
Limitless
L’idiozia dell’intelligenza
Ieri pomeriggio avevo la febbre. Non quella febbre che ti spinge a supplicare l’intervento divino affinché ponga fine alle tue sofferenze con una morte rapida, ma quella febbricina fastidiosa che serve solo a sostituirti le ossa con delle macine pucciate nel latte. Ormai tutt’uno con il divano dopo ore di semi immobilismo, l’unica mia distrazione era ovviamente l’alleato numero uno di ogni malato: la televisione. Ora, visto che quello che cercavo era giusto qualcosa che intrattenesse il mio stanco cervello, quando nel mio zapping furioso mi sono imbattuto in Limitless di Neil Burger ho deciso che quello era il film ideale da guardare in quel momento: una tamarrata divertente da poter seguire senza eccessivo sforzo ed inoltre, avendolo già visto anni prima, ero curioso di vedere se il mio giudizio sarebbe cambiato nel tempo. Bene, dopo averlo visto, degli aggettivi “tamarrate” e “divertente” ne è rimasto solo uno. Lascio a voi immaginare quale. Ma visto che qua a MacGuffin.it siamo tutti fior fior di professionisti e professoroni (infatti pare che il Presidente del Consiglio, vista la sua nota simpatia per la suddetta categoria, non bazzichi spesso nelle nostre pagine) andiamo con ordine.
Credo che la trama di base di Limitless la sappiano cani e porci. Questo perché il film tratto dal libro Territori Oscuri di Alan Glynn (2001) ha avuto un enorme successo di pubblico, tanto da portare alla produzione di una serie tv sequel dal medesimo titolo del film. In ogni caso, ricapitoliamo in due righe l’idea alla base di tutto: Edward Morra (quel simpatico belloccio di Bradley Cooper) scrittore in crisi d’ispirazione e dalla vita allo sbaraglio causa alcool e disavventure amorose, viene in possesso una miracolosa pastiglia (dal nome NZT) che permette al cervello umano di esprimersi al 100% delle sue possibilità. In poche settimane, grazie all’assunzione giornaliera di NZT che lo rende in buona sostanza l’essere umano più intelligente del pianeta, Eddie diventerà prima uno scrittore della madonna, poi un milionario genio della finanza, arrivando a trattare la più grande fusione societaria della storia eccetera eccetera.
Ora, è inutile negarlo, l’idea di base è una bomba. Sfido chiunque a non rimanere perlomeno incuriosito dall’esistenza di una pillola miracolosa che permetta di imparare le lingue al primo ascolto, di imparare a suonare qualsiasi strumento alla perfezione in pochi giorni, di ricordare qualsiasi notizia appresa nel corso di tutta la vita, di decriptare tutti i codici della nostra realtà per piegarli a proprio vantaggio. Il problema però è che un’idea del genere può venire in mente anche a me mentre mi spacco la testa per preparare un esame. Di conseguenza, è importante che l’idea finisca in mano alla persona giusta, in grado di svilupparla in una storia che la sappia valorizzare. Io non ho letto il romanzo di Alan Glynn, ma sono convinto che questa idea così potente e affascinante affidata ad uno come (un nome a caso) Stephen King avrebbe partorito l’ennesimo best seller mondiale del Re (a prescindere dal fatto che King saprebbe rendere appetibile anche la sua lista della spesa).
Non potendo parlare quindi dell’opera di Glynn, la mia giustizia calerà sopra Neil Burger con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno (Ebbene sì, fortunatamente c’era anche Pulp Fiction in programmazione ieri pomeriggio…). Avete mai visto anche solo il trailer di Italiano Medio di Maccio Capatonda? Alla base c’era una pillola speculare alla NZT che però, invece di ampliare le potenzialità del cervello umano, le regrediva fino a livello “escremento di cane sull’asfalto” (che poi è quello che ha in testa il tipico italiano medio). Ecco, io credo che nel girare Limitless Neil Burger abbia abusato della suddetta pillola.
