
La stanza delle meraviglie è piena di ricordi, misteri e cinema
Feticismi da museo
Quando ero piccolo e moccioso mi piacevano da morire i musei di storia naturale, quei musei pieni di sassi, piante, scheletri, diorami e animali stecchiti impagliati. Non so bene perché, il fascino probabilmente di certi ambienti, la curiosità, un feticismo infantile per la formaldeide, non saprei, sta di fatto che continuano a piacermi, c’è qualcosa di affasciante per me in certi posti; penso che un po’ tutti i bambini abbiano provato un senso di meraviglia davanti a certe cose (momento amarcord che finirà all’istante, tranquilli). Quasi per caso mi sono imbattuto nel film “La Stanza delle Meraviglie” di Todd Haynes (regista famoso per “Lontano dal paradiso”, “Carol” e il film su Bob Dylan “Io non sono qui”), ispirato a un racconto di Brian Selznick (che firma anche la sceneggiatura) già autore di quel capolavoro di Hugo Cabret poi reso film da Scorsese (un altro regista a caso).
La storia di Ben e Rose, tra il 1927 e il 1977
Il film narra la storia di Ben, un ragazzino del 1977 orfano che vive con la zia e i cugini più o meno simpatici e passa il suo tempo cercando la verità che riguarda la sorte del padre che non ha mai conosciuto. La mamma di Ben è morta da poco (Michelle Williams), lui sogna lupi minacciosi ogni notte e coltiva una passione per il collezionismo che lo ha portato a trasformare camera sua in un museo pieno di cianfrusaglie (è comunque più ordinata di camera mia). Una sera Ben, come se la sfiga non si fosse già abbattuta su di lui a sufficienza, viene colpito da un fulmine che lo rende sordo. Questo episodio che porterà Ben a scappare dall’ospedale per delle cercare risposte a New York grazie a un indizio trovato in casa sua che potrebbe ricondurlo dal padre.
“Contemporaneamente” alla vicenda di Ben, seguiamo in parallelo la storia di Rose, ragazzina sorda del 1927 che vive col padre (che non la tratta troppo bene) che passa i suoi pomeriggi al cinema a guardare i film muti di una famosa attrice (interpretata da Julianne Moore) che la ragazzina venera conservando tutto ciò che la riguarda (perchè?). Così come Ben, anche Rose non gode di tanta fortuna a suo favore: all’uscita dal cinema un pomeriggio, scopre che è appena giunto il cinema sonoro e per una persona sorda come lei le cose si fanno più complesse. Anche Rose deciderà di recarsi a New York alla ricerca delle sue risposte esistenziali (che non anticipo per non fare spoiler, perché sono educato).
Un film muto atipico
Cosa lega queste due vicende così lontane nel tempo ma così vicine spiritualmente? Cosa accumuna Ben e Rose oltre la loro sordità? I due si incontreranno nonostante Ben viva nel 1977 e Rose nel 1927? Il babbo di Ben che fine ha fatto e perché Ben sogna dei lupi che lo sbranano senza pietà? Queste e tante altre belle domande troveranno risposta dopo la visione di questo piccolo gioiellino firmato Todd Haynes che purtroppo non ha trovato molta fortuna in sala e negli incassi.
Bisogna premettere che gran parte del film è composta da suoni e da musica, senza dialoghi, questo per farci immedesimare nei due personaggi e nella loro condizione di non udenti (spero di non aver scoraggiato nessuno dopo questa tremenda rivelazione). La regia della vicenda di Rose è impostata come se fosse un film del 1927: bianco e nero, muto e musica da orchestra (un omaggio vero e proprio al cinema muto di quegli anni poco prima dell’avvento del sonoro). La vicenda di Ben, invece, è più ricca di suoni: sentiamo della musica, i rumori degli oggetti ma non le voci delle persone (fino a un certo punto eh, tranquilli, sul finale ritornano a parlare tutti quanti per fare chiarezza riguardo la questione).
Come in Hugo Cabret, anche in questa storia di Selznick il cinema (in particolare quello muto) gioca un ruolo di primo piano sia nella narrazione che nello stile della regia, e anche in questa storia abbiamo dei ragazzini giovani ed innocenti che devono risolvere un mistero più grande di loro.
La stanza delle meraviglie
Che cos’è la stanza delle meraviglie? È una specie di grande armadio pieno di oggetti da collezioni museali e veniva esposta dentro musei, mostre o fiere (faccio l’acculturato ma prima del film non ne sapevo nulla eh). Perché mai un armadio pieno di animali impagliati, minerali e vecchi reperti archeologici custodito dentro un museo interessa così tanto due ragazzini di epoche diverse? I due ragazzini devono assolutamente raggiungere il museo di Storia Naturale di New York, che oltre che ad essere sede di conoscenza e di sapere scientifico, sarà proprio il luogo dove troveranno le risposte e l’aiuto necessari per risolvere il bandolo della matassa che li lega. La stanza delle meraviglie è la sede di queste risposte, è la casa del segreto ultimo che lega questi due personaggi così soli ma così vicini senza che loro lo sappiano.
Momento poesia finale
Un film non perfetto, qualche cliché di trama già visto varie volte abbassa il livello, ma la storia, il mistero che lega queste due vite e la regia di Haynes rendono questa pellicola magica e affascinante creando un ponte con le atmosfere di Hugo Cabret; non ci fa dimenticare la bellezza della nostra amata sala cinematografica e il piacere di rimanere sorpresi davanti alla meraviglia delle cose. Forse, la soluzione di tutta la storia, sta proprio nel saper vivere le meraviglie della vita di ogni giorno (momento poetico finito, dissolvenza).