
Lilli e il vagabondo, l’ennesimo live-action di cui non avevamo bisogno
Com’era prevedibile, io e i miei amici Disney – addicted, ci siamo affrettati a sottoscrivere l’abbonamento a Disney +: ora possiamo usare il Covid – 19 come scusa ma è pur vero che l’avremmo fatto in ogni caso, la carne è debole.
Non è questa la sede per discutere sulla validità o meno del servizio (non sono un giudice parziale, abbocco tutto a ciò che la Disney tira fuori) ma, oltre a riguardare tutti i Classici, le serie e i corti di Paperino, ho voluto infliggermi l’ennesimo live – action.
Sì, avevo giurato a me stessa che non mi sarei sorbita un altro remake inutile, specie dopo le scempio de Il re leone: la coerenza non è certo il mio forte, quindi ho ceduto alla curiosità di vedere la versione del 2019 di Lilli e il vagabondo.
La trama è essenzialmente la stessa del Classico del 1955, con qualche (non richiesta) modifica a nomi e sessi di alcuni personaggi ma ne parleremo in seguito.
L’elegante cockerina Lilli conduce una vita agiata con i suoi padroni, Gianni Caro/Thomas Mann e Tesoro/Kiersey Clemons.
Quando la giovane coppia si accorge di aspettare un bambino, inevitabilmente inizia a trascurare la cagnolina, che intanto conosce Vagabondo, un meticcio di strada con cui nasce del tenero.
Dunque: il live – action di Lilli e il vagabondo, diretto da Charlie Bean, è un prodotto graficamente perfetto, i cani in CGI sono talmente realistici che, se li avessi in casa, li potrei “scendere” senza esibire autocertificazione (rispettando i 200m di distanza).
Una volta superato l’effetto creepy quando ridono mostrando i destini aguzzi, mi pare chiaro.
Per quanto riguarda il cast su due zampe, non c’è granché da dire, a parte chiedersi come sia possibile che nel 1909 si celebri un matrimonio misto (ebbene sì, Tesoro è afroamericana) con una tale facilità.
E mentre cercavo di non addormentarmi davanti al computer, chi si vede nella ormai iconica scena degli spaghetti con le polpette? F. Murray Abraham alias Antonio Salieri alias Bernardo Gui nel ruolo dell’oste canterino!
La comparsa di uno dei mie attori preferiti ha certamente contribuito a farmi uscire dal torpore in cui ero caduta perché, cari miei, Lilli e il vagabondo è molto (per non dire troppo) lungo e ahimè, abbastanza noioso.
Si conferma l’ormai consolidato trend disneyano del politically correct ad ogni costo: non solo l’improbabile unione mista ma l’eliminazione della coppia di gatti siamesi di zia Sarah perché, cito, “rappresentano una versione stereotipata della cultura asiatica”.
A me da bambina stavano antipatici solo perché mettevano guai Lilli, non perché fossero manifesto di chissà quale pregiudizio nei confronti dei Thailandesi (lo dicono loro che sono originari del Siam).
Boh. Sarò io che sbaglio.
Nel complesso, il live – action di Lilli e il vagabondo non è un brutto film: se si hanno figli resi isterici dalla quarantena è un’ottima alternativa al beverone di valeriana calmante.
Non è da cestinare, ha anche dei momenti simpatici e di certo l’atmosfera romantica del cartone è stata ricreata con successo: è solo l’ennesimo live – action di cui non avevamo bisogno, senza infamia e senza lode.