
La battaglia di Hacksaw Ridge: la forza di un’idea
Con La battaglia di Hacksaw Ridge assistiamo ad un film di opposti ricco di significati profondi.
La battaglia di Hacksaw Ridge è l’ultimo film di Mel Gibson regista, uscito nelle sale italiane pochi giorni fa e già candidato in sei categorie agli Oscar.
È la storia vera di Desmond Doss, il primo obiettore di coscienza a ricevere la medaglia d’onore dell’esercito americano per le sue coraggiose azioni nella Seconda Guerra Mondiale. Desmond, infatti, si arruolò per partecipare alla guerra ma senza voler mai toccare un’arma né uccidere un uomo, poiché contro la sua religione.
Desmod (interpretato da Andrew Garfield) cresce in una famiglia di Avventisti del Settimo Giorno, una branca della Chiesa Cristiana che, tra le altre cose, rispetta il sabato come giorno di riposo settimanale. Desmond e suo fratello sono bambini agitati, amati dalla madre ma non considerati dal padre, ubriacone e reduce della Grande Guerra (Hugo Weaving). Come si scopre nel lungo incipit, sono proprio il suo contesto familiare e due eventi “critici” a segnare profondamente Desmond verso questa scelta di vita.
Arruolatosi e assegnato alla 77° Divisione di Fanteria del Capitano Glover (Sam Worthington) e del Sergente Howell (Vince Vaughn), Desmond è costretto a combattere già sul suolo statunitense per difendere le sue convinzioni. Nessuno crede a quello che il soldato Doss sostiene: ovvero, la sua decisione ferma di servire il Paese non come soldato ma come operatore sanitario. Vuole andare in guerra ma non vuole uccidere, bensì salvare vite, per tentare di ricucire i pezzi di quel mondo lacerato dalla guerra.
Ma ovviamente non è così facile, e Doss verrà bistrattato, picchiato, isolato, portato davanti a psichiatri e addirittura in un tribunale militare prima di riuscire a vincere la sua personale battaglia di fede. Dato un ultimo bacio alla moglie Dorothy (Teresa Palmer, quest’anno già vista in Lights Out e nel remake di Point Break), Desmond viene quindi mandato insieme ai compagni nel Pacifico, a Okinawa, per cercare di prendere la pericolosissima Hacksaw Ridge, una scarpata di roccia oltre la quale si nascondono i giapponesi. Lì battaglioni e battaglioni di americani si danno il cambio nel tentativo di occupare l’area, finendo mietuti barbaramente dall’artiglieria nemica, invisibile tra la nebbia, i fumi delle bombe e nei nascondigli sotto terra. Ma Desmond solo, grazie alla propria tenacia, vi riuscirà a salvare più di 70 commilitoni feriti, destinati ad una fine certa.
La Storia la ricorda come una delle battaglie più sanguinose della Seconda Guerra Mondiale: la campagna militare portò alla quasi totale distruzione dell’esercito giapponese e all’eliminazione di circa il 30% di quello americano. Da un lato l’armata nipponica impiegava in massa i kamikaze, dall’altra gli americani bombardavano con i reparti aeronavali, fino ad arrivare alla tragica conclusione della bomba atomica.
Mel Gibson con La battaglia di Hacksaw Ridge non ci risparmia nulla della crudezza della guerra. Se la prima parte, in cui conosciamo il personaggio di Desmond e la sua relazione con la famiglia e poi con la moglie, risulta quasi stucchevole nel suo canonico romanticismo, quando Doss entra in guerra il film cambia drasticamente registro. Persino la luce e la fotografia cambiano toni: da quelli chiari e limpidi della vita di campagna in Virginia, a riprese vivide e ravvicinate degli scontri bellici, in cui i colori dominanti sono quelli della terra, del fumo, del fuoco e del sangue. Tanto sangue.
Tuttavia sono gli opposti a risaltare in questo film: la guerra e la violenza contro la pace e la fede; la folle e irrazionale avanzata in battaglia contro la ragionata scelta di Doss, che fonda sulle proprie convinzioni la persona che è. Insomma, Mel Gibson riesce a dare vita alla storia di guerra di un uomo di pace, creando con Hacksaw Ridge un film degno di essere visto (e ricordato) per l’intensità delle gesta raccontate e per la bravura del regista di mostrare la duplice faccia della realtà.
Una realtà in cui si può sopravvivere solo aggrappandosi con tutto sé stesso alle proprie idee, per non perdere la testa in mezzo ad un simile massacro senza pietà. E parlare della fede di Doss (che in questo caso è religiosa ma si può considerare in senso più ampio, come fede in un’idea) è il giusto modo di ricordare cosa può fare il singolo uomo quando crede in qualcosa di grande.