Billy Wilder è un regista della madonna. Mi aveva già colpito fortissimo la faccia con quel capolavoro di Sunset Boulevard, che personalmente considero uno dei film più importanti di sempre di Hollywood e del cinema internazionale. Wilder, tuttavia, è stato anche un genio della commedia. Genio, appunto, perché come la maggior parte degli autori che si sono mossi in questo genere è sempre stato capace di conferire ad esso un sostrato di profonda riflessione sociale, in cui commedia e tragedia spesso si toccano e si contaminano. Penso ad esempio al maestro indiscusso della commedia all’italiana, Mario Monicelli. Ne L’appartamento succede esattamente la stessa cosa, seppur declinata in una lucida analisi del capitalismo alienante.
Oggi, però, non vi voglio parlare de L’appartamento; o meglio: non solo.
Il riferimento alla commedia all’italiana è utile, perché ci conduce in via diretta a una delle sue forme di estremizzazione più parossistiche. Sto ovviamente parlando di Fantozzi. Sorprendentemente i due film citati hanno parecchi elementi in comune.
In realtà i due film hanno in comune “solo” la figura del proprio protagonista, in entrambi i casi, seppur in modi completamente diversi, emblema dello sfigato. Questa caratteristica, di rimando, influenza tutti gli ulteriori elementi delle pellicole. Andiamo quindi a vedere più da vicino questi due sfigati.
Il lavoro
Che Fantozzi sia un ragioniere non è di certo una novità; tant’è che nella maggior parte dei casi il nome del personaggio è accompagnato dall’epiteto che ne identifica il ruolo lavorativo. E già questo potrebbe essere un elemento significativo.
C. C. Baxter, protagonista de L’appartamento, è invece un contabile. Sono ruoli sicuramente diversi ma che indubbiamente condividono molti punti in comune. In particolare, per quanto ci riguarda, gli elementi salienti da considerare sono due: il lavoro in ufficio che produce alienazione e il ruolo di subordinazione – per non dire di sudditanza – a cui sono sottoposti i due protagonisti.
La sudditanza
Dicevo che Fantozzi è il risultato estremo delle riflessioni sviluppate dalla commedia all’italiana perché mentre quest’ultima si proponeva come strumento di denuncia e a tratti lasciava vedere spiragli di redenzione per i suoi altrettanto sfigatissimi protagonisti, Fantozzi invece si trasforma in tragedia totale espressa tramite il linguaggio della commedia: ovvero la più genuina manifestazione del tragicomico che l’Italia cinematografica abbia mai prodotto.
Quando penso a Fantozzi mi viene sempre in mente mia madre che spesso fatica a guardare le “imprese” del ragioniere proprio perché “non fanno ridere, mettono tristezza”. E il punto è proprio questo. Sulle prime, magari, le disgrazie continue che colpiscono Fantozzi fanno ridere perché assurde e grottesche. Ma alla lunga, nel continuo ripetersi di tragedie inenarrabili, lo spettatore smette di ridere e comincia a provare una forte pena per lo sfigatissimo ragioniere. Questo è ciò che fa scaturire la riflessione profonda di Fantozzi e qui sta tutto il genio di Paolo Villaggio.
Ne L’appartamento il contesto è simile. C. C. Baxter non affronta di certo situazioni a tal punto paradossali e grottesche come accade a Fantozzi, ma anche lui non se la passa per niente bene. Il meccanismo che utilizza Wilder, però, è rovesciato rispetto alla parabola fantozziana.
Se Fantozzi, ogniqualvolta tenta la sua scalata sociale, viene respinto verso il basso con forza – fino a confinarlo a nuotare nell’acquario coi pesci; Baxter riesce ad avanzare promozione dopo promozione. Tuttavia la promozione, nel suo caso, non corrisponde all’emancipazione. Infatti, più il contabile sale di livello – fino ad arrivare addirittura al ruolo di vicedirettore – più la sua sudditanza nei confronti di chi il potere lo detiene per davvero aumenta. In pratica non appena Baxter mostra segni di disobbedienza viene minacciato di perdere tutto ciò che ha “guadagnato”.

L’abitudine all’insuccesso
Entrambi i protagonisti sono personaggi che non riescono mai. Sono i classici che ottengono un appuntamento con una donna e poi si ritrovano ad aspettarla fino a notte fonda senza capire che non arriverà mai, come in effetti succede ne L’appartamento.
Si viene quindi a creare una forte dialettica tra la dimensione del potere – visto nella sua dimensione soggiogante – e la possibilità, sempre negata seppur con una significativa eccezione, dell’espressione della propria individualità attraverso il successo, sia personale che lavorativo.
Baxter e Fantozzi sono due uomini passivi, che subiscono la vita, abituati a non avere un’individualità. Fantozzi è la rappresentazione dell’uomo medio caprone che ripete a macchinetta gli ordini che gli vengono imposti – la questione de La corazzata Potëmkin e di Griffith ce la ricordiamo tutti. Baxter è quello che si illude di essersi liberato dalla sudditanza nei confronti dei superiori, salvo non rendersi conto che ha accettato una sudditanza di qualcuno che lo schiaccia ancora di più.
Ah. E non dimentichiamoci l’insuccesso con le donne.
Tra i due personaggi, comunque, intercorrono anche alcune differenze.
Immobilismo vs. dinamismo
Fantozzi dipinge chiaramente un universo in cui il cambiamento non è possibile. La satira di Paolo Villaggio s’innesta proprio sull’immutabilità della situazione vigente, in cui i ruoli sono predefiniti dalla nascita e la scalata sociale non è possibile. Solo in questo modo la satira fantozziana può funzionare, in quanto è volta a dipingere il volto più infame dell’Italia, di cui Fantozzi è solo una delle tante vittime.
Baxter, come dicevamo anche più sopra, ha invece delle possibilità, che sono sì illusorie, ma che progressivamente lo portano ad accorgersi della situazione in cui è immerso e a tentare una reazione.
Pessimismo vs. ottimismo
È chiaro che la parabola alienante di Fantozzi non ha fine, né tantomeno via d’uscita. Anzi, se possibile, la condizione del ragioniere peggiora progressivamente.
Vedere Fantozzi mi rimanda sempre a Verga e alla sua concezione dell’immobilismo storico. Il contesto, da Verga a Fantozzi, è di certo mutato, ma i meccanismi che lo regolano sembrano gli stessi. Chi nasce torto, non può morire dritto.
Ne L’appartamento, invece, Baxter, meglio tardi che mai, alla fine si rende conto della situazione di sudditanza in cui si trova e sceglie di reagire.
Certo, è difficile, almeno per me, dire che quello de L’appartamento sia un ottimismo puro e completo. Il finale, per quanto gratificante, ci presenta comunque due disoccupati in cerca di fortuna. E anche il riferimento finale al gioco è significativo. Poi sicuramente la condizione di Baxter migliora, almeno spiritualmente, rispetto all’inizio: egli riconquista la propria individualità. Ma a che prezzo?
E qui Fantozzi e L’appartamento si ricongiungono. Per vivere nella società moderna, quella industriale, devi accettarne le regole, ma questo è un gioco in cui ci sono pochi dopati protetti e che godono dei benefici, a fronte di una moltitudine di sfigati che ne subiscono le conseguenze.
La soluzione sembra, pirandellianamente, l’eremitismo. Ma l’uomo medio, forse, è troppo stupido.