Spotlight

La grande scommessa: perché no?

UNA STORIA AVVINCENTE, UN CAST STELLARE E UN’OTTIMA REGIA POTREBBERO NON BASTARE PER LA STATUETTA

Tra i film candidati all’Oscar c’è quello che alcuni hanno additato come The Wolf of Wall Street 2.0. Nulla di più sbagliato. La grande scommessa, nuovo colossal della Paramount, ha tutte le carte in regola per essere un film da Oscar.  A dirlo sono i numeri, sensazionali per un film che si sofferma su argomenti tutt’altro che facili da trattare in un film “per tutti”. Sì, perché The Big Short è una pellicola accattivante, divertente e, grazie a sapienti stratagemmi, comprensibile a tutti.

Partendo dunque dal presupposto che il film sia meritatamente in gara per l’Oscar, c’è da ammettere che in tale ottica se n’è parlato poco, in maniera forse inversamente proporzionale rispetto alla tanta pubblicità circolata sotto Natale. Forse proprio l’eccessiva reclame (sì, per la gioia di tutti i nonni la parola reclame esiste ancora) ha fatto sì che la pellicola venisse presa sottogamba, quasi presa come una sorta di nuova tamarrata ideata – grazie al supercast – solo per fare soldi. Ironico, visto che di soldi si parla.

I motivi per cui il film si è rivelato essere una macchina da incassi sono principalmente tre: 1) Per quanto complicato sia parlare di economia finanziaria a noi comuni babbei, il tema rimane comunque attuale per qualsiasi membro della società 2) La pubblicità l’ha pompato a mille 3) Ha un cast stellare. L’intento è riuscito, con più di 60 milioni di dollari incassati nei soli Stati Uniti. Ma venendo al lato che più ci interessa…

PERCHÉ NON SE LO CAGA NESSUNO?

La domanda viene spontanea. La critica si è concentrata su The Revenant – Redivivo (forse perché potrebbe essere finalmente l’occasione di dare l’Oscar a Tu Sai Chi*), che ha nella splendida fotografia la sua arma migliore. Anche Mad Max: Fury Road e Il ponte delle spie si sono accaparrati una buona fetta di spazio, mentre in molti sono d’accordo che l’avvincente Il caso Spotlight potrebbe essere il vero outsider. Considerare spacciato La grande scommessa in partenza potrebbe però essere un errore:
– Perché è coinvolgente, spassoso e velatamente drammatico
– Perché il format tagliato su misura da McKay (candidato anche per la “Miglior regia”) è accattivante, le musiche creano un ottimo contrasto con la drammaticità della situazione e il cast è diretto sapientemente
– Le cose sono spiegate talmente bene che un mio amico è venuto al cinema per mettere in chiaro i concetti prima di un esame (se ci stai leggendo, ciao Donatè).

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Dopo aver snocciolato una corposa lista di complimenti a Bale e soci, è giusto anche sottolineare come il principio che potrebbe portare alla mancata assegnazione della statuetta potrebbe essere quello di continuità. Sì, perché  sebbene il piglio sia decisamente diverso, l’effetto credit-cruch potrebbe indurre molti nella tentazione di fare parallelismi proprio con Il lupo di Wall Street. In generale, si ha comunque l’impressione che il genere venga sottovalutato, quasi ritenuto meno importante e più astratto di temi “seri” trattati da altre pellicole (e.g. 12 anni schiavo). Peccato, perché la crisi – come direbbe una straripante Marisa Laurito a Sanremo ’89 – è ‘na cosa seria. Ai fan di McKay e del suo prodotto resta probabilmente poco da fare: la sorte che toccherà a Gosling & Co. sarà proprio quella del film di Scorsese. Ma magari ci sbagliamo.

Per chi volesse capirne di più, nel caso non l’aveste ancora fatto, consigliamo caldamente la visione del film. La durata non è eccessiva (130′), il che rende lo svolgimento della vicenda abbastanza rapido ma non superficiale. I concetti sono espressi in maniera chiara e coincisa, fornendo esempi pratici per tutti noi ebeti che abbiamo seppellito i libri di matematica in giardino il giorno dopo la seconda prova di maturità (o se non avete fatto lo scientifico, anche prima). TheMacguffin.it vi augura una buona visione, non assumendosi nessuna responsabilità per la nascita di eventuali rancori verso finanziarie, banche, compagnie assicurative, hedge fund, agenzie di rating e strozzini.

*Si parla di D̶a̶n̶n̶y̶ ̶D̶e̶V̶i̶t̶o̶  Leonardo DiCaprio

Giuseppe D'Amico

Classe '93, venuto al mondo in una metropoli di 5000 anime sull'Appennino abruzzese. Da ragazzino ascolta musica, legge libri e soprattutto guarda un sacco di film con i suoi teneri amichetti in cameretta, proseguendo poi fino ai 23 anni. Osserva molto e scrive bene, almeno questo è quello che gli dice sua madre.
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