
Lazzaro Felice – Quand’è l’ultima volta che hai guardato il mondo con occhi puri?
Lazzaro Felice è il mio primo approccio al Cinema di Alice Rohrwacher ed è allo stesso tempo una scoperta magnifica.
Tendo a diffidare dalle apparenze e dai pareri troppo positivi. Un po’ per testardaggine, un po’ perché non voglio che le aspettative rovinino tutto. Per esempio… di Lazzaro Felice ne avevo sentito parlare poco, ma piuttosto bene: è stato presentato lo scorso anno a Cannes, vincitore del premio alla sceneggiatura al festival, diretto da Alice Rohrwacher (molto probabilmente conoscerete la sorella Alba)… insomma, il film aveva un profumo allettante e non vedevo l’ora di assaggia… ehm, recuperarlo. Anche perché della Rohrwacher se n’è sempre parlato benissimo, ma non avevo mai visto nulla di suo prima di qualche tempo fa.
Purtroppo chi vi parla ha dovuto aspettare l’uscita in homevideo e streaming (Prime Video domina pure qua), complice una distribuzione nei cinema vergognosa che ha letteralmente azzoppato Lazzaro Felice al botteghino. Ci lamentiamo di Cinepanettoni, film con Ruffini o commediole tutte uguali e poi… vabbé, oggi non ho voglia di essere polemico. Voglio solo farvi scoprire il mondo di una regista talentuosa come pochi altri autori/autrici oggi in Italia.
Vivere nella menzogna
Lazzaro è un giovane e ingenuo tuttofare di una piantagione di tabacco nella campagna toscana. Vive insieme a una povera comunità contadina, tutti quanti schiavi al servizio della Marchesa Alfonsina De Luna e della sua impresa di sigarette. Un giorno Lazzaro incontra il figlio della Marchesa, Tancredi, e tra i due nascerà un profondo legame d’amicizia che li porterà a essere complici in un finto rapimento. Qui mi fermo. Non vado oltre per non rovinare la sorpresa.
Lazzaro Felice è una favola dal gusto agrodolce, impressa in una pellicola sgranata, viva ed esaltata dal 4:3. La Rohrwacher dà vita a un realtà rurale tanto pulsante da essere mozzafiato e di chiara ispirazione Pasoliniana; qui però il protagonista, scritto e reinterpretato dal passo biblico della resurrezione di Lazzaro, incarna la purezza e la più sincera bontà dell’animo umano. L’esordiente Adriano Tardiolo ha una forza nello sguardo che poche altre volte sono riuscito a sentire: empatico, spaesato e pure un po’ citrullo… ma mai banale o banalizzato.
A giocare un ruolo fondamentale nel film sono i suoni e i rumori: lo frusciare del vento tra gli alberi, il lavoro nei campi, le risate dei vecchi e dei bambini, fino alla stazione dei treni e la musica anni 90; Lazzaro Felice coinvolge ogni senso dello spettatore, guidandolo a braccetto proprio insieme a Lazzaro per tutto il film. Gli occhi del giovane sono il mezzo del racconto, un protagonista esclusivamente spettatore più o meno come noi mentre vaghiamo tra due mondi troppo distanti e inconciliabili.
Un lavoro gigantesco, sotto quasi tutti i punti di vista. Pure ai David di Donatello se ne sono accorti, per fortuna.
“Non aver paura, sono solo un vecchio Lupo”
Come detto poco fa, Alice Rohrwacher attinge e prende spunto, oltre che da mostri sacri del nostro Cinema, da alcuni passi del vangelo. Insieme alla resurrezione viene chiamata in causa la parabola di San Francesco e del lupo: nel film la bestia assume un ruolo tutto suo; simbolico, miracoloso e proprio per questo motivo solo abbozzato. Eppure, nonostante la fragilità di questa scelta narrativa, l’impatto è notevole e fa di Lazzaro Felice un progetto ancora più interessante, dandogli un’identità fortissima. Forse mi sono innamorato di Alice.
Il viaggio di Lazzaro è prima di tutto un racconto sull’amicizia, sulla dolcezza di spirito e sulla solitudine dell’uomo buono in un mondo privato della speranza. Ogni retorica politica e denuncia sociale viene accantonata per dare spazio al Cinema nella sua essenza; dietro una macchina da presa che non si muove semplicemente, ma vola, tutti gli attori sfoderano prove eccezionali, Nicoletta Braschi compresa. Brilla pure la sorella della regista, Alba (diciamo non una delle mie attrici preferite) capace di dosare la sua carica emotiva come Dio comanda. Questi sono stati i veri miracoli del film.
Parlano le immagini, i suoni e i ricordi; Lazzaro Felice è una splendida altalena di emozioni che con il passare dei minuti travolge lo spettatore e gli strappa un amaro sorriso. Nonostante quel finale sì d’effetto, ma campato per aria, frettoloso e che mal si amalgama con il ritmo della pellicola, Lazzaro Felice riesce a dare vita a un sogno ad occhi aperti da cui avrei fatto a meno di svegliarmi.
Ora tocca a voi giudicare. Tocca a voi andare oltre il tempo, un passo più in là dalla realtà. Ecco quello che succede a guardare il mondo con occhi innocenti… si diventa finti recensori di grandi film.