Non si può negare l’enorme percorso di emancipazione a cui le principesse Disney sono andate incontro, dalla prima, Biancaneve (non lascia comunque indifferenti che il primo lungometraggio Disney in assoluto avesse una protagonista femminile), fino all’ultima arrivata Vaiana, passando per Mulan e Merida.
Senza trascurare l’ultima pellicola campione d’incassi al cinema, La bella e la bestia, in cui nel ruolo del titolo (la Bella, non la Bestia) abbiamo la super-femminista Emma Watson, che non ha tardato a dichiarare la sua precisa intenzione di presentare un modello di donna forte, decisa ed emancipata.
Perché è quello il punto: la Disney continua a offrire alle bambine (un bacino di mercato da sempre per l’azienda più forte di quello maschile) il sogno della principessa dal bel vestito colorato, ma si è fatta carico da almeno vent’anni – e in modo pronunciato negli ultimi – di proporre un modello femminista fortemente educativo. Non è ormai un segreto che la Disney, da multinazionale conservatrice quale era additata fino agli anni Novanta, abbia assunto adesso un profilo fortemente progressista.
Ed è proprio nel campo dell’immagine della donna che sta tentando con insistenza di rieducare e soprattutto di rieducarsi.
Vediamo le basi: in origine, le principesse Disney erano ragazze povere o di ceto medio che diventavano principesse attraverso il matrimonio. O principesse di nascita (come Aurora de La bella addormentata nel bosco) destinate comunque al matrimonio con il principe di un altro regno.
Ora, se ci fate caso, le ultime in ordine di tempo – Rapunzel, Elsa, Merida, Vaiana – sono tutte figlie di regnanti e eredi di diritto al trono. Addirittura, è l’uomo, quando c’è, di cui si innamorano a fare il salto di casta sposandole.
Ma non si tratta soltanto di principesse. C’è un’atmosfera femminista più generale, in cui i personaggi femminili hanno assunto un ruolo preponderante. Pensiamo a Zootropolis: fino a dieci anni fa, lo stesso film sarebbe stato presentato in modo diverso. Sicuramente il personaggio maschile, la volpe, Nick Wilde, sarebbe stato il protagonista del film e Judy, la coniglietta, la controparte femminile, la spalla, la “Minni” della situazione. Vigeva il forte pregiudizio per cui era più facile per il pubblico identificarsi in un personaggio principale maschile piuttosto che femminile. Oggi si è invece in controtendenza.
La Disney in questa svolta femminista non è certo pionieristica: grandi apri-pista sono sicuramente stati Hunger Games, considerato il primo film action di successo ad avere come protagonista una donna, e serie come Il Trono di Spade in cui la scrittura dei personaggi femminili è (grazie anche al testo originale di George R.R. Martin) uno dei fiori all’occhiello.
Ma è stato comunque un atto di coraggio sfruttare lo stesso principio impiegato per Zootropolis (donare il ruolo preponderante al personaggio femminile, e quello di “controparte” al personaggio maschile) per la saga di Star Wars, scegliendo per rilanciare la saga non una ma ben due protagoniste femminili: Rey, per la nuova trilogia, e Jyn Erso per Rogue One.
Anche in questo caso, fino a pochi anni fa per ragioni di mero marketing probabilmente Jyn avrebbe avuto un ruolo secondario e il protagonista del film sarebbe stato Cassian. Invece, la Lucasfilm sceglie un personaggio femminile. Forte, indomita, coraggiosa.
Per quanto riguarda Rey è talmente cazzuta e non ho bisogno che mi salvi nessuno style che Kylo Ren fa una figura barbina davanti a lei e i due co-protagonisti maschili Finn e Poe, tanto per non essere del tutto inutili all’interno del film, si salvano tra loro.
Un altro messaggio femminista che la Disney sta prepotentemente passando è quello di sottolineare come l’amore romantico non sia il solo tipo di amore rilevante nella vita di una donna. Dando particolare rilievo ai vari tipi di amore che legano, a conti fatti, due donne tra loro: amore tra madre e figlia in Ribelle. Amore dato da un rapporto madre adottiva-figlia/amicizia profonda in Maleficent. Amore fratern… sorern… (non esiste manco la parola), TRA SORELLE in Frozen.
La morale è sempre una: altri generi di amore sono anche più forti e saldi di quelli per un “principe”. Tanto che, negli ultimi film Disney, l’amore romantico è rappresentato come molto marginale o viene del tutto bandito (vedi Oceania).
Un indizio che questo “programma” sia una sorta di voto intenzionale da parte della Disney, è che TUTTI i suoi film più recenti superano il test di Bechdel.
Il Test di Bechdel è stato inventato dalla fumettista Alison Bechdel ed è un modo abbastanza puntuale per valutare il divario tra la rappresentazione femminile nei media e quella maschile.
Per passare il Test di Bechdel, un film (o un libro, o un fumetto…):
- Deve avere almeno due personaggi femminili definiti, con un nome e un ruolo all’interno della storia.
- I due personaggi femminili devono interagire tra loro.
- I due personaggi femminili devono interagire tra loro e avere almeno una conversazione il cui argomento non siano gli uomini.
