
Lawless: fradici di sangue e di whisky
Prendete un romanzo, come La contea più fradicia del mondo di Matt Bondurant, che racconta il proibizionismo americano degli anni ’20; mettetelo a disposizione della regia di John Hillcoat (La strada tratto da Cormac MacCarthy, tra gli altri) e della sceneggiatura di Nick Cave, e fateci suonare sotto una colonna sonora piena di violini, chitarre slide e gospel firmata dallo stesso Nick Cave (insieme a Mark Lanegan e altri). In questo modo sarete vicini ad ottenere Lawless.
Ma non basta: ci vogliono gli attori. Ma non temete, Lawless è molto ben fornito anche da quel punto di vista: anzi, “ben fornito” sembra un eufemismo, se ci troviamo di fronte, nello stesso film, a (per citare solo i nomi più noti) Tom Hardy, Gary Oldman, Guy Pearce e persino uno Shia LaBeouf che pare proprio essersi ricordato com’è che si fa a recitare in un film.
Tutti questi elementi sono amalgamati alla perfezione, in modo da rendere quella di Lawless un’operazione, prima di tutto, compatta e convincente.
Siamo nella contea di Franklin, in Virginia, in pieno proibizionismo anni ’20. Ora, Franklin è famosa (anche prima di Lawless, a dir la verità) per essere stata La contea più fradicia del mondo, per l’appunto: veniva definita così perché non c’era quasi nessuno, tra quei montanari ingrugniti ed indomabili, che non distillasse whisky clandestino, per poi contrabbandarlo. A raccontarci la storia di Lawless per la prima volta è stato Matt Bondurant, nipote di Jack Bondurant; e la storia che ci viene raccontata è proprio quella dei tre fratelli Bondurant.
Prima di tutto c’è Howard: un veterano della Grande Guerra, da essa reso un po’ instabile e grandissimo bevitore. Del suo stesso whisky, perchè tutto ciò che è meno forte non gli piace.
Poi c’è Forrest (un grande Tom Hardy, che fa quello che sa fare meglio: anche solo essere grosso ma sgraziato), che rappresenta in tutto e per tutto lo spirito dei Bondurant: è il montanaro ingrugnito, incazzato ed indomabile per antonomasia, tanto che spesso, più che parlare, grugnisce, non c’è altro modo per dirlo. incarnando la loro leggenda: in giro per la contea, infatti, si dice che siano invincibili, che niente li possa ammazzare. Howard è l’unico del suo battaglione ad essere sopravvissuto, l’influenza spagnola ha provato a portarsi via Forrest, ma non ci è riuscita. Avete capito con chi abbiamo a che fare? Niente scherzi, con i Bondurant.
Se volete colpirli nel loro punto debole, allora dovete rivolgervi al giovane Jack (Shia LaBeouf, nonché la voce narrante del film): il più piccolo dei Bondurant incarna lo spirito imprenditoriale che sta nascendo negli States proprio in quel momento, a cavallo tra i roaring twenties e i thirthies; quel modo tutto americano di ricercare la ricchezza, che paradossalmente è decollato proprio dopo (ma forse bisogna dire grazie a) la crisi di Wall Street del ’29. Jack è giovane, sfrontato ed ingenuo: può sembrare coraggioso il suo sprezzo del pericolo e il suo essere (e diventare sempre di più, durante il film) arrogante e scavezzacollo; ma in realtà spesso lo porta solo alla stupidità, e a mettere in difficoltà Forrest e Howard.
I due maggiori, infatti, sono i gestori della “Premiata Distilleria Bondurant”: fanno il whisky, e lo portano in giro a casse, vendendole lungo la strada a pesci piccoli e meno piccoli. Il problema – e ciò che rende Jack così geloso ed invidioso verso i suoi fratelli – è che Forrest e Howard sono gli unici veri Lawless (Fuorilegge) della famiglia, e non permettono a Jack (perchè è troppo giovane, non ha esperienza, è troppo “entusiasta” se vogliamo) di partecipare agli affari. A Jack, che pensa che i suoi fratelli si accontentino troppo e che non abbiano nessuna aspirazione (“non hai proprio nessuna aspirazione?” è una delle battute ripetute di più), questo trattamento non va giù: vuole mettersi in proprio, insieme al suo amico e socio Cricket Pate (Dane DeHaan).
