Forse vi sembrerà incredibile, ma c’è stato un periodo in cui, se ammettevi di apprezzare un film di Michael Bay, la gente non si faceva il segno della croce a mo’ di scongiuro. Potevi arrivare lì, dire che ti era piaciuto Armageddon e nessuno ti avrebbe insultato o costretto a una “cura Ludovico” dell’opera omnia di Ingmar Bergman. Poi è arrivato Internet e in breve tempo “Mr. Explosion” è diventato una barzelletta vivente.
Tra deflagrazioni esagerate, patriottismo a palate, belle donne diversamente vestite, rallenty non necessari e scavalcamenti di campo, i film di Bay sono assurti ad emblema del cattivo cinema. Non è d’aiuto il fatto che nella filmografia del regista statunitense figurino titoli aventi effettivamente sceneggiature discutibili (Pearl Harbor), se non addirittura ridicole (6 Underground).

Eppure, se mi permettete di fare l’avvocato del diavolo, bisogna riconoscere che, nel bene e nel male, Michele Baia è un tassello importante nella storia della Settima Arte, essendo riuscito a inventare e imporre uno stile filmico personale e riconoscibile (il cosiddetto “Bayhem”). Da questo punto di vista è davvero difficile non parlare di lui come di un autore, per quanto controverso possa essere. E al netto dei (parecchi) difetti, c’è senz’altro del fascino nella sua estetica “videoclippara”, nei suoi movimenti di macchina arditi e nel suo montaggio serrato.
Tutti elementi presi dal cinema di Tony Scott (di cui Bay è forse l’unico vero erede), ma che il regista di Transformers ha saputo fare suoi, dando vita a un modo totalmente inedito di concepire l’immagine in movimento. Una “poetica del dinamismo”, se così possiamo definirla, che in presenza dei giusti script (e budget, possibilmente medio-bassi) è stata anche capace di valorizzare il materiale di partenza e plasmare piccole gemme che risplendono nella filmografia tutt’altro che eccezionale del regista.
Perciò diamo a Cesare quel che è di Cesare e, seguendo lo spirito del “ha-fatto-anche-cose-buone”, andiamo a vedere quali sono le pellicole che possiamo salvare dalla damnatio memoriae a cui i cinefili snob vorrebbero sottoporre le opere di Michael Bay.
5. Bad Boys (USA, 1995)
Esordio col botto per Bay, che nel 1995 compie il salto dai video musicali al cinema con un buddy cop movie diventato subito cult. Spettacolare, divertente, mezzo improvvisato (storia vera), Bad Boys è il più “tonyscottiano” dei film del regista (la fotografia calda e i forti contrasti luce-ombra non possono non ricordare Beverly Hills Cop 2 o Top Gun). Un poliziesco crudo e al contempo “stiloso”, che pur inserendosi nel solco tracciato da decine di classici, riesce a rivoluzionare la formula dall’interno.
Per esempio proponendo una coppia di sbirri di colore (quando la norma era uno bianco e uno nero). Proprio i protagonisti rappresentano la carta vincente: Will Smith e Martin Lawrence, all’epoca entrambi agli inizi, formano un duo affiatato ed esplosivo, credibile sia nelle parti più comiche che quando entrano in scena le sparatorie. Grazie a questo film il primo troverà il successo a Hollywood, mentre il secondo il miglior ruolo della sua carriera.
4. The Island (USA, 2005)
A mani basse una delle pellicole più sottovalutate di Michael Bay, che qui si cimenta con la fantascienza umanistica. Protagonisti della storia sono Lincoln 6-Echo (Ewan McGregor) e Jordan 2-Delta (Scarlett Johannson), presunti sopravvissuti a un disastro ecologico che scoprono che il mondo in cui vivono è una farsa e che loro due non sono altro che cloni creati per fornire organi “di ricambio” ai propri originali.
Con The Island, Bay firma un ambizioso e intrigante thriller sci-fi che guarda a Non lasciarmi, THX 1138 e La fuga di Logan, arricchito da tonnellate di azione ed effetti speciali. Proprio questo aspetto potrebbe far storcere il naso a chi cerca qualcosa di più serio e intellettuale. Eppure, al di là del fattore intrattenimento, la pellicola riesce anche a stimolare riflessioni non banali sul libero arbitrio e il diritto alla vita. Flop clamoroso alla sua uscita, meriterebbe di essere riscoperto seduta stante.
3. The Rock (USA, 1996)
Scusate, ma qui ci troviamo dinnanzi a un autentico caposaldo dell’action anni ’90. Forte di una sceneggiatura a cui hanno lavorato (non accreditati) anche Quentin Tarantino e Aaron Sorkin (!!), Michael Bay realizza quello che in molti giustamente annoverano tra le sue pellicole migliori. Una sorta di “Die Hard su Alcatraz” in cui un’ex spia inglese e un eccentrico agente dell’FBI devono fermare un generale che ha occupato l’isola-prigione, minacciando di lanciare sulla Bay Area missili pieni di gas nervino finché le famiglie dei soldati morti sotto il suo comando non verranno risarcite dal Governo.
