
La famiglia Bélier: fuggire, volare, e capirne la differenza
La famiglia Bélier in una parola (con il punto interrogativo): partire?
Perché partiamo?
Partiamo per partire o per fuggire? Partiamo perché siamo liberi, o siamo liberi quando partiamo? Scegliamo di partire sapendo che possiamo restare, o scegliamo di restare sapendo che possiamo partire? E quand’è che è giusto partire? A chi dobbiamo rendere conto della scelta di partire o meno – alla nostra famiglia, ai nostri amici, al nostro amore, tutti gli altri legami che non sappiamo classificare? Dove andiamo quando partiamo? Cosa vogliamo raggiungere?
Empatia con Paula Bélier a più non posso. Questa scena è sempre stata un meraviglioso déjà-vu delle mie scampagnate abituali, anfibi e cuffie shocking compresi (oh, sul serio, ce l’ho uguali).
Niente paura, non si tratta di questioni insondabili sul senso della vita né di un excursus su quanto nel presente momento storico siamo tutti giovani e belli e instabili (per quello, guardatevi l’epilogo di La La Land, sul quale ho rischiato l’iperventilazione e l’annegamento nelle mie stesse lacrime). Sono domande che però a un certo punto uno se l’è fatte e se le fa. Per me, principalmente in qualità di 1. piagnona, 2. ex Erasmus ed ex fuorisede, 3. innamorata in maniera incondizionata del lago a due passi da casa nonostante il punto 2, sono domande pressoché quotidiane. Che, manco a dirlo, non hanno quasi mai avuto risposta.
Una famiglia particolare
Erano un po’ di giorni che questi pensieri felici mi giravano in testa con una frequenza meno sopportabile del solito, complici anche un paio di improvvisi spostamenti altrui in giro per l’Italia e l’Europa. Così, avendo bisogno di un po’ di buonumore, di musichine leggere e soprattutto di meno sentimentalismi possibili, ho messo su una tisana e ho rivisto La famiglia Bélier.
La famiglia Bélier vive in una fattoria in Normandia, produce formaggio, ed è una famiglia molto particolare. Padre, madre e fratello minore (François Damiens, Karin Viard e Luca Gelberg) sono tutti sordomuti. Ma aspettate, trattenete un attimo il vostro “oh, poverini” di default, perché per tutta la durata del film non avrete mai la sensazione di essere di fronte alla messa in scena di un handicap. Al contrario, l’essere sordomuti è l’identità dei Bélier, quasi il loro punto di forza; e vedrete voi stessi come questi vulcanici francesi riescano a risultare chiassosi e invadenti solamente esprimendosi nella lingua dei segni.
Paula, la voce
La famiglia Bélier ha anche un’altra figlia, Paula (Louane Emera), che invece è udente, e che perciò può fare da voce e da ponte col mondo ai suoi genitori e a suo fratello: cresciuta con un vero e proprio bilinguismo francese-lingua dei segni, vive il suo ruolo con una responsabilità da adulta, nonostante sia a tutti gli effetti una normale adolescente. Non è sempre un ruolo facile, quello di Paula: la ragazza deve tradurre tutto, ma tutto proprio, compresi insulti neanche tanto velati verso gli altri e imbarazzanti discorsi sugli incidenti di letto dei suoi genitori (mettetevi per un secondo al suo posto e poi ne riparliamo).
Succede però che a un certo punto la voce di Paula diventa veramente la sua. Dopo essersi iscritta al coro della scuola per le solite ragioni per cui tutti noi almeno una volta ci siamo iscritti a qualcosa così a caso (ragioni di cuore, ndr), il suo maestro di canto (Éric Elmosnino) nota in lei un potenziale canoro tanto grosso quanto la fatica che ci vorrà per farlo uscire. Un potenziale canoro che altrettanto potenzialmente potrebbe portarla (quante P ho messo?) lontana dalla sua famiglia. Ah, non ve l’ho detto? La dolce e impacciata Louane nella vita vera è una turbo cantante, rivelazione di The Voice. Eh già.
A questo punto, non posso dirvi altro. È vero che le regole dello spoiler sono molto relative, e che questo film è uscito da tre anni, ma se non lo avete visto dovete scoprire da soli non tanto la fine, quanto il percorso che Paula farà per arrivarci. La famiglia Bélier è un racconto di formazione moderno, che narra di un passaggio non tanto verso una fantomatica Età Adulta, quanto semplicemente verso una nuova fase della vita. Un’altra cosa che prima o poi tutti abbiamo sperimentato, o sperimenteremo. Molto spesso, senza preavviso.
Una nota stonata
La famiglia Bélier riesce nella difficile sfida di raccontare i dubbi e le paure del distacco senza cadere nel melenso. Invece, se voleva raccontare anche la vita quotidiana di una famiglia di sordomuti, in questo non ce l’ha fatta del tutto. Numerose sono state le critiche mosse al film da parte della comunità sordomuta francese: pare che ci sia stato anche bisogno dei sottotitoli, perché spesso l’interpretazione comica rendeva il linguaggio dei segni confuso e a tratti incomprensibile. Soprattutto questo fatto che a interpretare i ruoli principali fossero attori non sordomuti, non è andato giù a parecchi. Insomma, non guardatelo se vi è presa qualche fissa strana di imparare la LIS e/o di entrare in empatia con chi la usa tutti i giorni, perché sarete fuori strada.
Guardatelo invece se siete tristi e avete bisogno di un piantino liberatorio. Questo è un film leggero di quella leggerezza che diceva Calvino, e a fare questa leggerezza sono soprattutto le canzoni di Michel Sardou, che a noi magari non dicono molto ma che in Francia sono tra il pop più pop. E poi, altro che l’audizione di Mia Dolan/Emma Stone – che comunque anche su quella un po’ di mal di pancia ce l’ho avuto: dopo aver visto questa scena (MA ATTENTI VE LO DICO IN MAIUSCOLO SENZA PUNTEGGIATURA C’È UNO SPOILERONE) vi sentirete subito meglio.
Preparate i fazzoletti e premete play
Se poi guardate La famiglia Bélier insieme a un fidato compagno di banco da cui sbirciare le risposte alle domande di cui parlavamo all’inizio, beh, siete sulla buona strada per un bel voto.