
La ragazza nella nebbia, un buon giallo italiano. Ma il giallo è un po’ sbiadito
Un venerdì sera di fine luglio. Pizze a domicilio. Fidanzato che, sfinito da una giornata di lavoro e dai miei improperi di fronte a Reazione a catena (programma del cuore, perdonate), propone un ritorno alla civiltà lasciandomi scegliere, a suo rischio e pericolo, un titolo su Netflix.
Il cursore clicca su La ragazza nella nebbia, film del 2017 diretto dall’esordiente Donato Carrisi.
Il disgraziato, ovvero il suddetto fidanzato, non appena letta la trama, ha subito detto addio all’idea di un momento di relax davanti alla tv.
Avechot, cittadina alpestre altrimenti dimenticata da Dio, balza agli onori della cronaca quando Anna Lou/ Ekaterina Buscemi, sedicenne del luogo, scompare senza lasciare traccia.
Il detective Vögel/Toni Servillo dirige le indagini con metodi non ortodossi, coinvolgendo fortemente i media, che si gettano sul caso senza esitazione: viene dunque individuato un sospettato, il professor Loris Martini/ Alessio Boni.
Ma è davvero lui il sequestratore di Anna Lou o è l’opinione pubblica che lo etichetta come colpevole?
La ragazza nella nebbia è un buon film. La regia è ottima, così come il cast (Servillo e Boni, che accoppiata!), la fotografia davvero superba. Interessante anche Jean Renò, nel ruolo dello psichiatra e voce narrante, che esibisce un italiano abbastanza fluente.
E questi sono i pro.
Il contro gigante è la gestione del tempo: il film dura 127 minuti, che per un thriller è parecchio, se non troppo. Queste due ore sono distribuite in modo sbilanciato, la prima parte, diciamo di “preparazione”, risulta lunghissima, mentre la vicenda in sé per sé si esaurisce nel giro di mezz’ora, al più.
Sinceramente, non so dire se La ragazza nella nebbia mi sia piaciuto. Ne ho apprezzato molti aspetti, di cui ho elencato i principali, ma non posso dire che sia un giallo che ti tenga col fiato sospeso.
Ti lascia un po’ così, con l’amaro in bocca, ecco.
L’elemento su cui ci si concentra di più è l’intervento – a tratti, ingerenza – dei mass media nelle indagini. Il che va benissimo, visto che è lo stesso protagonista a premere perché i due mondi si mescolino: questa riflessione però è così preponderante da far passare in secondo piano il caso di cronaca e la sua risoluzione, snaturando l’essenza stessa del giallo.
Per il resto, La ragazza nella nebbia è un prodotto che merita di essere visto, anche perché è la prova che il cinema italiano, in mezzo a tanta immondizia, sta conoscendo una specie di Resurrezione.
P.s.: prossima settimana mi taccio e vediamo Cappuccetto rosso e gli insoliti sospetti, promesso.