Film

Le iene – Schizzi di Tarantino

In pieno delirio di onnipotenza, il buon Federico Asborno una sera è spuntato a propormi di curare a due una rassegna su Quentin Tarantino. Così. Come a dire “fichi e salame?”. Io ho accettato subito, accecata forse dai fumi dell’alcol. E mi sono ritrovata a rivedere per la centesima volta Le iene, cercando di incatenare il mio cervello a focalizzarsi sui dettagli utili per una recensione invece di partire per una di quelle pericolose tangenti che ti capitano coi film che conosci alla nausea. Loop del tipo: “non avevo mai notato quanto fosse manzo Michael Madsen da giovane. Ma anche Tim Roth buttalo via.” Ci siamo capiti.

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Il problema, quando si parla di film spartiacque e rivoluzionari come Le iene, è che sono già finiti sul tavolo autoptico della critica e tagliuzzati cellula per cellula peggio del cadavere di Marilyn Monroe. Ho valutato di sfangarmela con un vigliacchissimo Piano B, ovvero quello che mi piace definire il dolly anale. Avete presente, quegli articoli che ripercorrono scena per scena le citazioni palesi o plausibili, e gli indizi palesi o plausibili (in questo caso sull’identità della “iena” infame). Ma parliamoci chiaro: a voi sarebbe piaciuto leggere un pezzo in cui vi faccio notare di che colore sono gli asciugamani del bagno del deposito del film, o in cui dimostro di essere tanto bravina & colta sottolineando che la scena della tortura con la musica è un omaggio a Leone? A me no. Mi piglia male leggere il dolly anale. Mi piglia ancora peggio scriverlo. Perché farci questo? Quindi:

Le Iene for dummies:

Ciao Mork, benvenuto sulla Terra! Le iene (1992) è il primo lungometraggio di Quentin Tarantino. Ha rischiato di venire prodotto con du’spicci ma per fortuna Harvey Keitel ci ha messo lo zampino, facendo salire il budget ad un onesto milioncello abbondante. Parla sostanzialmente di una rapina di diamanti finita a schifo: dopo il colpo i sei soci devono incontrarsi in un deposito abbandonato. Ce ne tornano solo quattro, di cui uno in fin di vita: qualcuno ha cantato, i poliziotti erano ad aspettarli sul posto prima ancora che suonasse l’allarme. E c’è il concreto rischio che siano appostati anche intorno al deposito per un’imboscata, se hanno un informatore interno al gruppo. Problema: chi è la spia?

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Steve Buscemi, l’irrequieto Mr. Pink? Un tipo nervosetto, che non lascia mance alle cameriere e dimostra a più riprese di tenerci solo al suo culo. Oppure Harvey Keitel, il gelido Mr. White, che anche con la merda agli occhi sembra avere tutto sotto controllo? O Mr. Orange, un giovanissimo Tim Roth che arriva al deposito già ferito a morte? O magari Mr. Blonde, quel gran manzo di Michael Madsen, uno psicopatico fuori controllo che spara sulla folla e si diverte a torturare a gratis i poliziotti. Di Mr. Blue (interpretato, per un brevissimo cameo, dal magnifico scrittore Edward Bunker) non sappiamo nulla: non ha spiccicato mezza parola. E di Mr. Brown (lo stesso Tarantino) conosciamo solo una certa propensione all’interpretazione fantasiosa (ma non troppo) delle canzoni di Madonna. E se invece gli infami fossero proprio gli organizzatori del colpo, Joe e suo figlio Eddie, che hanno messo insieme il dream team?

Prendetevi un’oretta e mezza per scoprirlo se non avete mai visto Le iene e ci leggiamo dopo, cari i miei Visitors, perché sto per confessarvi una grande verità:

Della trama noir non ce ne frega una minchia.

I diamanti ne Le iene non sono l’unico MacGuffin: l’intera trama è un gigantesco meta-MacGuffin. Tarantino con il suo esordio sul grande schermo ha ribaltato come un calzino i canoni della narrazione cinematografica e no, non mi riferisco solo al linguaggio avant-pop, ai movimenti ammiccanti della macchina da presa, all’uso franto e straniante del flashback.

Credo che la vera chiave di volta del film, la vera rivoluzione tarantiniana, sia concentrata nella sequenza della storia del bagno. Ripassino (ovviamente cum spoileris, ma io vi ho avvisati, miei dolci piccoli Predator: recuperatelo prima di leggere!): Tim Roth, poliziotto sotto copertura, deve rendersi credibile nei panni di Mr. Orange al gruppo di delinquenti. Un collega (curiosamente, l’unico personaggio di colore in un film in cui gli altri protagonisti hanno dichiarate uscite razziste – e in effetti per la parte di Mr. Orange era in lizza anche Samuel Jackson – ma lì sarebbe stata troppo smaccata) gli suggerisce di raccontare un aneddoto inventato per fare colpo sugli altri. È una storiella di spaccio qualsiasi, con protagonista Mr. Orange, ma a Tim Roth viene consegnato un vero e proprio copione da studiare nei dettagli per rendere la narrazione bugiarda dell’aneddoto il più naturale possibile.

