Film

La foresta dei sogni

È difficile trovare un legame tra il Gus Van Sant dei primi tempi, quello dei film indipendenti molto in stile Sundance, e questo suo ultimo lavoro. La foresta dei sogni a Cannes è stato letteralmente fischiato e massacrato dalla critica. Ma l’ultimo film del regista di Belli e dannati e Will Hunting – Genio ribelle fa così schifo?

La risposta è no. I film brutti sono ben altri, ma certamente non siamo di fronte a un’opera memorabile e all’altezza del talento del suo autore. La foresta dei sogni è un curioso intreccio di generi, una sorta di thriller drammatico con sprazzi di fantastico. Un Matthew McConaughey emaciato si reca in Giappone per togliersi la vita in una foresta ai piedi del monte Fuji, la cui peculiarità è proprio il fatto che la gente lo trovi il posto adatto per uccidersi.

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Il regista riesce senza dubbio a colpire dal punto di vista estetico. La location giapponese gli offre un sacco di spunti e di inquadrature suggestive il film ne è zeppo. Però si ha la sensazione che Van Sant non cerchi di andare oltre e il tutto finisce per rivelarsi un esercizio manierista fine a se stesso.

la-foresta-dei-sogni-v1-432167Perché se un pilastro regge (l’estetica), l’altro crolla tragicamente: la sceneggiatura. Lo sceneggiatore Chris Sparling ha fondamentalmente alternato una sequenza ininterrotta di monologhi dei protagonisti sin troppo retorici a varie sequenze in flashback che, se inizialmente risultano le parti più godibili della pellicola, verso il finale scadono nel melò alla Grey’s Anatomy.

Ciò non toglie che i temi della perdita e dell’elaborazione del dolore vengano comunque toccati, peccato si tratti di un’analisi piuttosto superficiale. Gli attori principali sono convincenti, anche se nel finale McConaughey forse esagera e dà quasi la sensazione di star cercando l’ennesima performance da premiare. A sua discolpa, la scrittura del personaggio non è dalla sua parte.

Detto questo, nonostante gli evidenti limiti, ho trovato La foresta dei sogni un film godibile e sicuramente degno di una visione. Le musiche e la personificazione della foresta stessa aiutano Van Sant a rendere l’opera affascinante. La durata è probabilmente eccessiva, in alcuni punti l’attenzione potrebbe calare e sul finale i toni si avvicinano pericolosamente allo smielato. Eppure sprazzi di Van Sant sono pervenuti, dato che il film riesce comunque a coinvolgere emotivamente e a restituire il dolore del protagonista.

Mauro Paolino

Classe 1996, inizia a scrivere recensioni cinematografiche all'età di 15 anni. Appassionato di cinema, scrittura e storia dell'arte moderna, passa le sue giornate a guardare film, scrivere sceneggiature scadenti e coltivare la sua barba, nella falsa convinzione di sembrare un ragazzo intellettualmente impegnato.
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