
La fattoria degli animali: George Orwell e un cartone che non lo sembra
Ceci n’est pas une pipe, scriveva Magritte a cavallo di quella che altro non era se non una pipa. Allo stesso modo, La fattoria degli animali non è un cartone animato. O meglio: i disegni colorati e le canzoncine ci sono, per carità. Solo, non è propriamente il genere di cartone animato che fareste vedere al vostro nipotino e ai suoi amichetti di asilo.
Girato in Gran Bretagna nel 1954 da John Halas e Joy Batchelor, nominato due anni più tardi ai BAFTA e ampiamente sponsorizzato da CIA, States e Occidente in generale – d’altronde si era in pieno clima da Guerra Fredda –, La fattoria degli animali racconta, sia pure con qualche piccola differenza, le vicende narrate nell’omonimo romanzo di George Orwell: la fattoria del Signor Jones, dispotico e alcolizzato proprietario terriero, è allo sbando, gli animali sono sfruttati e i profitti vengono sperperati al pub dall’unico essere umano di tutta la storia. Oche, galline, cani, cavalli, mucche e tutta l’Arca di Noè decidono così di riunirsi e, grazie alle parole del Vecchio Maggiore, immenso maiale anziano e molto rispettato, si rivoltano contro Jones. La fattoria si trasforma così in una comune e, prima sotto la guida di Palla di Neve, altro maiale dal fine intelletto, e poi sotto quella di Napoleone, porco spietato e assetato di potere, inizia a prosperare. La vita scorre scandita dai sette pilastri dell’animalismo: nessun animale ne ucciderà un altro, e tutti gli animali sono uguali, fra gli altri.
E tuttavia, ben presto quella che sembrava una fiorente ed egualitaria Repubblica comincia a somigliare sempre di più al peggior totalitarismo: alle galline vengono strappate le uova da barattare con gli uomini in cambio di alcolici, i cani si trasformano in feroci guardie del corpo di Napoleone, e il cavallo Gondrano, instancabile lavoratore, viene prima ripreso a causa di un incidente sul lavoro, quindi mandato al macello. Ne La fattoria degli animali i maiali finiscono per prendere possesso della casa di Jones e per assumere movenze antropomorfe. Ma a differenza del libro, qui il popolo non ha nessuna intenzione di tornare a essere proletariato: “Padroni maiali, domani prosciutti” è il nuovo, lapidario slogan che campeggerà sulla fattoria.
Comunismo e capitalismo non sono poi così diversi, sembrano volerci dire Halas e Batchelor: un messaggio parecchio forte, nel 1954, e ampiamente reclamato da tutta la parte ovest del globo. Non a caso, il finale del racconto è stato modificato in modo tale da suggerire la fine che avrebbe potuto fare l’allora Unione Sovietica. La fattoria degli animali è senza dubbio un film schierato, e molto meno satirico rispetto al romanzo: e nonostante ciò, è godibilissimo. Le atmosfere di complotto e ribellioni riescono a essere inquietanti, nonostante si tratti di un cartone animato e nonostante i volti dei protagonisti abbiano delle fattezze porcine; la scena del macello è da brividi; e l’inno degli animali non ha nulla da invidiare a quello di qualche super potenza asiatica. Dopo averlo visto, viene quasi da pensare che gli Anni Cinquanta in fatto di celluloide fossero parecchio più avanti del Nuovo Millennio.
In questi tempi di crisi politica, economica e sociale, La fattoria degli animali è un film da vedere: una sorta di memorandum di quello che potrebbe succedere a farsi abbagliare da qualche parolone di troppo.