
La ragazza d’autunno, resa d’immagine e fragilità nel cinema russo
Non è semplice comunicare un sentimento universale rispettando e restituendo la fragilità che attanagliava gli animi dei reduci dalla seconda guerra mondiale. Lo fa in modo prezioso Kantemir Balagov, giovane regista russo, che con La ragazza d’autunno ha ottenuto la menzione speciale al Torino Film Festival, è stato premiato a Cannes, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani ed è stato scelto per rappresentare la Russia agli Oscar 2020. Una sfilza di riconoscimenti per una pellicola che gronda verità grazie ad una regia intima dove regna la forza dell’immagine.
Nella Leningrado del 1945, a guerra conclusa, Iya, “la spilungona”, e Masha sono due giovani ex compagne d’artiglieria che si trovano a fronteggiare il traumatico abisso ereditato dall’esperienza bellica. Iya incapace di elaborare i propri turbamenti si incanta in delle paralisi improvvise, impantanata nel suo recesso vive una non vita, procede grazie a Masha, la quale si nasconde dietro dei sorrisi amari e cova dentro di se il desiderio di un figlio che non può avere, chiederà l’aiuto di Iya per curare le fratture di entrambe.
Vita e morte danzano brutalmente nel procedere di una narrazione cruda e cagionevole come chi le da vita; negli occhi delle protagoniste, come in quelli dei reduci nell’ospedale, si riesce a percepire una paura insita, marchiata dalle cicatrici sulla loro pelle, segno di un trauma mietitore che rende la morte triste consuetudine. Così La ragazza d’autunno procede per pause e silenzi densi di dolore, ogni parola è cavata grezzamente dalla bocca di Iya e di Masha che restituisce solamente sorrisi falsi. L’empatia è il sentimento cardine su cui si distendono i corpi freddi dei personaggi, la cui ferita viva della guerra stenta a rimarginarsi; la compassione reciproca per una brutale esperienza definisce tutti i rapporti della pellicola dove il trauma si manifesta nell’incapacità alla comunicazione, sempre faticosa e compassata.
Dal punto di vista formale Balagov dirige un lavoro esteticamente vegeto e vigoroso, i colori caldi rimandano ad un ambiente freddo connotando tutta la pellicola tra luci rosse, verdi e gialle. In particolare il verde brillante tinge ambienti, costumi e corpi incanalando tutto il film secondo una tonalità vivida e dirompente. La ragazza d’autunno fa dell’immagine un suo carattere forte, molti piani d’insieme appaiono come dipinti o affreschi in movimento.
Il promettente regista russo mostra cura e intimità anche nei movimenti della macchina da presa che appare umana e indagatrice, ogni inquadratura si predispone nella costrizione dei corpi, li ingabbia generando un senso di claustrofobia, centrale nella vicenda; inoltre in tutta la pellicola la musica è assente, la colonna sonora è corredata interamente dalle voci, dai respiri dei protagonisti, definendo in questo modo un racconto che possiede una propria anima (e rendendo più arduo e degno di nota il compito del regista).
La ragazza d’autunno (qui il trailer), dopo Tesnota la seconda opera del promettente Kantemir Balagov, si presenta così con ambizione come una storia intima sull’empatia nel delicato periodo della Russia stalinista, facendo intravedere doti registiche già largamente apprezzate. È nelle sale dal 9 gennaio.