Film

Lo squartatore di Los Angeles: leggere Lansdale, illudersi, restarci malissimo

Per gli amanti dell’horror, il libro che non può mancare sul comodino è La trilogia del Drive-In di Joe R. Lansdale, in cui un gruppetto di ragazzi decide di passare una serata all’insegna del terrore nel drive-in locale, e indovinate un po’?, a una certa nel drive-in in questione cominciano a succedere cose parecchio brutte. Tra i vari meriti di questo libro c’è quello di portare alla ribalta alcuni classiconi del genere: sugli schermi vengono infatti proiettati Ho fatto a pezzi la mamma, La casa, La notte dei morti viventi, non aprite quella porta e Utensili per l’omicidio, in Italia meglio noto come Lo squartatore di Los Angeles. Di questi, chez nous tre sono arcinoti, uno è ancora inedito e uno è passato talmente in sordina che lo potete trovare comodamente per intero su YouTube. Trattasi appunto de Lo squartatore di Los Angeles, che se da noi è praticamente sconosciuto negli States è un cult. Mossa dalla mia insaziabile passione per le cosacce orrorifiche, complice la prossimità di Halloween e il mio amore per lo scrittore americano, ho deciso di darmi alla visione di questa chicca direttamente dal 1978.

Ebbene, diciamo quantomeno che Lo squartatore di Los Angeles dimostra i suoi anni. Magari all’epoca era il film più spaventoso che si potesse vedere, e il fatto che fosse tratto da eventi realmente accaduti pochi anni prima probabilmente suscitava parecchio turbamento negli spettatori; però adesso fa più che altro sorridere, quando non addirittura sbadigliare. La trama dell’opera di Dennis Donnelly in breve: nella ridente metropoli californiana un maniaco psicotico si diverte ad andare in giro con una cassetta degli attrezzi, irrompere negli appartamenti di fanciulle indifese che misteriosamente non sono mai chiusi a chiave, e seviziarle con trapani, sparachiodi, puntelli e attrezzi di vario genere. Naturalmente dietro a questo piacevole ed innocuo hobby c’è un trauma pregresso, naturalmente oltre al serial killer c’è di più, naturalmente c’è una ragazza ancora più innocente delle altre da salvare.

Raccontato così, Lo squartatore di Los Angeles potrebbe essere un horror senza infamia e senza lode come tanti; si resta un po’ stupiti dal fatto che in America sia venerato, ma d’altronde lì mica hanno avuto il Rinascimento, hanno un palato meno raffinato che nel Vecchio Mondo. Quello che però lascia perplessi è la totale mancanza di ritmo: il nostro assassino procede a passi lenti, le gentili donzelle un attimo prima di morire si lanciano in svenimenti ottocenteschi, i buchi nella trama sono peggio di quelli in un groviera. Ogni tanto c’è qualche scena blandamente erotica a intervallare gli schizzi di sangue, combinazione che ai tempi rese Lo squartatore di Los Angeles vietato ai minori, ma che oggi risulta meno hard di uno spot della Pampers.

Menzione a parte per gli attori: da Cameron Mitchell a Pamelyn Ferdin, da Wesley Eure a Nicolas Beauvy, fanno tutti parte di quell’amena categoria che il compianto René Ferretti di Boris definirebbe “cani maledetti”. Sguardi fissi, risate stridule e lacrime facili: quasi il metodo Stanislavskij. Quasi.

Insomma, certe illusioni dovrebbero restare tali: un cult americano zeppo di pantaloni a zampa e tagli di capelli improbabili, per esempio, dovrebbe continuare a vivere solo nelle pagine di Lansdale. Ah, qualora ve lo stiate chiedendo: il libro è molto meglio dei film che cita.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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