Leos Carax è strano, fin dal nome. Infatti quello vero, di nome, sarebbe Alex Cristophe Dupont de Nemours, che è obiettivamente un pelo troppo lungo da pronunciare per essere efficace. Quindi, saggiamente, il nostro cineasta ha deciso di darsi un curioso pseudonimo nato dall’anagramma tra il suo nome (Alex) e Oscar. Non so il perché e nemmeno la sostanza utilizzata, ma una cosa certa: Leos Carax è un nome troppo figo. Dai, quanto cazzo suona bene!
Suona anche poco francese, il che è strano, di nuovo, dato che Carax è un regista profondamente francese. Però in effetti è anche un regista che il cinema lo supera e per niente categorizzabile in nessuna corrente. Al massimo si potrebbe dire che è un regista postmoderno, ma occhio a come usate questo termine.
Confusi? Non troppo spero. Dai, andiamo a mettere ordine.

I corti
Precisiamo subito un paio di cose. Carax è figlio d’arte. O meglio, non proprio, dato che né la madre né il padre sono registi, ma sono rispettivamente una critica cinematografica e un giornalista e Carax stesso è anche critico oltre che regista.
Ci scatta subito la campanella Nouvelle Vague. Perché come ben saprete la maggior parte dei registi della rivoluzionaria corrente francese, prima di dedicarsi alla macchina da presa, è passata per le pagine dei Cahiers du Cinema, due su tutti Truffaut e Godard.
Inoltre Carax, come gli esponenti della Nouvelle Vague, inizialmente predicava un cinema fatto con pochi mezzi e nei suoi primi anni si avvicinò proprio agli ambienti dei Cahiers, salvo poi allontanarsene. Egli è infatti annoverato tra quel manipolo di registi definiti della post-Nouvelle Vague. Ma ricordate che le categorizzazioni gli stanno strette.
Prendiamo ad esempio il suo primo corto, Strangulation Blues. Già dal titolo avrete intuito che in Carax la musica ha un ruolo fondamentale, e difatti questo corto si struttura come un assolo blues non suonato, ma recitato dal protagonista. Assistiamo a una sorta di messa in scena decostruita di un omicidio, in cui a sostenere la narrazione è la voce del protagonista che riflette su come attuare i suoi scopi, in quella che diventa quasi la rappresentazione di una rappresentazione di un omicidio. Le matrioske gli fanno un baffo.
Anche il secondo dei suoi corti, Sans Titre, realizzato su commissione per il Festival di Cannes, nonostante arrivi dopo che Carax aveva realizzato già ben 3 lungometraggi, racchiude in nuce tutta la sua poetica. Io non ho idea di cosa voglia dire questo corto, che è un continuo montaggio di immagini apparentemente incompatibili e che generano continue idiosincrasie, ma forse il punto sta proprio qui. Carax è un grande amante della Nouvelle Vague e del cinema del movimento. In Sans Titre ci evidenzia in modo chiaro la sua capacità di accostare le immagini del passato con quelle odierne in un continuo richiamarsi a distanza: nel riutilizzo e nella rielaborazione del cinema che fu egli crea nuovo cinema, lo modernizza e lo supera.
L’ultimo corto che mi interessa analizzare con voi è Gradiva, che è anche l’ultima cosa cinematografica realizzata dal regista. Prima di dire qualsiasi cosa, guardate.
L’intro in countdown è subito un richiamo agli albori del cinema, ma l’elemento del passato viene decontestualizzato e ricontestualizzato nell’ambiente moderno togliendo al countdown il caratteristico sfrigolio della pellicola e in un certo senso “digitalizzandolo”.
Il resto del corto procede di conseguenza. Una donna nuda sale le scale e percorre un corridoio. È un passaggio in cui Carax si concentra sull’analisi del movimento corporeo, riprendendo gli esperimenti fotografici di Muybridge e in un certo senso attualizzandoli.
Il tocco finale è l’inserimento del Pensatore di Rodin: la scultura parla e si comporta come se fosse il fidanzato della donna. Un modo per dirci che l’arte è feconda e vitale? Non so raga, sto corto per me è un capolavoro.
Boy meets girl (1984)
Il fulcro tematico dei primi 3 film di Carax è l’amore, giusto per ricordarci che è francese. Dai che scherzo. Come ogni cosa in Carax, però, il tema è trattato in modo a dir poco peculiare.
