Film

La mafia uccide solo d’estate, l’educazione sentimentale nella Palermo di Cosa Nostra

Non è facile, ma può capitare che l’allievo superi il maestro: la mia personale vittoria consiste nell’essere riuscita a far vedere ai miei genitori un film italiano che non risalga agli anni ’70, nello specifico La mafia uccide solo d’estate (2013), interpretato e diretto da Pif, nome d’arte di Pierfrancesco Diliberto.

L’hanno gradito entrambi e mio padre non si è addormentato ai titoli di testa, un successo.

Cari miei, l’abbiamo detto tutti, almeno una volta, che il cinema italiano è messo male e non sarò certo io a dissentire; d’altra parte, c’è un certo tipo di pubblico che inizia a non accontentarsi più di Boldi & De Sica (ma è vero che hanno fatto pace, cazzarola?) e che risponde bene a film molto interessanti, che lasciano intravedere uno spiraglio di speranza in un mare magnum di cretinate.

Ammetto di essere partita prevenuta, perché Pif, per parlare fuori dai denti, mi è sempre stato sui cabbasisi di cui Madre Natura mi ha solo metaforicamente fornito; avendo però un certo interesse per i grandi avversari della Cupola e per i film storici e biografici in generale, mi sono affidata a Netflix e ho fatto bene.

Sinossi

Arturo Giammarresi è da sempre innamorato di Flora, sua compagna di classe che, diciamolo pure, non se lo fila granché.

Il ragazzino, appartenente a una famiglia delle media borghesia palermitana, coltiva il sogno di diventare giornalista, incoraggiato da Francesco/Claudio Gioè (I cento passi, La meglio gioventù), reporter costretto alla sezione sport perché le sue inchieste su Cosa Nostra non sono gradite nella città governata da Vito Ciancimino.

Mentre tenta senza sosta di conquistare la bella Flora, Arturo cresce e si trova al centro di tutti i grandi eventi di mafia dagli anni ’70 alla strage di Capaci, acquisendo consapevolezza di cosa sia la Cupola e del potere che essa esercita sulla città di Palermo.

Il primo aggettivo che userei per descrivere La mafia uccide solo d’estate (da cui peraltro è stata tratta l’omonima serie tv, di grande successo) è “adorabile“, nel senso meno stucchevole del termine, per la grazia con cui affronta un tema gravoso come la mafia.

Adorabile perché il filo conduttore della storia è l’infatuazione di Arturo per Flora, Cosa Nostra rimane sullo sfondo, fa da cornice ma non è la fotografia. Perché i grandi eventi capitano nel corso di una normale giornata di lavoro, di scuola, di vacanza: Arturo, come i palermitani suoi concittadini, li sfiora, li attraversa, li guarda da lontano.

Gli succedono. Ci succedono.

Adorabile perchè è una commedia delicata, che stempera il dramma con l’ironia: Rocco Chinnici, prima di essere un magistrato vittima di mafia, è il confidente delle pene di cuore di Arturo, Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile, gli offre le iris di ricotta al bar, i ruoli istituzionali cedono il passo agli esseri umani.

Il pericolo, in questo tipo di film, è di passare dal giusto elogio all’agiografia: qui Pif bara, in senso positivo, perché i grandi personaggi sono funzionali alla storia d’amore, quindi tu spettatore intuisci cosa stiano combinando Falcone e Borsellino, ti viene accennato qualcosa ma poi il fulcro torna ad essere Arturo Lo Sfigato.

E poi c’è Palermo, palcoscenico e prima donna al tempo stesso, Palermo città di gente allegra, Palermo di sangue, Palermo che d’inverno quieta, perché «stai tranquillo Arturo, la mafia uccide solo d’estate». Palermo che cresce con il ragazzo, che si sveglia dopo un lungo sonno e finalmente si ribella.

Pif si aggiudica il David di Donatello al Miglior regista esordiente e in effetti se la cava più come regista che come attore. La sua interpretazione di Arturo adulto è anche divertente ma fa troppe smorfie… Cosa sei, un’emoticon?

Lo surclassa senza dubbio Alex Bisconti/Arturo bambino, dalla recitazione non impostata e naturale: potrebbe essere davvero il nostro compagno delle elementari pasticcione, quindi un 10 e un cuoricino per lui.

E poi c’è Cristiana Capotondi/Flora: carina, elegante ma ce l’ha un’espressione diversa da quella da lapide, per citare Luciana Littizzetto, che sfoggia sempre? Sguardo fisso e broncio, da mane a sera. Per non parlare del suo fintissimo accento siculo (e qui entra in gioco la genetica, mio padre è catanese e io lo sento parlare in dialetto da che ho memoria, quindi mi sento titolata a sufficienza per dare un giudizio).

Per il resto non ho davvero critiche da muovere, bellissima Palermo (ma lo è già di suo), bravi gli attori secondari e ottima la colonna sonora.

Pietro Grasso l’ha definito il miglior film mai stato prodotto sulla mafia, io aggiungo che è un film beddu ‘ca cumma (letteralmente, bello certificato)

Ilaria Pesce

Pontifico dal 1990. La mia idea di sport è una maratona di film o di serie TV: amo il cinema drammatico, i gialli e la Disney. Sono una lettrice onnivora ed insaziabile. Ascolto musica di ogni genere ma soffro di Beatlesmania acuta. Mi piacciono gli spoiler. Tento di mettere a frutto la laurea in Lettere. Il mio sex-symbol di riferimento è Alberto Angela.
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