Lasciando un attimo da parte lo storytelling da Guantanamo di Burger, voglio concentrarmi prima di tutto sulle sue scelte visive. Il film utilizza per tutta la sua durata toni freddi e smorti, per poi accendersi di colpo e sparare colori a mille ogni volta che la pillola fa effetto (“Apri tutto Duccio!!! Voglio che smarmelli!!!” cit. Boris). Insomma una roba che oltre che a fare schifo di suo cava letteralmente gli occhi. Quindi quando vedi che Burger comincia a smanettare con i colori e Bradley Cooper è spettinato sai già che il film sta per accelerare ai mille all’ora. Ma Burger non si accontenta e, forse nel tentativo di risultare “figoso”, inserisce nel film tutte le trovate videoclippare che possano venire in mente. Eddie entra in casa sotto effetto di NZT e decide di metterla a posto? Segue scena nella quale appaiono 40 Eddie che lavorano contemporaneamente e fanno ordine. Eddie comincia finalmente a scrivere travolto dall’ispirazione? Fiumi di lettere gialle cominciano a cascare letteralmente dal soffitto invadendo la scena in stile Matrix mentre Cooper ride come uno scemo. Eddie vomita? E perché non riprenderlo con la telecamera rivolta a testa in giù? Non è una cosa fighissima? No Neil, non lo è. È solo fastidiosa. E fa schifo.
No cioè, le lettere che cadono dal soffitto. Chiamate l’Accademy per favore.
Ma il massimo della vergogna Burger lo raggiunge nei momenti in cui ad Eddie sale male il trip e si ritrova teletrasportato in giro per la città senza che se ne renda conto. La scelta registica adottata è di una bruttezza tale da andare oltre la comprensione umana, talmente brutta da renderne difficile la descrizione. Un po’ come Dante nella Commedia che non riusciva ad esprimere a parole la beatitudine divina, solo al contrario. Tenterò comunque tradurre il mio malessere al meglio delle mie capacità: il regista decide di rappresentare l’estraniamento di Cooper adottando una ripresa a “lente d’ingrandimento”, ovverosia entrando nella scena e continuando a velocità sparata ad ingrandire elementi di sfondo portandoli in primo piano, e così via all’infinito. E questa scena è ripetuta per più di una volta, roba che alla fine uno per salvarsi dal vomito può solo chiudere gli occhi e pregare che finisca alla svelta. Personalmente ritengo le scene in questione colpevoli di avermi fatto salire la febbre di almeno tre tacche. Fosse per me sottoporrei Burger alla cura Ludovico sostituendo alle immagini di violenza le scene da lui girate in questo modo, giusto per vedere quanto ci mette il suo cervello a squagliarsi e a uscirgli dalle orecchie. Maledetto. E pensare che The Illusionist mi è pure piaciuto.
Ora passiamo alla sceneggiatura, che è poi l’adattamento del romanzo. Una tragedia. Il film procede a spezzoni, introducendo personaggi che arrivano, fanno la loro particina che serva a far andare avanti la storia e poi scompaiono, per poi tornare al momento opportuno. Esempi: la fidanzata bionda che non si chiede mai come sia possibile in un mese diventare lo Steph Curry di Wall Street e imparare tredici lingue; il mafioso russo a cui viene dato spazio nel finale solo perché un po’ d’azione in qualche modo bisognava infilarcela; la ex moglie di Eddie che arriva, gli spiega che sta per diventare un vegetale se gli va bene o un cadavere se gli va male e poi svanisce, il tizio che insegue Eddie e poi si scopre che in realtà è…no dai, lasciamo perdere, non ne ho la forza.
