
Little Sister: quando una preghiera è urlata sottovoce
La giovane suora Coleen lascia per qualche giorno il convento newyorkese per tornare nella casa di famiglia ad Asheville, Carolina del Nord, dove viene accolta con stupore da amici e parenti. La stanza è sempre la stessa, i poster raffiguranti gruppi Goth ricoprono pezzi di pareti nere e i cd metal nello stereo aspettano solo che qualcuno schiacci play, ma fuori dalla porta molte cose sono cambiate durante la sua assenza. Il fratello Jacob partito come soldato verso l’Iraq è rientrato a casa con il volto sfigurato, la madre depressa, e il padre cerca di nascondere con finti sorrisi le sue sofferenze interne.
Se dico che questo film non mi è piaciuto dico una bugia, Little Sister, così leggendo la trama, sembra un classico film strappalacrime, invece è una commedia a basso costo diretta, scritta e prodotta da Zach Clark, di genere indipendente che ha girato tra piccoli cinema e festival americani fino a ottenere un maggior successo dopo l’inserimento nell’elenco di Netflix.
Coleen, intrepretata con dolcezza da Addison Jayne Timlin, cercherà di ricucire i rapporti bruscamente tranciati nel passato provando a portare, sempre con il sorriso, un po’ di pace e misericordia, utilizzando persino metodi non proprio ortodossi.
Vengono trattati temi importanti come la guerra, la depressione, la religione, mantenendo sempre una sottile leggerezza, smascherando l’ipocrisia della società dove un reduce viene bombardato di telefonate dalla CNN, che vuole esibire le sue ferite in prima serata davanti a milioni d’americani, solo per trionfare nella battaglia dello share, mentre l’uomo non trova neanche la forza di uscire e provare a condurre una vita normale.
Jacob, un irriconoscibile Keith Poulson, sembra quasi un antieroe simile però a La Cosa dei Fantastici 4 o a un moderno Edward mani di forbice, chiuso nella sua stanza al piano superiore dove trascorre intere giornate scatenando la sua rabbia sui piatti della batteria, chiudendosi in una bolla acustica, isolandosi anche dal resto della famiglia e degli affetti.
olori nelle immagini si mischiano con le emozioni in scena, toni chiari illuminano momenti di preghiera e risate, mentre il buio avvolge lo schermo durante picchi di tensione e sconforto.
È divertente accorgersi pian piano di alcuni easter egg, inseriti qua e là, pronti a evidenziare le bugie che ognuno di noi costruisce e difende per non tradire il nostro ideale di chi e cosa vogliamo essere nella vita di tutti i giorni. In sottofondo riecheggiano le promesse della politica con la campagna elettorale di Obama del 2008 e i vecchi video dei due fratelli che, inconsapevolmente, hanno tradito i sogni che inseguivano da bambini.
Forse siamo soliti indossare maschere, guardare gli altri dietro ingombranti occhiali scuri o fingere che vada sempre tutto bene accettando passivamente tutto quello che ci succede? Potremmo anche noi rispondere sì, alla domanda se siamo dei mostri, probabilmente questa volta non avremo neanche bisogno di mentire.