
La Danimarca di Land of Mine, spezzata dalla Guerra
Land of Mine: sotto la sabbia ci sono le coscienze di tutti noi.
Land of Mine – Sotto la sabbia è un film danese uscito questa primavera che racconta una pagina della storia tanto terribile quanto sconosciuta, quella del dopo Seconda Guerra Mondiale in Danimarca. Nel 1945 i danesi costrinsero i soldati tedeschi fatti prigionieri a purgare i loro peccati di guerra sminando chilometri e chilometri di costa dai milioni (sul serio, erano più di due milioni) di mine antiuomo. Ordigni inesplosi, alcuni segnalati da mappe ed altri no, nascosti dai tedeschi, che proprio là si aspettavano lo sbarco degli Alleati, e che poi sono rimaste seppellite, ma mai dimenticate, sotto la sabbia.
Ebbene. In Land of Mine conosciamo la storia di una dozzina di giovani soldati tedeschi, prigionieri di guerra, addestrati ad esperti artificieri e mandati sulla costa a liberare la Danimarca dagli ultimi resti del Nazismo. Sono ragazzi, che vogliono tornare a casa, che hanno fame, e che cercano di tirare avanti immaginando il proprio futuro. Sono giovani che sognano di diventare muratori per ricostruire il loro Paese distrutto. Sono tedeschi, ma a noi che guardiamo non importa da che parte stiano (o siano stati) perché l’innocenza si legge perfettamente nei loro occhi spaventati, e il terrore e l’orrore che provano quando il primo compagno salta in aria sulla spiaggia è un concetto universale che attraversa qualsiasi nazionalità.
Sono, questi tedeschi costretti a scontare i peccati della Germania intera, solo dei figli che chiamano la mamma quando hanno paura.
Land of Mine si interroga sulla domanda più infame della Seconda Guerra Mondiale: cosa è giusto e cosa è sbagliato? E’ giusto che i tedeschi, quei tedeschi che probabilmente come migliaia di altri coetanei erano stati buttati in trincea a poche settimane dalla fine di tutto, paghino con la stessa moneta quello che la guerra ha fatto agli altri? Che le vittime diventino carnefici? Qual è il confine etico da non superare? Le speculazioni sono infinite ovviamente, e vanno avanti da settant’anni. Il film di Martin Zandvliet ha il pregio di porre le giuste domande, cercando risposte da diverse prospettive. Ma sempre con lucidità, e al tempo stesso delicatezza, quella che il Sergente Rasmussen (Roland Møller), incaricato di occuparsi della squadra, scopre man mano e che addolcisce – o almeno ci prova – la tragedia che si trovano a vivere insieme.
Perché guardando Land of Mine i confini tra Buoni e Cattivi si dissolvono in fretta: basta una partita di calcio tra ragazzi e Sergente sulla spiaggia libera per unire gli animi oltre la nazionalità, un pasto regalato quando la fame è troppo forte, un abbraccio quando le lacrime per i compagni caduti offuscano gli occhi e la mente. Una frase, ripetuta, “è quasi finita”, alla quale è il Sergente stesso a credere per primo. Bene e Male, è chiarissimo, sono concetti estremamente labili e trasversali.
Land of Mine, grazie alla regia mai stucchevole di Zandvliet e ad una fotografia meravigliosa, cerca di scoprire la bellezza negli occhi celesti di quei giovani (tedeschi? Non importa più), limpidi come le spiagge sulle quali sono stati costretti a strisciare, per compensare almeno in parte ai terribili orrori – e alle conseguenze – che la Seconda Guerra Mondiale ha nascosto ovunque.