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La storia del bagno, con parole mie, fa più o meno così: “ero in giro con un bel carico di erba da consegnare, sono andato in bagno e c’erano dentro a chiacchierare dei poliziotti con un cane antidroga. Il cane si è messo ad abbaiare. Mi hanno fissato tutti, smettendo di parlare. Mi sono cagato sotto per paura che mi beccassero. Ma poi hanno ripreso il discorso, io ho pisciato e mi sono allontanato indisturbato.”

Per raccontare questo semplice aneddoto, il poliziotto ripercorre nella mente una quantità infinita di variabili e di dettagli con cui arricchire eventualmente il racconto: per chi era la droga? Da dove veniva? Che sapone c’era in bagno? I pisciatoi avevano le porte? Costruisce, intorno a un piccolo episodio, un vero e proprio universo narrativo coerente. E la macchina da presa ce lo fa notare, proponendo addirittura allo spettatore un finto flashback dell’evento immaginario, girato con i ritmi volutamente dilatati dalla suspence dell’aneddoto.

Bene. Sapete che c’è? Che anche tutto il resto del film è una lunga storia del bagno. Un aneddoto noir dalla trama poco significativa, reso reale, gustoso, indimenticabile dalla mole creativa e ridondante di dettagli. I poster e i modellini in camera di Mr. Orange, gli stivali di Mr. Blonde, il silenzio inspiegabile di Mr. Blue. I Ray-Ban. Le automobili. Lo speaker che annuncia il prossimo successo anni ’70. La buffa scritta sul muro su cui si sposta la videocamera durante la sequenza del taglio dell’orecchio. La pozza di sangue che si allarga ora dopo ora sotto la pancia di Tim Roth. I brand delle sigarette.

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Le iene è semplicemente Tarantino che ci spiega, manuale di scrittura creativa alla mano, come si racconta una bella storia: il gioco, con l’aneddoto del bagno, diventa esplicito. Ci spiega come funzionano i rimandi intratestuali e intertestuali. Ci spiega come si costruisce un personaggio e come rendere naturale un dialogo. Ci spiega come creare un universo narrativo coerente. E per non farsi mancare nulla, lo fa girando un film della Madonna: irriverente, umoristico, selvaggio, perfetto e godibile per quasi ogni pubblico.

Il mistero della violenza

L’unica cosa che, vi confesso, per me resterà un mistero irrisolto è la faccenda della fantomatica violenza. I film di Tarantino sono quasi sempre stati accompagnati dalla critica di mostrare una violenza troppo cruda ed esplicita. Violenza che peraltro, più avanti nella sua filmografia, è diventata baraccone, ma ok, su Le iene ancora ancora.

Io ho un grosso punto interrogativo sulla testa. Ok la carneficina, ok il lago di sangue, ma sulla violenza vera e propria c’è un pudore di macchina totale. Nessuna inquadratura indugia volontariamente su un particolare truculento per colpire allo stomaco lo spettatore. Anzi, ogni sequenza duretta viene smorzata da un’ironia dichiarata, da una leggerezza volontaria che ti ricorda di continuo che è tutto un gioco. Dovendo scegliere una sola scena, in chiusura vi lascerò proprio il cultissimo della tortura al ritmo di Stuck in the Middle With You (colonna sonora D-A-P-A-U-R-A tutta ovviamente, BTW).

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Per quanto sia indimenticabile la sequenza d’apertura al tavolo del bar, nel mio cuore questa le batte tutte. Ah, giusto en passant, il cast è solo sublime, eh. Durante l’ultima visione de Le iene, alla ricerca di ispirazione per questo articolo, mi sono presa una serie di cotte bestiali praticamente per tutti i protagonisti del film. La dura vita delle donne tarantiniane.

Io mi congedo. Tempestateci di commenti sulla pagina Facebook per dichiarare il vostro smodato entusiasmo nei confronti di Le ieneE vediamo cosa si inventa la prossima settimana il temerario Federico, che tenetevi forte, ve lo anticipo: si è accollato la patata bollente di Pulp Fiction!

Ricordatevi di fare un salto dai nostri amici di Cinefili senza gloria!

Sara Boero

Sua madre dice che è nata nel 1985, a lei sembrano passati secoli. Scrive da quando sa toccarsi la punta del naso con la lingua e poco dopo si è accorta di amare il cinema. È feticista di Tarantino almeno quanto Tarantino dei piedi. Non guardatele mai dentro la borsa, e potrete continuare a coltivare l'illusione che sia una persona pignola.
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