Comunque, tutto continua a filare liscio (tra strizzate d’occhio e concessioni della polizia della contea, che dovrebbe confiscare il whisky clandestino fatto dai moonshiners – cioè i distillatori – ma in realtà se lo beve) finché non arriva a Franklin un nuovo procuratore distrettuale, che elegge come vice-sceriffo Charley Rakes (Guy Pearce).
Ora, Rakes è un uomo di città (viene da Chicago, per la precisione), e non sa niente, niente, di come funzionano le cose nella contea di Franklin, di come questi “rozzi montanari” trattano e vengono trattati: è convinto di metterli in riga tutti in un colpo solo. C’è solo un problema, l’abbiamo già detto: non si scherza con i Bondurant.
Ed è allora che comincia la nostra storia, che si presenta come un’epopea di resistenza (quella dei fratelli Bondurant contro Rakes ed il nuovo procuratore) dentro un’altra epopea di resistenza (quella, in generale, delle distillerie clandestine in epoca proibizionista).
Come ogni epopea tragica, anche la storia dei Bondurant si concluderà con un fallimento: questo, però, non è affatto uno spoiler, perché (come in ogni storia tragica che si rispetti) la tragedia appare come annunciata fin dall’inizio. I Bondurant stanno sfidando la morte, oltre che la legge, e sembrano saperlo, soprattutto Forrest.
Forrest, che si ritiene fortunato e si accontenta di fare quello che fa e di avere ciò che ha, e che rimprovera o deride Jack quando il ragazzo va in giro conciato da Al Capone e si dà le arie solo perché è riuscito a portare a termine una grossa vendita al grosso criminale Floyd Banner (Gary Oldman). Forrest che lo sa, che finirà male, e sembra non aspettare altro.
Così ha inizio la vera storia di Lawless: una storia che è un crescendo inesorabile di fradiciume, provocato in parti uguali dal whisky e dal sangue che per fare e smerciare il whisky questi Lawless versano. Per sentire l’odore e il sapore di questo whisky, di questo sangue, di questo tabacco, di questa polvere da sparo e di questi boschi e montagne ci volevano una regia ed un montaggio particolarmenti “lenti”, tutti basati sulla fotografia: ci sono inquadrature che non possono che ricordare certi pittori americani sospesi tra il realismo e l’impressionismo (Hopper, su tutti).
In questa cornice “impressionistica” (dove anche i primi piani, che ci sono eccome, sembrano fondersi con il territorio ed il paesaggio circostanti), la regia di Hillcoat alterna momenti di cruda e silenziosa spietatezza – dove non si può fare altro che guardare, assistere al disastro e alla caduta dei Bondurant, che proveranno comunque sempre a rialzarsi, perché sono I Bondurant – a momenti di esasperazione grottesca, quasi espressionistica: in quest’ultimo gruppo, a farla da padrone sono le scene di violenza.
Una violenza che può apparire al di là della legge, anche da parte dei tutori della stessa legge: tutte quelle sparatorie, quei pestaggi. Ma il fatto, ed è chiaro fin dal titolo, che non è la legge a governare in Lawless, perché tutti sono, per l’appunto, Lawless.
Forse non è “sporcizia”, né morale né fisica: forse è soltanto un altro tipo di “pulizia”, un altro tipo di legge. Quello che è certo è che la contea di Franklin, come tutto Lawless, ti trasforma appena la guardi, appena ci entri. La contea più fradicia del mondo detta le sue regole a chiunque: e chiunque non può che partecipare, e ubriacarsi, a suo rischio e pericolo.