The Rock è un vero gioiellino, un thriller appassionante e dal ritmo incalzante, capace di inanellare una serie di scene d’azione una più bella dell’altra, su cui spiccano l’inseguimento automobilistico per le strade di San Francisco e il drammatico mexican standoff nelle docce del carcere. Irresistibile la coppia (improbabile) di eroi, formata da un Sean Connery in versione “James Bond invecchiato” e da un Nicolas Cage all’apice della fama, prima che si svendesse al primo che passa, e ancora sopra le righe al punto giusto. Ma a rubare la scena è proprio l’antagonista, un Ed Harris monumentale che dà corpo a un villain umano e complesso, a cui ad un certo punto viene quasi da dar ragione.
2. 13 Hours – The Secret Soldiers of Benghazi (USA, 2016)
La prima esperienza di Michael Bay col cinema bellico (Pearl Harbor) non era andata benissimo. Fortunatamente il secondo tentativo può dirsi decisamente più riuscito. Per l’occasione il regista ricostruisce gli eventi che, l’11 settembre del 2012, portarono all’assalto del consolato statunitense di Bengasi, in Libia, da parte delle milizie islamiche. E nel farlo realizza la cosa più vicina a Black Hawk Down che abbia mai visto.
Con 13 Hours siamo di fronte non solo a uno dei titoli più maturi del regista, ma a un war movie solido e serrato, che cala lo spettatore in due ore e venti di guerriglia urbana girata come Dio comanda e in cui non c’è un attimo di respiro. Ad impreziosire il tutto ci pensa il convincente cast, comprendente James Badge Dale, Max Martini e John Krasinski in un inedito ruolo muscolare (ma non isolato, vedasi Jack Ryan). Qualcuno potrebbe obiettare che il film sia troppo conservatore, ma se dovessimo giudicare le opere cinematografiche soltanto in base alle fazioni politiche allora dovremmo bruciare mezza filmografia di Clint Eastwood. Per quanto mi riguarda, 13 Hours è ottimo cinema, a prescindere che sia di destra o di sinistra.
1. Pain & Gain – Muscoli e denaro (USA, 2013)
Il film più sorprendente di Michael Bay. Nel senso che non penseresti che l’abbia diretto lui. Invece si tratta di un progetto che il nostro amico ha inseguito per anni, ispirato a un fatto di cronaca così folle e grottesco che non poteva che essere americano. Ambientato nella stessa assolata Miami anni ’90 di Bad Boys, Pain & Gain segue le (dis)avventure di tre bodybuilder (Mark Wahlberg, Dwayne Johnson e Anthony Mackie) che, a corto di soldi e stanchi di faticare per ottenere briciole, rapiscono un riccone e lo costringono a cedere loro tutti i suoi beni, per poi tentare di ucciderlo. Questi però sopravvive e ingaggia un detective privato per incriminarli, dando inizio a una catena di eventi deliranti e imprevedibili.
Affidandosi alla penna di Christopher Markus e Stephen McFeely (sì, proprio gli sceneggiatori di Avengers: Infinity War ed Endgame), Bay firma una brillante e cattivissima commedia nera à la fratelli Coen, con echi pure di Scorsese, Tarantino e Harmony Korine. Un vero unicum nella carriera del cineasta, capace di mettere alla berlina con intelligenza il mito del Sogno Americano e la cultura del “machismo”, in pratica tutto ciò che i precedenti film di Michael “BOOM” glorificavano. Sana autocritica o semplice casualità? Difficile a dirsi, fatto sta che Pain & Gain rappresenta (almeno per me) il culmine della maturità artistica del regista.
Bonus: Transformers (USA, 2007)
Prima di chiudere, volevo riservare una menzione speciale al primo capitolo della saga dedicata agli omonimi robottoni Hasbro. Questo perché, che lo si ami o lo si odi, non si può negare che Transformers sia uno dei blockbuster più iconici e importanti degli ultimi anni. Una trascinante avventura fantascientifica, ricca di straordinari effetti speciali, che malgrado qualche difetto (un’ironia un po’ stupida, alcune scene d’azione poco chiare) ha saputo coniugare con successo la spettacolarità roboante tipica di Bay con il sense of wonder del cinema di Spielberg (qui produttore). Riuscendo nel frattempo a convincere sia i fan di lunga data che i neofiti.
Se ho deciso di tenerlo fuori dalla classifica è perché, nonostante i buoni risultati, il film con Shia LaBeouf e Megan Fox è comunque colpevole di aver dato avvio a una delle serie cinematografiche più insostenibili e sconclusionate di sempre. Tra storie ridicole, personaggi irritanti, azione confusa e tanto revisionismo storico, sfortunatamente ci siamo dovuti sorbire una sfilza di sequel di qualità sempre peggiore. E nemmeno l’abbandono di Bay (con Bumblebee) ha migliorato più di tanto la situazione. Un vero peccato. Ciò non toglie però che il primo Transformers sia una piccola perla nel curriculum del regista, oltre che nel panorama hollywoodiano in generale.