresentato una vera e propria scossa per uno show in coma da almeno tre stagioni.
E improvvisamente tutti ci siamo ritrovati a sperare: “Dai che magari è la volta buona che The Walking Dead ritorna ad essere una serie decente. Dai che magari le scimmie ritardate che scrivono questo show sono state abbattute, o almeno sono state sostituite con altre scimmie un po’ meno ritardate”.
Insomma, questa prima metà di stagione è riuscita a mantenere le promesse del suo folgorante debutto? In parte sì, in parte meh.
Guardando queste prime otto puntate mi sono venute in mente due parole: Negan-dipendenza e turnover.
Di cosa sto parlando? Ora ve lo dico.
NEGAN-DIPENDENZA
L’ho detto, lo dico e lo ribadisco: Negan lo hanno proprio azzeccato. In tutto. Jeffrey Dean Morgan, che deve essersi divertito come non mai in questo ruolo, si riconferma mostruosamente perfetto nei panni del leader dei Salvatori. Quando c’è in scena lui, il resto scompare. E gli autori della serie si stanno prendendo tutto il tempo necessario per dare il giusto spazio all’M.V.P. di questa stagione, concedendogli lunghi ed intensi monologhi.
Talmente lunghi ed intensi che qualcuno è arrivato a definirli pallosi. Sarà, ma io quando c’è Negan mi dimentico che esiste l’orologio. Davvero, lo trovo totalmente ipnotizzante, e non smetterei mai di guardarlo mentre gigioneggia con il suo sorriso smagliante e la sua mazza spappola-cinesi.
Ho trovato particolarmente ingenerose le critiche riservate dalla stampa U.S.A. alla quarta puntata, nella quale Negan si reca per la prima volta ad Alexandria. “Troppo lunga”, “Troppe chiacchiere”, “Negan è logorroico”.
Personalmente l’ho trovata una puntata eccezionale. Era l’episodio che ci voleva per rimarcare la totale sottomissione di Rick nei confronti del nuovo capo. Un capo che dispensa terrore tramite sorrisi splendenti e sguardi di ghiaccio. Un capo sempre sull’orlo di esplodere, la cui follia è impossibile da prevedere come da domare. La definizione stessa della parola “minaccia”.
E ho apprezzato molto anche il cambio di registro effettuato da Kirkman rispetto al fumetto: nell’opera originale, Rick finge di piegarsi al dominio di Negan, ma allo stesso tempo organizza la contromossa in gran segreto, assieme a pochi amici fidati. Nella serie invece troviamo un Rick completamente spezzato, piegato sotto il peso del senso di colpa, e interessato unicamente a strappare un briciolo di sicurezza per i suoi figli e i suoi amici.
Dopo tutte queste stagioni, vedere un Rick Grimes completamente arreso mi ha fatto male.
Che Kirkman abbia voluto spingere ancora di più sull’apparente mancanza di speranza per i nostri rispetto al fumetto lo rileva anche la scelta di far sequestrare da Negan tutte le armi possedute da Rick e dai suoi. Una piccola, ma fondamentale differenza rispetto all’opera originale, che indica come questo Negan sia più furbo, più scaltro e più pericoloso della sua controparte cartacea. Oltre che molto più bastardo, visto che dopo le armi si prende anche tutti i materassi di Alexandria, per poi bruciarli in strada dopo pochi chilometri.
Sadismo puro.
Insomma, quando Negan è sul campo non c’è alcun problema. I problemi vengono quando non c’è. Un’autentica Negan-dipendenza che rappresenta il vero problema di questa saga.
Perché il resto è la solita sfilza di personaggi inutili, dialoghi da morte celebrale e situazioni talmente scritte con i piedi da risultare involontariamente comiche. Si salvano solo gli scambi fra Rick e Michonne, che sono appena due in 8 puntate, e devo dire che anche il breve assaggio che abbiamo avuto del Regno non mi è dispiaciuto affatto (Ezequiel per ora è prommosso).
Il resto è semplicemente da suicidio. E questo ci porta alla seconda parola che dà il titolo a questo pezzo.
LA TRAGEDIA DEL TURNOVER
Chi segue il calcio conosce bene il turnover. Chi gioca al Fantacalcio ancora di più. Per tutti coloro che non sapessero di cosa sto parlando, turnover è la parola che più suscita odio e sentimenti omicidi nei tifosi. È quando un allenatore lascia in panchina una buona parte della squadra titolare, il più delle volte in vista di un susseguirsi di impegni per la suddetta squadra, o alla vigilia di una partita particolarmente importante.
