
La mia vita a Garden State
Oggi recensisco un film, La mia vita a Garden State (in originale semplicemente Garden State), che probabilmente conoscerete se appartenenti a una categoria ben precisa: il fan di Scrubs.
Io credo che il mondo si divida essenzialmente in tre tipologie: quelli che non conoscono Scrubs (poveri babbei), quelli che non hanno visto che qualche puntata random (stolti senza profondità) e quelli che, ad ogni finale di episodio, che contiene spesso una morale o un monologo sulla vita, stringono il cuscino mugolando ohmmioddioquantoèvvero.
Ecco io appartengo alla terza categoria e, come molti miei simili, non mi sono lasciato sfuggire l’esistenza di una pellicola passata quasi sotto traccia, avente come regista e protagonista Zach Braff, che in Scrubs interpreta l’ormai iconico JD, il sognatore e bizzarro dottore al centro delle vicende della serie.
Appena saputo di questo film credo di averlo cercato e guardato nel giro di poche ore, non sapendo bene cosa aspettarmi. La mia immagine di Zach Braff era indissolubilmente legata a quella di John Dorian, il simpatico imbranato pensieroso in cui tanto mi identifico tuttora, ma quella che mi apprestavo a guardare, a giudicare da internet, era una commedia drammatico-sentimentale, quindi tutto sarebbe potuto accadere: rimanere deluso, oppure indifferente, apprezzando il diversivo cinematografico, oppure ancora estasiato.
Beh, alla fine ho optato per l’ultima opzione.
Parto subito col dire che non stiamo parlando di un capolavoro che vi cambierà la vita, ma andiamo con ordine.
Zach Braff interpreta Andrew Largeman, aspirante attore trasferitosi a Los Angeles per cercare di far decollare la sua carriera, ma che, nonostante sia riuscito a rimediare qualche ruolo, è ridotto a lavorare in un ristorante vietnamita per sopravvivere. Sin dalle prime inquadrature spiccano alcune caratteristiche di Andrew: il suo modo di fare è costantemente apatico e senza vita, si muove nello spazio uniformemente, non cambiando mai espressione. Chi non conosce le interpretazioni di Braff nella serie, durante le prime fasi del film potrebbe pensare che non sappia proprio recitare. Andrew, invece, fa parte della cosiddetta generazione Y e fin da quando aveva nove anni, per colpa del padre psichiatra con cui ha un rapporto molto controverso, è dipendente da psicofarmaci che gli permettono di placare ansie e paure recondite, ma determinando al tempo stesso una costante accidia espressiva ed emozionale.
La morte della madre, da tempo costretta su una sedia a rotelle, costringe Andrew a tornare a Garden State, suo luogo natale, per le esequie.
Andrew si vede costretto a confrontarsi con tutti i suoi vecchi rapporti, persone che comunque non se la passano molto meglio di lui. Infatti, la vita di coloro che sono rimasti in questo angolo di America, in cui poche sono le opportunità di elevarsi dalle solite occupazioni e stili di vita, è scandita solo dal lavoro e, indovina indovinello, dalla prospettiva di buttare giù pastiglie come fossero orsetti gommosi durante il weekend. Andrew, in questa malvoluta reunion dei compagni delle medie e del liceo, si ritrova in questo meccanismo senza colpo ferire, lasciandosi apaticamente trascinare.

Nel frattempo però, approfittando del forzato ritorno, Andrew si sottopone a una visita per trovare la causa dei frequenti e potenti mal di testa che lo attanagliano ultimamente. Nella sala d’attesa farà un incontro inaspettato: una stramba e solare ragazza di nome Sam (Natalie Portman). La scena dell’incontro è una delle mie preferite in assoluto. New Slang degli Shins, una delle canzoni che, storicamente, più mi fa tamburellare i piedi e mi trasforma in un cucciolo di foca svezzato che si innamora di un gattino, rende la sequenza di una tenerezza senza fine.
L’incontro con Sam cambierà la vita e le prospettive di Andrew che, seguendo le particolari abitudini e hobby e di questa stramba ragazza, comincerà a sorridere e a guardare alla sua vita con nuove speranze, trovando anche il coraggio di affrontare gli eventi del suo passato che lo hanno portato a chiudersi completamente in sé stesso e nei farmaci.
Ora, lasciatemi fare una piccola digressione personale. Credo che Zach Braff abbia fatto questo film apposta per farmi innamorare, scegliendo Natalie Portman per questo ruolo.
Mia adorata, dolcissima e bellissima Natalie. Già di tuo sei una delle più grandi muse che storia ricordi, praticamente il mio canone di bellezza del terzo millennio. Come se ciò non bastasse a farmi guardare incantato il tuo viso, in questo film sei una stramboide sorridente e solare con le All Star ai piedi e le cuffione e, Signore onnipotente, giuro che ti sposerei domani stesso. Sono talmente innamorato del tuo personaggio che forse non pretenderei nemmeno di venire a letto con te. Vorrei solo passare la vita a prendermi dei gelati sulla passeggiata e a guardarci mentre ci sporchiamo la faccia di stracciatella, a tenerci per mano ridendo dei vestiti brutti ai mercatini e a saltellare sui prati. Ti scongiuro Natalie, se leggi questa recensione, questo è un messaggio diretto a te, sposami adesso, te ne prego… Natalie? Nat? ti giuro che ti renderò felice, ti porterò dove vuoi! Nat? ci sei? Rispondimi ti prego…
Ok, scusate… è stato un momento brutto, ora la smetto.
Questo film è di una sincerità e di una tenerezza sorprendente. Il fatto che Braff sia nativo del New Jersey (soprannominato proprio Garden State) e che il suo personaggio sia visibilmente così sentito e ben interpretato, potrebbe far pensare che in questa pellicola il confine tra biografico e scenico sia molto labile.
La regia è molto intima e l’uso dei colori connota spesso la scena. Le trovate di sceneggiatura di Braff dimostrano la sensibilità di questo attore, che si dimostra di eccezionale polivalenza, passando in modo fantastico dalla comicità di Scrubs alla drammaticità di questo film.
Consigliata la visione con il partner. Magari non ve la darà dopo questo film, ma un sorriso e un gelato ve li offrirà di sicuro.
P.S. colonna sonora da 10, selezionata dallo stesso Braff.
Dedicato ad un’altra Sam.