Ogni volta che il film sembra prendere una direzione o una svolta precisa, questa viene accantonata nel giro di due minuti per lasciar spazio alla scena successiva. Altro esempio: qualcuno mi spieghi a cosa è servita tutta la storia dell’omicidio della bionda. A niente, è l’ennesimo evento a casaccio inserito in un calderone di sottotrame che deragliano una dopo l’altra. E vogliamo parlare della scena di inseguimento a Central Park? Una scena totalmente inutile e inverosimile, inserita probabilmente nel tentativo di aumentare il lato thriller di Limitless, visto che la pellicola fino a quel momento si era concentrata unicamente sul lato “cool” della storia. Sì perché Limitless non chiarisce mai che cosa vuole essere veramente: pervaso da uno humor scanzonato che neazzoppa e ne avvilisce il messaggio (potenzialmente) critico, il film di Burger è a tratti troppo violento e troppo serio per essere una commedia e troppo cazzone per essere un thriller. Di conseguenza rimane lì, con i piedi in due staffe, senza mai assumere una personalità definita ed efficace. Il delitto più grande di Burger è però quello di aver chiamato uno come Robert De Niro e averlo coinvolto in questa robetta di film. Il grande Bob interpreta il mammasantissima di Wall Street Carl Van Loon, un personaggio piatto e sbiadito affidato ad uno dei migliori attori di tutti i tempi, probabilmente solo per poter sparare un nome importante sul cartellone. Un solo dialogo ci ricorda che quello che stiamo guardando non è un caratterista qualsiasi ma il tizio che ha dato un volto ad un certo Vito Corleone, ma in un attimo è tutto finito, e si torna alla mediocrità imperante che caratterizza tutta la scrittura di Limitless. Che tristezza.
“Pensa agli alimenti, pensa agli alimenti, pensa agli alimenti…”
Ma allora perché questo film è piaciuto praticamente a tutti? Innanzitutto va dato merito a Bradley Cooper di essere bravo, simpatico, carismatico. Inoltre il suo Eddie è particolarmente credibile ed efficace proprio perché Cooper ha un’innata attitudine da dandy che rende le scene in cui Morra è sotto effetto di NZT estremamente naturali, proprio per il fatto che in quelle Cooper non recita, semplicemente è. Possiamo quindi ritenere che l’unica scelta azzeccata da Burger sia stato il casting per il suo personaggio principale.
Tuttavia, il vero motivo del successo di Limitless è un altro, e l’ho già detto ad inizio articolo, ma ora è il momento di riprenderlo: l’idea di base è una figata. È un qualcosa che tutti noi abbiamo sognato almeno una volta nella vita, di conseguenza non può non attirare e rimanere impressa. C’è però un problema: l’idea non è del film. Di conseguenza, nel giudicare Limitless, io non ritengo giusto far rientrare la trovata della super pillole fra i suoi meriti, in quanto quella di Burger è solo un opera di adattamento. Ed essendo a mio parere un adattamento superficiale e per la maggior parte fatto con i piedi, Limitless diventa la dimostrazione perfetta di come anche la migliore idea del mondo si possa trasformare in una vaccata. E non c’è niente che mi infastidisce di più dello spreco di un buon potenziale.
Di conseguenza, specialmente ad una prima visione, il film può risultare affascinante e divertente nella sua spigliatezza, ma se ci si ferma un momento a pensare a cosa poteva diventare un soggetto del genere nelle mani giuste, il desiderio di prendere una sedia e tirarla contro il televisore è molto forte. Ma fortunatamente la febbre non mi ha permesso di farlo, pertanto ho ritenuto che più che la sedia la mia arma ideale avrebbe potuto essere la tastiera. E devo dire che ha funzionato, almeno per il mio benessere fisico e mentale. Che bello scrivere.
“Va bene, lo ammetto, ho recitato anche in Manuale d’amore 3, ma ora non c’è bisogno che tu mi rida in faccia. Ti ricordo che in 2 single a nozze tu passi metà film sulla tazza del cesso mentre qualcun altro si ciula quella figa di Rachel McAdams, quindi fai poco lo splendido”.