Una roba che ho sempre odiato dal profondo del cuore, da quando Mazzarri andava a giocarsi la Coppa Uefa con Fornaroli e Mustacchio al posto di Cassano e Bellucci.
Che poi come idea quella del turnover non è malvagia quando ci sono dei sostituti all’altezza. Per dire, quando la Juventus fa giocare Mandzukic al posto di Higuain, è quasi fuorviante parlare di turnover. Ecco perché si dice che la grandezza di una squadra si guarda sì dai titolari, ma anche dal livello della sua panchina.
Ecco, The Walking Dead già non abbonda di titolari degni, figuriamoci i panchinari (ci ho messo un po’ a chiudere sto’ parallelismo, ma alla fine ce l’ho fatta). Evidentemente gli sceneggiatori la pensano diversamente, visto che i personaggi principali e quelli secondari hanno praticamente lo stesso minutaggio, con risultati tragici per i maroni degli spettatori.
Cari produttori, ma mi volete dire quale turba mentale avete per pensare di dedicare una puntata intera a (vado a cercare il nome su google) Tara? Voglio dire, Tara??!? È mai esistito un personaggio più insulso, inutile, insignificante e fastidioso di Tara? E tu ci dedichi una puntata intera?
Puntata che tra l’altro ho totalmente rimosso dalla mia memoria, visto che ho passato tutto il tempo o a dormire o a cazzeggiare col telefono da quanto era patetica (stesso discorso per quella precedente ambientata ad Hilltop).
Questo è solo l’esempio massimo del raccapricciante livello dei personaggi secondari di The Walking Dead, contraddistinti da una mancanza di carisma e da una parola che non si dovrebbe usare, ma che li rappresenta alla perfezione: sfiga. I personaggi secondari di The Walking Dead sono tutti degli enormi sfigati che giocano a fare gli action hero.
Salviamo Michonne, salviamo Daryl, e salviamo Maggie, e dai pure Carol (anche se mi sta sul cazzo), ma il resto è da rogo immediato.
E quindi ci dobbiamo sorbire delle mezz’ore intere di quella scassacazzo di Rosita, di quel caso umano di Eugene, di quei bimbiminkia di Carl e della sua amichetta demente (il cui nome mi è tuttora ignoto), di Sasha, di Spencer (che grazie al cielo ci siamo levati dal cazzo una volta per tutte), di Morgan, di Aaron e via dicendo.
Gli sceneggiatori passano così tanto tempo a creare inutili sottotrame e a dividere i personaggi che si perde totalmente il senso del ritmo della storia principale: quando c’è Negan tutti attenti, quando non c’è si dorme. L’esatto contrario di quello che dovrebbe essere questa saga, che su carta è contraddistinta proprio dal ritmo forsennato e dal susseguirsi di eventi.
L’apice di questa condotta scellerata viene raggiunto nell’ultima puntata, dove nel disperato tentativo di chiudere tutte le sottotrame e di riunire tutti i personaggi assistiamo contemporaneamente a SEI scenari diversi nel giro di una puntata. Roba che ad un certo punto era: 20 secondi di Daryl, 20 secondo di Rick e Aaron, 20 secondi di Negan, 20 secondi di Morgan e Carol, 20 secondi di Hilltop. Un pasticcio da galera, salvato solo dal solito Negan in versione Messia.
COSA ASPETTARCI DALLA SECONDA PARTE DI STAGIONE
Insomma, ci siamo capiti: Negan a parte, il livello della serie è rimasto lo stesso. Qualche sporadico momento di buona televisione sovrastato dai soliti problemi di ritmo, di gestione dei tempi, di idiozia della sceneggiatura, di fighissimi zombie buttati a caso nel bel mezzo di una puntata e via dicendo.
Va detto tuttavia che il finale di questo mid-season è stato efficace. La presa di coscienza di Rick è stata emozionante e ben gestita, come ben gestito è tutto il suo rapporto con Michonne. Ed è stato emozionante anche l’abbraccio fra Rick e Daryl, con quest’ultimo che consegna all’ex sceriffo una pistola, simbolo di riscossa e di vendetta. Una pistola che però non ha proiettili, e che dovrà essere caricata al più presto per salvare Alexandria e le comunità libere dalla tirannia dei Salvatori.
Insomma, c’è tanta carne al fuoco per una seconda parte di stagione memorabile, soprattutto ora che, si spera, la gran parte delle sottotrame inutili si intrecceranno fra loro nell’unico, vero filone narrativo di cui ci frega qualcosa: la guerra contro Negan.
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