Film

La Sabidurìa: Una confezione laccata per cioccolato di seconda mano

La Sabidurìa (“saggezza”) è un film slasher argentino del 2019 in concorso nella sezione Lungometraggi del Ravenna Nightmare Film Fest, per la regia Eduardo Pinto. Mara, Tini e Luz (Sofía Gala Castiglione, Paloma Contreras e Analía Couceyro) sono tre amiche carine e un po’ superficialotte, amanti delle feste e della spensieratezza, che decidono di trascorrere qualche giorno in un vecchio ranch della Pampa. Qui fanno la conoscenza di alcuni gaucho (i cow-boy argentini) e partecipano a un oscuro rituale a base di droga, preludio della lotta finale per la sopravvivenza in un contesto ruruale bigotto e misogino, poiché i proprietari della tenuta vorranno “utilizzarle” come bestiame.

La vicenda in stile Cane di paglia delle tre protagoniste, costrette a tirare fuori l’animalità necessaria a fronteggiare i suprusi di genere, è tradotta da immagini di portentoso impatto visivo. Il regista Eduardo Pinto estetizza le inquadrature ricorrendo a potenti cromie desaturate che esaltano la “demonizzazione” della campagna argentina. Peraltro Pinto è abilissimo ad andare contro certi cliché del filone, e strizza l’occhio alla mitologia locale per allontanare il più possibile il racconto dallo schema classico di Non aprite quella porta. Il trio di prime attrici e tutto il cast di supporto funziona, crede in ciò che fa ed evita di volare venti metri sopra le righe, ma i pregi de La Sabidurìa finiscono qui.

Qualsiasi filmmaker di talento (Eduardo Pinto, chiaramente, lo è) merita l’occasione di raccontare storie, eppure un film non è solo interessante costruzione di immagini; e soprattutto, quando si tratta di rape and revenge, non bisogna aver paura di sporcarsi le mani. La Sabidurìa presenta molte idee innovative per il genere, ma è caratterizzato da una povertà emotiva non certo all’altezza della perfezione tecnica o del potenziale del materiale di partenza. Si potrebbe soprassedere sulla noia provata nella fin troppo lunga (quasi un’ora!) introduzione dei personaggi e della vicenda, ma è impossibile accettare le mancanze di ritmo, pathos e climax emotivi nel secondo atto molto più thriller. La suspense non esiste, la violenza grafica viene pesantemente edulcorata e la ciliegina sulla torta viene offerta da una blandissima scena di stupro che, in veste di turning point, avrebbe dovuto essere il momento più disturbante di tutto il lungometraggio.

All’idea di cinema povera e laccata di Pinto, si aggiunge l’aggravante di un nullo interesse per lo sviluppo del discorso nel cinema horror sulla violenza di genere, sacrificato in nome della sola ricercatezza estetica. Con una meno traballante impalcatura narrativa e ben altro ritmo, sarebbe potuto essere una risposta argentina dalle tinte ghiaccio a quel diamante che fu Revenge; invece siamo dalle parti della perdibile esperienza da festival, insoddisfacente pure per il pubblico non avvezzo a spettacoli sanguinari e viscerali.

Riccardo Antoniazzi

Classe 1996. Studente di lettere moderne a tempo perso con il gusto per tutto ciò che è macabro. Tenta di trasformare la sua passione per la scrittura e per il cinema in professione.
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