Film

La prima notte del giudizio: l’incubo ebbe inizio a New York

Dopo due anni dall’ultimo film uscito (Election Year), finalmente abbiamo avuto l’occasione di vedere un nuovo capitolo di questa saga davvero particolare.

Devo dire che per questa serie ho sempre tenuto le aspettative al loro giusto livello (diciamo medio-alto, senza dare troppo spazio all’enfasi), ma ciò nonostante avevo molta curiosità.

In primo luogo ero curioso di vedere gli effetti del cambio di regia (dopo tre film, l’ideatore della serie avrebbe lasciato la sua sceneggiatura in mani diverse). Ero curioso di vedere come sarebbe evoluta la saga dopo l’ultimo episodio e se sarebbe stato aggiunto qualcosa al suo corredo estetico o sociale.

Ma, al di là di tutto, ero interessato a vedere quel film che avrebbe finalmente dato risposta alla domanda “Qual è stata l’origine dello Sfogo?”

E com’è andata? Così così. Perché? Facciamo un rapido riepilogo logico e poi ci arriviamo.

LA TRILOGIA DI DeMONACO: costruzione di un film di genere completo

La notte del giudizio nonostante un bel cast e delle ottime idee al suo interno, venne stroncato alla sua uscita.

Guardando la saga nel complesso è il più debole dei quattro, ma ha un’importanza fondamentale: crea l’idea distopica alla base della serie, l’idea dello Sfogo (The Purge in inglese). Un’idea davvero semplice e diretta, e per questo vincente e affascinante: una notte l’anno ogni crimine è legale.

“Nella notte dello Sfogo o si vince o si muore. Non c’è una terza possibilità…”

Anarchia – La notte del giudizio, di contro, sceglie di lasciarsi alle spalle l’atmosfera del dramma “al chiuso” e di uscire per le strade della città, e dai quartieri alto borghesi del primo film, per farci vedere l’effettivo Sfogo. Come se fossimo in una specie di occhio del ciclone.

Ma in questo film, la svolta non è solo con l’azione (che diventa più presente e intensa): il regista DeMonaco decide di addentrarsi nella sua semplice idea, approfondendola e strutturandola.

Ma quello che avevamo avuto modo di vedere fino ad allora sembrava solo un “programma apollo“, una preparazione, un rodaggio di tutti quegli aspetti che avrebbero, poi, fatto da solide fondamenta al terzo capitolo: La notte del giudizio – Election Year.

L’idea controversa del primo film e “l’affresco sociale” tratteggiato in Anarchia, vengono messi come fondali per poter raccontare l’Odissea della senatrice Roan, Pequeña muerte, Leo Barnes (direttamente dal capitolo precedente) e del ricorrente personaggio di Dante Bishop nella New York City dello Sfogo.

Ma questo film ci presenterà anche una trama di complotti ed intrighi, con un movimentato e rocambolesco culmine. Fino ad arrivare al finale della trilogia, aperto, enigmatico e inquietante.

Questa volta De Monaco ci dà un capitolo completo sotto tutti i punti di vista: un’idea vincente e strutturata, sequenze d’azione ben gestite (soprattutto per quanto riguarda le loro premesse) con personaggi interessanti quanto basta e con una storia intrigante e fortemente satirica e grottesca.

La saga tocca, in questo terzo capitolo, il suo apice maggiore e lo fa con il Film di Genere nella sua migliore accezione: l’intrattenimento puro che vive del suo tempo e che ne assorbe l’attualità, facendola diventare un suo importante tassello.

2018: L’ESPERIMENTO SOCIALE CHE DOVEVA RIUSCIRE

E arriviamo a questo ultimo film uscito nelle sale (e ora anche nei vari negozi). Come già detto, DeMonaco decide di lasciare la sua sceneggiatura nelle mani di un altro regista per occuparsi del suo nuovo film (Once Upon a Time in Staten Island, ironico, non trovate?), e di portarsi dietro Frank Grillo, il Leo Barnes della serie.

Questo regista è Gerard McMurray, al suo secondo film, dopo Il codice del silenzio (uscito sulla piattaforma Netflix).

La prima notte del giudizio racconta la storia della prima forma assunta dallo Sfogo, una forma embrionale: un controverso e criticato esperimento sociale, volto a valutare l’efficacia della proposta appoggiata dal governo. Scelto come campo di ricerca il quartiere di Staten Island, la zona viene isolata e la sua popolazione invitata ad offrirsi volontaria per l’esperimento.

In molti si offrono, soprattutto per il compenso promesso ai partecipanti, ma le cose non vanno come gli ideatori e i promotori dell’esperimento si aspettano e tutti i progetti dei Nuovi padri fondatori sembrano destinati a fallire. Ma non sarà così, e noi del pubblico lo sappiamo bene.

Con l’uscita in home video, ho avuto modo di rivedere a distanza questa Prima notte e di rivedere alcuni miei giudizi in merito, all’inizio un po’ freddini.

Cominciamo col dire che questo film eredita tutto ciò che la serie era riuscita finora a creare, nel bene e nel male.

Continuano i riferimenti all’attualità, in particolare al governo. La campagna elettorale viene citata in uno dei poster promozionali del film e i Nuovi padri fondatori non perdono occasione di esprimersi con frasi tipiche dell’attuale presidente degli Stati Uniti.

