
La scoperta: quando un’ottima idea ti marcisce in frigo
La scoperta, cioè un’ottimo soggetto prontamente cestinato
Io li odio quelli che criticano un film perché è lento. Li odio. Mi fanno sempre venire in mente quelli che insultano Tarantino per i troppi dialoghi o Woody Allen perché fa sempre lo stesso film da cinquant’anni: cazzo è proprio quello il bello! Poi però gli stessi ti vengono a dire “Che figo Orson Welles!” o “Che figo Dreyer!”. Certo che Welles e Dreyer sono dei grandi, ma la lentezza (che poi potremmo semplicemente chiamarla “approfondimento psicologico”) è parte del loro stile, anzi, parte del cinema. Ma, attenzione, la regoletta non vale solo per Orson Welles o Dreyer, ma anche per roba recente come Babadook, La grande bellezza, Her e qualsiasi altro (grande) film recentemente accusato di lentezza.
Ecco, questo non è il caso de La scoperta. La scoperta è veramente, veramente, veramente lento. Eppure stiamo parlando di un film di un’ora e quaranta, non di un polpettone di tre ore e mezza.
In un presente alternativo/vicino futuro un fisico, interpretato da Robert Redford (ROBERT REDFORD), ha dimostrato scientificamente l’esistenza dell’aldilà. La divulgazione della scoperta, oltre a regalare nuove prospettive sulla comprensione umana della vita dopo la morte, ha causato un’immane numero di suicidi.
Bon! Solo un riassunto di tre righe riesce a farti drizzare il faccione dal cuscino e far partire il film. La scoperta ha un soggetto semplicemente geniale, pieno di implicazioni etiche: nel caso di una scoperta simile sarebbe giusto divulgare la notizia? Quali sarebbero le reazioni più quotate? Cacchio, è una di quelle idee che da sole fanno già metà film! A quel punto basterebbe semplicemente seguire la china dell’idea, assecondarla, non credo ci voglia tanto. Invece no: il signor regista Charlie McDowell (figlio di Malcolm, che Dio lo abbia in gloria) ha evidentemente ereditato dal padre il feticismo per il Latte +, fattore decisivo per il risultato assolutamente deludente di questo film.
Innanzitutto ci troviamo tra le balle la solita, prevedibilissima storiella d’amore posticcia, strappalacrime, scontatissima, improbabilissima tra quel musone di Jason Segel (attore dalla carriera sfavillante, impreziosita da perle come Molto incinta, 2007 e Sex Tape – Finiti in rete, 2014) e Rooney Mara (che, casualmente, è l’ex compagna del regista). Lui ha l’espressività di un divano a penisola, lei è la classica finta cazzuta che si getta tra le braccia del primo mammalucco che si dimostra un minimo gentile con lei.
Il tutto si trascina per cento minuti con una lentezza esasperante, con una regia interessante come un documentario sulla burocrazia armena e palpitante come un monologo in slow-motion di Maurizio Costanzo. Nonostante un’ottima partenza il film si arena in un viaggio introspettivo scontatissimo, posticcio, stantio, con svolte di trama (quella sul finale non ne parliamo) telefonate come una sterzata di Suso sul sinistro.
Consigliato giusto se siete da soli in casa e avete voglia giusto di un po’ di chiacchiericcio di sottofondo che vi tenga compagnia.