
La cura dal benessere – Un Verbinski sottotono
Cosa unisce Un topolino sotto sfratto, The Ring, i primi tre Pirati dei Caraibi, Rango e questo La cura dal benessere? La risposta è semplice: Gore Verbinski. Lungo tutta la sua carriera, il regista statunitense ha dimostrato di sapersi muovere bene tra i generi, dall’horror alla commedia, passando per i blockbuster ibridi. Quindi non poteva che far piacere un ritorno dell’autore ad atmosfere lugubri ed inquietanti, peccato che il risultato finale lasci molto perplessi.
La cura dal benessere racconta di Lockhart, interpretato dal sempre bravo Dane DeHaan, che raggiunge un centro benessere sperduto tra le alpi svizzere col compito di persuadere l’amministratore delegato della sua azienda a tornare a New York. Come da regola non scritta del genere, il luogo cela orribili segreti, provenienti da un passato oscuro, e per il nostro eroe lasciare il centro di cura diventerà sempre più difficile, complice l’enigmatico comportamento del dott. Heinreich Volmer (un Jason Isaacs in rispolvero). Vi ricorda vagamente qualcosa?
Esatto, Shutter Island. Non solo buona parte dello svolgimento narrativo è uguale al film con protagonista DiCaprio (tranne forse il primo quarto d’ora, uguale invece a The Woman in Black, 2012), ma addirittura le inquadrature, le composizioni d’immagine, sembrano prese ed incollate dal lavoro di Martin Scorsese. Per tutto il film si ha una fastidiosa sensazione di già visto, probabilmente rimarcata anche dalla somiglianza etica ed estetica dei protagonisti dei due film. La personalità del Verbinski autore esce fuori soprattutto nel finale che, oltre a far prendere le distanze al film dalle opere di riferimento, ne cambia completamente il registro: dal thriller si vira verso un fantasy/horror dalle sfumature volutamente trash, il che, di per sé, non è un aspetto negativo. Anzi, prova almeno a dare all’opera un’identità propria.
Comunque, lungo tutta la sua durata in La cura dal benessere è riscontrabile un’atmosfera ai limiti del grottesco. Qui la verosimiglianza non è ricercata: non è la psiche a deviare la realtà, ma quest’ultima a mettersi continuamente in discussione. Così, il meglio che l’opera ha da offrire sono quelle immagini (quasi) inquietanti per i loro tratti onirici e assurdi. Va infatti riconosciuto a Verbinski un buon gusto per la messa in scena, l’abilità di “dipingere” con la cinepresa dei veri e propri quadri in movimento. A salvare la dignità de La cura dal benessere è proprio l’aspetto prettamente estetico dato che, per il resto, a dominare sono la noia e la prevedibilità. Un film deludente, visto il talento del suo autore e gli standard a cui ci aveva abituati. E visto che lo girò già Scorsese, quasi dieci anni fa, ma molto meglio.
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