DeMonaco, poi, non risparmia una certa macabra ironia sul modo di far funzionare lo Sfogo. Un modo tristemente realistico e la cui efficacia, nel mondo, è stata decisamente confermata.

Continua a persistere lo spirito horror, che sempre aleggia su questa serie action: dalle maschere grottesche agli scenari assurdi tipici dello Sfogo. Ma in questo film vengono inseriti diversi elementi nuovi, uno su tutti: le lenti a contatto. Uno strumento, in dotazione a tutti coloro che prendono parte all’esperimento, e che funge da “camera” per registrare i movimenti del soggetto.

Potrebbe sembrare solo un elemento fantascientifico, ma una volta in funzione, le lenti finiscono per emanare una luce colorata fosforescente sulla zona dell’iride. In sostanza, sarà facile distinguere chi prende parte allo Sfogo, in quanto questi si presenterà con occhi dai colori sgargianti e innaturali che lo avvicineranno di più a un demone che a un essere umano.

Una menzione, a questo proposito, per Skeletor.

Questo psicotico paranoico e drogato è croce e delizia di questo film: ha un carattere decisamente monolitico ed esagerato, ma sorprendentemente verosimile (tutti noi abbiamo visto o sentito di questo tipo di persone drogate, violente e fuori controllo).

La premessa che la sceneggiatura costruisce per lui è da manuale. Associando questa personalità alla situazione dello Sfogo che si prospetta, riusciamo a capire quanto sia pericolosa e terrificante una pedina del genere nella nostra storia.

Ma anche con altri personaggi, la sceneggiatura offre degli spunti davvero interessanti. Come il bel conflitto, a più livelli, di Isaiah che spingerà il ragazzo a partecipare allo Sfogo e a cercare di “fare del suo meglio”. Per non parlare dell’intricato personaggio di Dmitri.

“Chiamami Dmitri!”

E, parlando di Dmitri, anche questo film stabilisce un profondo legame con l’opera di John Carpenter, forse ancora più forte rispetto ai suoi predecessori.

Lo fa creando un personaggio come questo: una vera e propria miscela di anti eroi e antagonisti Carpenteriani. Napoleone da Distretto 13, Il Duca e Jena Plissken da 1997, John Nada da Essi vivono, Desolazione da Fantasmi da Marte e via discorrendo.

Senza contare i vari riferimenti sparsi per tutto il film che spaziano dai più espliciti a i più piccoli (come il poster del recente remake di Halloween appeso in camera di Isaiah).

Ma forse è proprio qui che il film mostra i suoi punti deboli. C’è fin troppo Carpenter.

Posate i forconi, per carità! Mi spiego meglio. Quando DeMonaco si è messo all’opera con la sua saga, ha cercato, pur emulando il suo maestro, di trovare un suo personale e definito stile. Un tentativo assolutamente riuscito.

Il povero McMurray, dal canto suo, non sembra riuscire a farlo. Segue lo stile dei film precedenti al suo e cerca di imitare quanto più possibile il mitico regista di 1997.

Personalmente non trovo un fatto positivo che un regista rinunci totalmente alla propria identità per tentare di ricrearne un’altra. Va bene mantenere uno stile, ma è vitale che un regista abbia una personalità forte abbastanza da poter dare anche il proprio contributo.

Anche perchè un risultato simile fa solo rimpiangere il fatto che a dirigere questo film non sia stato lo stesso James DeMonaco. O il sempre citato, ma raramente ingaggiato, John Carpenter.

Ma anche la sceneggiatura non è esente da critiche.

Presenza di personaggi stereotipati o non adeguatamente approfonditi, dialoghi mal scritti, sottotrame poco curate, elementi satirici presenti, ma in misura decisamente minore e abbastanza superficiali.

Senza contare che, tra le varie domande a cui il film risponde, l’interrogativo più interessante (Come è diventato così popolare lo Sfogo?) non riceve una risposta soddisfacente.

Su queste basi, appena uscito dalla sala, sarei stato pronto ad affermare che questo fosse il capitolo più debole della saga.

Ma devo essere onesto: questo film ha moltissime frecce al suo arco e, per quanto riguarda i difetti, perlopiù mantiene i medesimi della trilogia.

Alla mitologia non aggiunge nulla di particolarmente rilevante, ma con qualche buona idea fresca nella sua sceneggiatura e con una regia non eccelsa, ma nemmeno incapace di gestire la storia che deve raccontare, riesce a darci un onesto intrattenimento.

In ogni caso, uno spettacolo decisamente superiore alla media.

Marco Moroni

Nato nel maggio del 1995 a Terni, città dell'acciaio e di san Valentino. Dovete sapere che vicino alla mia città si erge, spettrale, un complesso di capannoni abbandonati. Quando eravamo bambini ci veniva detto che quelli erano luoghi meravigliosi, in cui venivano realizzati film come "La vita è bella" o "Pinocchio". Questo fatto ci emozionava e ci faceva sognare una Hollywood vicino casa nostra. Come il castello transilvano di Dracula, tutti cercano di ignorare quei ruderi ma, ciononostante, tutti sanno benissimo cosa siano e non passa giorno senza che si continui a sognare quel Cinema che nasceva a casa nostra. Chiedendomi cosa mi faccia amare tanto la settima arte, e perché mi emozioni così tanto al solo pensiero, potrei rispondermi in molti modi, ma sono sicuro che quel sogno di tanti anni fa abbia un ruolo più che essenziale.
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