Per fare un esempio: la saga de Il Signore degli Anelli non passa questo test (3 film!).
Molte pellicole Marvel, ahimè, prodotte dalla stessa Disney non lo passano.
La saga originale di Star Wars non lo passa – però dobbiamo spezzare una lancia: la principessa Leila è stata comunque un’eroina con le contropalle (scusate: con le controvaie) e per la rappresentazione delle donne al cinema ha fatto più lei che qualunque programma scolastico educativo.
Sono ancora numerosi i film che, ahimè, non superano il test di Bechdel. Riuscireste invece a immaginare una storia in cui per tutta la durata, i personaggi maschili non interagiscano mai tra loro?
Fateci caso: gli ultimi film prodotti dalla Disney (Marvel a parte, ma piano piano ci stanno arrivando anche quelli) passano tutti il test invece. Anche Rogue One che, nonostante Jyn, ha un cast a larga prevalenza maschile, passa il test per il rotto della cuffia, grazie a una scena: quasi l’azienda, diciamo, quantomeno ci facesse caso.
Vediamo dunque i pro e contro della new wave femminista della Disney:
PRO
- Offrire modelli femminili variegati e soprattutto con ruoli chiave e centrali. Le bambine sentono che le donne hanno un ruolo nel sistema.
- Le protagoniste non sono solo principesse in attesa di essere salvate, ma gli eroi della storia.
- I personaggi femminili sono sempre più a 360° e non hanno solo la funzione di interessi amorosi o madri.
- Vengono presentati, di contraltare, ruoli maschili più sfumati, meno eroici, più fallibili.
- Vengono esaltati gli affetti e la solidarietà tra donne.
CONTRO
- Eccedere nel “troppo”. Gli eroi uomini hanno dubbi, incertezze – che poi superano -, mentre sembra che le eroine femminili debbano sempre dimostrare di essere “ancora meglio” dei maschi. Non hanno un difetto, sono perfette. Rey è il lampante esempio: è brava in tutto, non ha mai bisogno di aiuto, sbaraglia sei nemici alla volta, spacca i mattoni a quattro a quattro, è l’erede concettuale sia di Leila, che di Luke Skywalker che di Han Solo. Si tiene persino il Millennium Falcon! La vera svolta femminista non è far vedere che le donne sono straordinarie, ma sarebbe mostrare che sono umane.
- Eccedere nel rendere troppo negativi i personaggi maschili. Troppo deboli, troppo vigliacchi, troppo scemi, troppo bisognosi di aiuto per superare ogni impasse. Esagerare anche qui nel senso opposto, insomma.
- Demonizzare l’amore romantico. Va bene insegnare alle bambine che non dev’essere lo scopo nella vita e che “non ci si sposa con qualcuno che si è appena incontrato” (cit.), ma si sta toccando l’assurdo di dipingere il rapporto di coppia con un uomo sempre e solo come ininfluente o negativo (col picco lirico di Frozen, in cui il “principe azzurro” arrampicatore sociale inganna e pugnala alle spalle la principessa). Insomma: VOGLIAMO NICK E JUDY DI ZOOTROPOLIS INSIEME, poche balle! No alla friendzone! Non vorrai mica opporti alle relazioni interrazziali, vero Disney? (Faccio leva sulla vocazione progressista così poi si sente in colpa).
Insomma la Disney ci vuole in carriera, solidali solo nei confronti delle nostre simili, autonome e fuori dal comune – ma sempre impeccabili nel vestire e con una mascotte divertente al proprio fianco. Il percorso è buono e, come le quote rosa, capisco la necessità pratica di esagerare per un periodo sul lato opposto, ma io spero che questa fase femminista sia di transizione e che si arrivi, gradualmente, a una rappresentazione della metà femminile del mondo che sia, semplicemente, realistica.
Sapete qual è il personaggio femminile delle Cronache del ghiaccio e del fuoco scritto meglio, secondo me? Non Daenerys, non Arya, non Cersei, ma Sansa Stark.
Perché è proprio lei il target della Disney: la ragazza che ha passato l’infanzia a sognare un bel principe, bei vestiti, una vita da regina e deve invece fare i conti con un mondo realistico, grottesco, spietato, dotato di mille sfumature sotto la superficie delle cose.
Sansa è piena di difetti – è paurosa, meschina, antipatica – ma conosce il mondo attorno piano piano e impara a sopravvivere, diventa forte a suo modo. Capisce, con l’esperienza, cadendo, quali individui non meritino fiducia – e non è rilevante nel discorso che siano donne oppure uomini. Non è un’eroina conclamata come Daenerys, ma ha una sua forma personale, silenziosa, verosimile, di eroismo. Di resistenza, che a lungo andare diventa a suo modo degna di ammirazione.
Perché il punto è che anche le donne, come gli uomini, non si dividono in buone e cattive. Sante e donne per sempre macchiate e perdute. Supereroine o deboli principesse in cerca d’aiuto. Sono umani dalle mille sfumature, con i loro punti di forza e i loro limiti. Non bisogna dimostrare di essere perfette, per essere riconosciute come pari all’uomo: ma rivendicare il diritto inalienabile di essere un’eroina antipatica, se capita, e meritare la salvezza comunque.