In Boy meets girl è da subito mostrato nelle sue componenti distruttive: il protagonista è stato tradito dalla sua ragazza, che è andata col suo migliore amico. Certo che te le puoi anche scegliere meglio le persone con cui stare.
Ciononostante l’amore continua ad essere oggetto di una ricerca quasi sfrenata: il motore primo dell’azione è proprio il fatto che il protagonista cerca in qualsiasi modo di conoscere una ragazza da cui è rimasto abbagliato.
Boy meets girl però si sviluppa in maniera strana, tramite rappresentazioni e giochi di specchi, che producono sempre un disallineamento tra le aspettative del protagonista, ciò che effettivamente succede e il modo in cui noi lo vediamo: cambiando la prospettiva su un fatto, cambia anche il fatto stesso. E qui calza a pennello When I live my dream di David Bowie: la musica è fondamentale, in quanto il protagonista vaga per le strade di Parigi con le cuffie alle orecchie, come per isolarsi dall’esterno e sognare.
Il film non finisce esattamente bene, ma di nuovo, dipende dal punto di vista; e in questo senso la scena finale – o meglio, doppia scena finale – è la perfetta rappresentazione visiva di quanto sopra: vista dall’interno sembra di assistere ad un incidente domestico, vista dall’esterno è un suicidio assistito. Inoltre Carax sembra riprendere il concetto espresso da Truffaut in Jules e Jim:
È un inno alla vita e alla morte, una dimostrazione dell’impossibilità di qualunque combinazione amorosa al di fuori della coppia.
E quindi in questo senso il suicidio assistito è la concreta manifestazione della presa di coscienza dell’impossibilità di un amore (o di quell’amore), ma espressa simbolicamente attraverso un abbraccio, veicolo d’amore. Lo percepite il profumo di grande regista?
Rosso sangue (1986)
Rosso sangue è il film più rivoluzionario di Carax, tolto Holy Motors. Torna l’amore, ma la pellicola si sviluppa attraversando diversi generi, dal gangster movie al noir al film d’azione al dramma sentimentale, dando vita a un impasto squisitamente postmoderno all’interno del quale Carax fa letteralmente quello che vuole.
Come in Boy meets girl l’amore è inizialmente presentato nell’atto di disfarsi: il protagonista parte per un lavoro e lascia la sua ragazza, negandole la possibilità di andare con lui. Ma successivamente egli si innamorerà di un’altra ragazza che incontra sul posto, che però non ricambia.
E quindi il film si muove sul doppio binario dell’amore ricercato e tradito, inseguito e disilluso. Il tutto si svolge all’interno di uno scenario evidentemente fittizio: i personaggi non si muovono in un vero mondo, ma in quello che appare in tutto e per tutto come un reale set cinematografico. I personaggi però sembrano non rendersene conto, nonostante recitino con modalità molto enfatiche.
La musica ha ancora un ruolo determinante, soprattutto nella scena in cui il protagonista si lancia in una corsa sfrenata al ritmo di Modern Love ancora una volta di David Bowie.
A complicare la situazione c’è il passaggio di una cometa che produce strane variazioni climatiche, con nottate caldissime e improvvise nevicate mattutine. Inoltre si è diffuso un virus che colpisce chi fa l’amore senza l’amore: una sorta di HIV con principi morali.
La trama si muoverà sulla ricerca dell’antidoto che è in possesso di una gang, ma il fulcro a parer mio è il virus stesso, visto come una “malattia dei tempi”, quasi a dire che il vero amore non esiste più.
Nel finale l’amore sembra trionfare, ma la morte del protagonista disillude definitivamente le speranze della sua ex ragazza che era riuscita a raggiungerlo e fa esplodere la scena finale in una celebrazione del movimento, citando nuovamente Jules e Jim e in particolare la scena della corsa. Una corsa verso cosa?
Gli amanti del Pont-Neuf (1991)
Gravi problemi di produzione per questo film che idealmente chiude la trilogia amorosa di Carax. I vari incidenti sul set allungarono spropositatamente i tempi e fecero lievitare i prezzi, portando la pellicola ad essere il più costoso film francese mai realizzato, almeno all’altezza della sua uscita.
