Film

Léon e la delicatezza nella violenza

Il film di Luc Besson ci regala una storia bellissima e amara, che però lascia una scintilla di speranza in questo mondo di merda

 

 In questo film c’è un attore francese, di origini spagnole, che interpreta un assassino italoamericano (bel guazzabuglio no?). Finirà con infatuarsi di una bambina 12enne e dovrà scontrarsi con degli agenti corrotti della DEA (per chi non sapesse chi siano: gente che in America combatte il narcotraffico per poter utilizzare la roba confiscata) capitanati da un agente pazzo e nevrotico.
Ok, lo ammetto, se presento così il film ce n’è abbastanza per pensare che sia una tamarrata colossale… e magari per denunciarmi per possesso di materiale pedopornografico.

Quello a cui ci troviamo di fronte invece è una pellicola i12105778_534636460025733_3944489345383592812_nmpregnata di una delicatezza senza senso.

Spiego meglio:

Léon (Jean Renò) è un assassino professionista, di quelli super-silenziosi, super-precisi, super-tenebrosi e soprattutto super-stronzi. Vive (per modo di dire) in un piccolo appartamento in cui, al posto delle foto al mare coi genitori, alle pareti ha appeso gli M-16. Beve solo latte (nota bene: simbolo d’innocenza), dorme seduto su un divano con un occhio aperto come i gatti (anche se per definire “aperti” gli occhi di Jean Renò effettivamente ci vuole della fantasia) e l’unica sua amica è una pianta che credo dovrebbe essere un ficus, se la mia cultura fantozziana non mi inganna. La pianta, a suo dire, ha il semplice merito di assomigliargli molto, non perché sia inespressiva, ma perché è senza radici.

Già da qua si capisce come questo non sia solo un film di mafiosi drogati sporchi e cattivi.

Léon, come spesso accade quando si ha a che fare con la figura dell’assassino tenebroso professionista, ha un suo codice d’onore. Non uccide donne e bambini e il suo unico contatto umano è quello con l’uomo che gli commissiona i “compitini”, un mafioso italiano proprietario di una pizzeria (“Pronto? Si? Avevo ordinato degli stereotipi un’ora fa, quanto ci vuole per servirli?”).

Un giorno una ragazzina (Natalie Portman), che vive nel suo pianerottolo e che ha una famiglia sicuramente più disastrata della vostra, rimane illesa in una missione punitiva durante il quale degli agenti corrotti della DEA uccidono tutta la sua famiglia di merda, il cui padre ha avuto la colpa di tagliar male una partita di coca. Nel parapiglia però ammazzano anche l’innocente fratellino, l’unico vero caro che le era rimasto. Fuggendo, suona alla porta di Leòn che, intuendo la situazione, senza sapere bene perché la lascia entrare, salvandola.

Essendosi pentito dLeon-The-Professional-010el suo atto di riprovevole umanità dopo un nanosecondo, cerca di mandarla via, ma la bambina ha studiato all’università della strada e si accorge subito della professione di Leòn. Gli propone un patto assurdo, chiedendogli che le venga insegnata la nobile arte dell’assassinio per vendicare il suo amato fratellino. Dopo un po’ di perplessità, Leòn a malincuore accetta. Comincia una convivenza grottesca: lui le insegna a sparare col fucile di precisione; lei pulisce la casa, fa la spesa, gli insegna a leggere e soprattutto gli insegna a vivere. Il feroce assassino senza sentimenti a poco a poco comincia a sorridere, a desiderare di stare all’aria aperta e a giocare. Commovente la scena in cui Mathilde, la bambina, lo convince a dormire su un letto disteso.

Fin da subito si intuisce come la bambina si stia innamorando di Leòn e come la cosa sia in qualche modo contraccambiata. Ma questa presunta relazione è trattata con una tenerezza che ha dell’incredibile. A nessuno di noi verrebbe in mente di pensare male del bacio sulla guancia che Mathilde da all’assassino prima di dormire. È davvero la magia di questa pellicola. Una relazione che dovrebbe essere sporca e malsana, ma che invece emerge in tutta la sua innocenza in mezzo a un mondo di assassini, spacciatori e periferia dura.

La scelta degli attori è fondamentale. Jean Renò, benché espressivo come un manichino, riesce a centrare il personaggio dalla scorza dura ma dal dolce cuore di cioccolato. Natalie Portman… non so, mi vergogno quasi a scriverlo ma è di un fascino toccante anche a 12 anni ed è perfetta per questo ruolo. Non per fare citazioni pop smielate, ma in questo film è davvero un “fiore che è cresciuto sull’asfalto, sul cemento” (scusa musica mondiale).Leon-movie-stills-leon-leon-the-professional-24526205-1788-1198

Non ho parlato abbastanza poi di Gary Oldman che è davvero un cattivo con i controcazzi: pazzo, inquietante, senza scrupoli e che ascolta Ludovico Van.

Un film da 30 e lode – tiè.

Guardatelo per Diana.

Riccardo Cavagnaro

Vede la luce nell'anno 1991. Da quando ha visto "Jurassic Park" all'età di 3 anni sogna segretamente di toccare un dinosauro vivo. Appassionato lettore, viaggiatore, ascoltatore di musica e bevitore. Tutte queste attività arricchiscono sicuramente il suo bagaglio culturale, ma assottigliano pericolosamente il suo portafogli.
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