
La storia di Ian Curtis – Control (2008)
“Love will tear us apart”
Iniziare la recensione di un film sul leader dei Joy Division con il titolo di una loro canzone può sembrare banale, eppure spiega il tutto più di mille introduzioni.
Svelato il mistero, il film di cui voglio parlarvi oggi è Control, pellicola biografica sulla vita Ian Curtis, cantante dei Joy Division e simbolo di quella che è stata la prima generazione Post Punk/New wave. Premetto subito che il film è uno dei miei preferiti e adoro questa band come poche altre, quindi sì, sono di parte, ma guardatelo e poi mi direte se non ho ragione ad assegnargli quelle cinque stelline. Concorda con me anche il collega Riccardo Cavagnaro, che proprio su questo sito lo ha inserito nella top ten dei miglior film sul rock, alla quale vi consiglio di buttare un occhio.
Per i blasfemi che non conoscono la storia vi faccio un riepilogo della trama:
Ian (Sam Riley) è un diciassettenne che vive nei pressi di Manchester, coltivando la passione per la musica e sognando la fama con la sua band. Nel ’73 conosce la ragazza di un suo amico, Debbie (Samantha Morton), che subito si innamora di lui; dopo una breve (decisamente troppo breve) frequentazione si sposano. L’anima poetica del protagonista emerge sempre di più nei testi della sue band, “i Warsaw” e riesce finalmente ad ottenere la possibilità di esibirsi in pubblico. Nel frattempo la coppia ha una bambina. Ian trova lavoro presso un ufficio di collocamento dove incontra una ragazza malata di epilessia, che lo sconvolge con un improvviso attacco. Questo lo spunto per la scrittura della prima grande canzone della band, che ormai ha assunto il nome di Joy Division: si tratta di She’s lost control, scritta proprio dopo la morte della ragazza e a cui è ispirato anche il titolo del film.
And she turned to me and took me by the hand
And said “I’ve lost control again”
And how I’ll never know just why or understand
She said “I’ve lost control again”
And she screamed out, kicking on her side
And said “I’ve lost control again”
And seized up on the floor, I thought she’d die
Più la fama del gruppo cresce più entra in crisi la vita coniugale della coppia, e Ian si rinchiude sempre più in se stesso, allontanandosi dalla moglie e dalla figlia. Durante un concerto il cantante incontra Annik (Alexandra Maria Lara), giornalista belga, che dimostra subito un forte interesse per lui; tra i due nasce una storia che accresce in lui il senso di colpa verso la sua famiglia. Nel frattempo iniziano i terribili attacchi di epilessia del protagonista: il suo modo frenetico di cantare e di ballare sul palco ne causano uno proprio durante un concerto. Dopo l’ultimo, tremendo attacco, Ian, solo in casa della moglie da cui ormai si è separato, stanco e depresso a causa delle medicine che deve prendere per combattere la sua malattia, si impicca a soli ventitré anni; non conoscerà mai il grande successo che i Joy Division hanno avuto.
Parte della sceneggiatura è stata liberamente tratta dal romanzo autobiografico di Deborah Woodruff Curtis Touching From a Distance e la regia è affidata ad Anton Corbijn, famosissimo fotografo e videomaker (fotografo ufficiale e regista di videoclip di band come Depeche Mode, R.E.M. e così via, qui al suo primo lungometraggio), scelta che risulta ottima visto che la carriera dello stesso Cobijn iniziò proprio grazie ai Joy Division, per i quali arrivò a viaggiare in tutta l’Europa immortalando una serie di scatti memorabili che hanno fatto storia.
La sua bravura a livello visivo è quindi indiscussa e qui si traduce in una fotografia in bianco e nero (il film inizialmente non era girato in bianco e nero ma poi Corbijn stesso ha detto che non avrebbe mai potuto immaginarsi un film sul suo amico a colori) penetrante e malinconica quanto basta per esprimere al meglio la figura romantica, disperata e complessa di Ian Curtis. Va appunto precisato che questo è un film sul cantante e non sulla band; a parte le scene live, infatti, gli altri componenti compaiono poco, senza tra l’altro incidere per personalità, e ciò appunto (e con una scelta stilistica coraggiosa) rende questa pellicola non un film strettamente musicale, diverso ad esempio da tanti altri che sono movimentati e frastornanti. Forse proprio perché Ian per primo era lontanissimo dallo standard tipico della “rockstar”.
Per la colonna sonora i The Killers hanno prodotto una cover della canzone Shadowplay. Le altre canzoni dei Joy Division, presenti nel film, sono cantate e suonate dagli attori che interpretano la band, ad eccezione di Love will tear us apart e Atmosphere, presenti nelle versioni originali del gruppo. Le canzoni di artisti anni Settanta come David Bowie e i Sex Pistols sono riprese da registrazioni dell’epoca. Se da una parte ci sono i pezzi degli stessi Joy Division e delle band in voga in quel periodo, dall’altra ci sono i silenzi per definire le due anime di Curtis. Il cantante che si dimenava sul palco sotto gli occhi ammirati dei fan, e il ragazzo privato, confuso e straziato.
Altra grande nota di merito in questo film va all’attore inglese Sam Riley, che ci regala una delle migliori reincarnazioni di una celebrità riportata in vita al cinema. Il carisma e il tormento del cantante rivivono sul suo volto e nei suoi gesti, resi ancor più reali da un utilizzo della macchina da presa che senza nessun tipo di artificio ci consegna Ian Curtis, nudo e crudo.
Detto questo è un film che assolutamente bisogna vedere se si è amanti della musica in generale perché davvero merita.