Assistiamo ad una storia d’amore, che si svolge sul romanticissimo Pont-Neuf parigino, tra un clochard e una ragazza artista che inizia a vivere assieme a lui sul ponte. I due si cercano e si respingono, manco fossero due calamite.
Il tema centrale però mi pare essere quello della possessione. La ragazza ha un problema agli occhi, che rischia di renderla cieca e lui, consapevole del fatto che le forze dell’ordine sono alla ricerca di lei per salvarle la vista, anziché condurla verso la guarigione sceglie di tenersela tutta per sé, cercando di evitare che lei scopra la possibilità di una via di fuga. Lui non può stare senza di lei, ma non è nemmeno disposto a condividerla con nessuno.
Per l’ennesima volta ci imbattiamo in una straordinaria sequenza all’insegna del movimento e della musica, in uno splendido e spettacolare piano sequenza in cui Carax ci mostra i due innamorati felicemente ubriachi che si danno alla pazza gioia sullo sfondo dei fuochi d’artificio.
Il Pont-Neuf sembra funzionare da correlativo oggettivo della situazione sentimentale dei due: quando il ponte è in decadenza, come i due amanti, questi ultimi si trovano isolati, liberi di vivere il loro amore; ma quando, passato del tempo, il ponte sarà stato ristrutturato e i due si ritroveranno, apparirà evidente che tutto è cambiato, anche il loro amore, forse impossibile, ma goduto in un trionfo di romanticismo per (probabilmente) l’ultima volta.
Pola X (1999)
Questo film è un casino, da ogni punto di vista. Lasciatevi solo dire che quella X che compare nel titolo indica il numero di riscritture della sceneggiatura. Bene. Carax dopo la travagliata produzione de Gli amanti del Pont-Neuf ebbe forti difficoltà a trovare nuovi finanziamenti e persone disposte ad investire in lui. CAPITALISMO BASTARDO.
Diciamo che a suo modo Pola X tematizza queste difficoltà e si propone come un Carax nell’intento di autodistruggersi (vedi l’incipit). Il film è strano, complicato, di difficile interpretazione. È la storia di un borghese che sceglie di abbandonare i suoi agi e darsi alla vita di strada, procedendo verso il suo degrado fisico e psicologico. Alter ego di Carax?
La cosa interessante è che lo stile utilizzato segue l’ “imbarbarimento” del protagonista: dallo stile posato e manierato dell’inizio si passa ad uno fortemente sperimentale e “barbaro”, inteso alla Carducci, se capite cosa intendo. E questa la chiamo l’arte dello scomodare i giganti.
Pola X è probabilmente il film più pessimista di Carax, in cui il tema dell’amore permane, ma si degrada a una continua domanda non corrisposta e termina in una tragedia senza via di scampo.
Merde (2008)
Non so esattamente cosa sia successo, ma Carax è sparito dai radar per un po’, dato che da Pola X a Merde passano 9 anni. Se poi consideriamo che Merde non è un lungometraggio, ma un episodio del film collettivo Tokyo!, tra Pola X e Holy Motors passano ben 13 anni!
Merde introduce il personaggio di Monsieur Merde, una sorta di folletto/mostro/coso-che-vive-nelle-fogne. Merde è un individuo (?) senza etica, che vaga per le strade di Tokyo terrorizzando i passanti e comportandosi in modo decisamente bizzarro.
Come emerge dalla sequenza dell’interrogatorio prima e del tribunale poi (in cui presumibilmente il regista riprende la tecnica dello split screen utilizzata da Abel Gance in Napoleone), l’intento di Carax era guardare dall’esterno la società umana, con occhio depurato da principi morali per metterne a nudo le contraddizioni. Il dilemma è il classico: chi è il mostro?
Holy Motors (2012)

Non mi dilungherò troppo su Holy Motors in quanto vi ho già dedicato un articolo a riguardo. Sappiate solo che è la summa della poetica di Carax. Per quanto riduttiva credo che l’etichetta che normalmente viene attribuita a questa pellicola – un film postmoderno sul postmodernismo – sia la più adeguata.
Aggiungo soltanto che Holy Motors è un film in cui Carax supera il cinema, fa cinema essendo il cinema morto, gira un film dopo la morte del cinema.
Mi fermo qui e vi rimando all’articolo dedicato, anche perché per rendere veramente giustizia ad un film del genere bisognerebbe scriverci un trattato.