
L’albero della vita – The Fountain: esiste vita dopo la vita?
Non so che tipo di rapporto voi abbiate con Darren Aronofsky – uscito di recente al cinema col discusso e controverso Madre! – io lo adoro! Amo un sacco le personalità cinematografiche che senza paura né remora mettono in mostra la loro idea, il loro progetto, la loro arte. Aronofsky è uno di questi, difatti nella sua variegatissima filmografia c’è sempre stata una costante: l’originalità. Ma questo non è un articolo su di lui, quindi andiamo a parlare di questa pellicola, la quale costituisce il suo terzo lavoro: L’albero della vita – The Fountain.
Immagino abbiate già capito dall’immagine sovrastante che questo è un film giusto un pochino onirico. Ottimi osservatori, davvero, ma non è proprio così, o almeno, non soltanto.
La trama si svolge lungo tre linee narrative diverse, almeno apparentemente. No, non ci saranno spoiler, tranquilli.
PIANO REALISTICO: viene rappresentata la storia vera e propria, con i personaggi, il susseguirsi delle loro vicende, ecc… I protagonisti sono Tomas Creo (Hugh Jackman) e Isabel Creo (Rachel Weisz), marito e moglie. Sì è un film che narra una storia d’amore, ma manco per il cazzo vi sognate che tipo di storia d’amore, ergo no, non ci sono scene sdolcinate e ultraromantiche. Il sesso sì, quello lo fanno. Bravi.
Oh, dimenticavo. In questo film Hugh Jackman non ha la barba (almeno non sempre… tranquilli poi vi spiego) e questo significa che è uno di quei film in cui il buon vecchio Logan recita bene. Oggi mi sono svegliato con l’infame spregiudicato nel corpo, state attenti. Non me ne vogliate, ma sembra che per Hugh Jackman essere Wolverine sia sinonimo di “vabbè oggi mi impegno poco”. Parliamone, è interpretando altri ruoli che ha dimostrato di essere un signor di attore. E che cazzo.
Anyway, anche la sua consorte (sempre Rachel Weisz) in questo film è bravissima e soprattutto sempre sul pezzo nell’interpretare un personaggio delicato, davvero toccante in alcune sequenze.
PIANO FITTIZIO: Aronofsky non aveva intenzione di rendere L’albero della vita una banale e scontata love story, no, il suo progetto mirava a percorsi filosofici decisamente più intensi ed elevati (più avanti vi spiego anche questo). Andiamo con calma. QUI Hugh Jackman ha la barba. Gli si è rotta la lametta? Ha perso un braccio? È diventato un clochard? Molto vicini in tutti e 3 i casi, ma non proprio. Isabel è una scrittrice e sta scrivendo un romanzo ambientato nella Spagna dell’Inquisizione nel quale i protagonisti sono, ancora una volta, suo marito e lei, ovviamente in ruoli diversi. Hugh Jackman, interpretando in questo romanzo un conquistador, ha la barba, maaaaaa recita comunque bene. Sospiro di sollievo.
PIANO DEL “EH? COSA? NON STO CAPENDO AIUTO” ALTRIMENTI DETTO PIANO ONIRICO/METAFISICO: “Eh ma che palle questi film intelligenti, io voglio l’azione”. Zitto e ammira. In questa parte Aronofsky tocca una vetta artistica decisamente elevata. Lungi da me dirvi il perché e il come, cadrei inevitabilmente nel burrone dello spoiler. Ma una cosa posso dirvela: queste fasi de L’albero della vita sono caratterizzate da sequenze visive spettacolari, ma la cosa ancor più bella è che non sono realizzate con effetti speciali. Stiamo calmi, non sono un detrattore degli effetti speciali, solo mi fanno cagare quei film in cui viene usata in modo troppo massiccio la CGI, molto meglio gli effetti speciali manuali. Ecco: Aronofsky ha scelto, per rappresentare le sequenze oniriche, di utilizzare microfotografie di reazioni chimiche poi zoommate. OMMIODDIO SONO BAGNATO, SEI UN GENIO, VOGLIO VIVERE NEL TUO CERVELLO.
N.B.: QUI Hugh Jackman è senza barba e PELATO. A voi i commenti.
Pensavate che fosse finita qui? E invece no: i tre piani narrativi si intrecciano, si mescolano, creano legami psico-fisici, esistenziali e ombelicali (?) tra loro, finendo col diventare una cosa sola. No, sul serio, nessuna delle tre narrazioni ha senso se si escludono le altre due. Ma niente paura, arriverete comunque alla fine del film senza averci capito un cazzo. Tuttavia rimarrete pervasi da un senso di bello come pochi, con solo due possibilità di conclusione: in lacrime o con il sorriso. Io mi sono messo a piangere come un neonato di 4 kg che ha fame.

I film che parlano con le immagini sono il mio nutrimento e qui a maggior ragione parliamo di albero della vita, quindi vengo nutrito molto bene. DEVO SMETTERE DI FARE BATTUTE DI MERDA! Comunque, L’albero della vita è assolutamente un film che parla per immagini e che tramite esse trasmette tutta la sua essenza. Lo spettatore viene coinvolto da ciò che osserva, entra a farne parte (complici anche le favolose musiche di Clint Mansell), a far parte di una storia che è fortemente individuale ma che proprio per questo diventa universale. Vero Dante?! Parliamo di un film decisamente pretenzioso, ma non poteva essere altrimenti vista la portata degli argomenti.
Aronofsky prova, con tutti i mezzi a suoi disposizione, a dare una risposta alla fatidica domanda: “Si può sconfiggere la morte?” o ancora “Che cos’è la morte?”. La risposta di Tomas Creo è: “La morte è una malattia, si può sconfiggere”. La mia risposta è guardatevi il film, non capiteci un cazzo, riflettete e ammirate. Fatto ciò andate ad osservare coi vostri occhi l’albero della vita dal vero, recentemente scovato, di seguito una sua fotografia.
