
Loro 1 – Cioè non Berlusconi in sé, ma il Berlusconi in noi
Loro 1 – Sorrentino continua il suo discorso sugli uomini di potere tra Il divo, Jep Gambardella e Scorsese
Premessa: siamo qui per parlare del film, non per fare campagna elettorale, ma se vi prudono le mani o vi ha inviati Brunetta per fare del gran flame siete ovviamente i benvenuti.
Prima di andarsene, il grande Giorgio Gaber, intellettuale di sinistra da sempre in controtendenza, ci ha lasciato una di quelle frasi che hanno il potere di incidersi nella memoria collettiva e di risultare valide anche dopo molti anni:
Io non temo Berlusconi in sé, temo il Berlusconi in me.
Beh, non siamo qui a commentare Berlusconi e la sua parabola politico-giudiziaria, ma potremmo dire che il senso della prima parte del film è raccontare quella paura così efficacemente descritta dalla frase di Gaber: il Berlusconi in noi che emerge e che ormai ha contagiato un intero paese, un’intera classe politica, un intero sistema. Il Berlusconi che vediamo qui rappresentato è più che un politico: è un’icona, un marchio, un simbolo da tatuarsi sul fondoschiena, insieme a tutto quello che rappresenta.
Siamo a Taranto. Un giovane e ambizioso “imprenditore” (Riccardo Scamarcio) ha già capito che nell’Italia di Berlusconi l’unico modo per contare qualcosa è arrivare a Lui, al sultano indiscusso di un immenso suk. Qual è la sua ricetta? Donne e cocaina. Con donne e cocaina, dice Morra, in Italia si può arrivare dovunque, perfino nei più inaccessibili palazzi del potere. Le similitudini tra il personaggio di Scamarcio e Gianpi Tarantini (colui che, si sospetta, procacciava le numerose e procaci pulzelle per le cene eleganti dell’ex premier) sono fin troppo evidenti per non risultare volute.
La prima metà di Loro 1 sembra nata da una notte di sesso sfrenato (e cocaina, già che ci siamo) tra La grande bellezza, Il divo e The Wolf of Wall Street. C’è Roma, la Roma-Babilonia in cui si muoveva Jep Gambardella; alla pari de Il divo c’è il racconto di un potentissimo politico italiano visto dalla prospettiva del suo sottobosco di trombettieri, puttane, acrobati, leccaculo, poeti e giullari di corte; c’è la frenesia autodistruttiva e la cocaina a palate del penultimo film di Martin Scorsese. In Loro 1 Sorrentino sceglie così la via della gigioneggiante sottrazione per tenere a stecchetto uno spettatore che vorrebbe il Berlusconi-Servillo, solo il Berlusconi-Servillo, nient’altro che il Berlusconi-Servillo: un’ora buona in cui il Caimano c’è, ma non si vede. Se ne percepisce solo la presenza: loro ne parlano, loro ne parlano come si parlerebbe di una divinità, un essere ineffabile, intoccabile, inavvicinabile, un’entità lontana che però regge i fili di tutte le marionette grottesche di cui ci racconta Sorrentino. Loro, appunto.
Loro 1 è un film che lo guardi e non desidereresti altro (prima e unica situazione in cui si verifica ciò) che essere in compagnia di Brunetta, Emilio Fede, Gasparri, Bondi, la Santanché, la Mussolini, Sallusti, Ferrara e compagnia cantante, giusto per goderti le loro reazioni. Questo perché Sorrentino – nonostante l’iniziale messaggio auto-assolutorio in cui sostiene che il film non abbia alcun intento cronachistico – ci va giù pesante, non tanto col Berlusconi in sé, ma con tutto ciò che è figlio suo: la televisione, vergini sbrindellate affamate di popolarità, la processione multiforme di una sgargiante fauna che insegue il successo e che per il successo è disposta a vendere l’anima al diavolo o il culo al primo puttaniere di passaggio.
Berlusconi diventa così un invisibile incantatore di serpenti che, con le sue telefonate nel cuore della notte, compare sui display dei telefonini che recitano tutti un grottesco “LUI” a caratteri cubitali.
Nella seconda parte invece facciamo conoscenza dell’uomo oltre il velo (aspettate di vedere la sua entrata in scena e poi la capirete, oh se la capirete…), un Berlusconi-Servillo volutamente grottesco e caricaturale che pare uscito dalle ruggenti imitazioni dei suoi oppositori, i vari Crozza, Sabina Guzzanti eccetera. Il Berlusconi di Servillo è un gelido cartoon che recita come Gatto Silvestro e pronuncia implacabile battute che sembrano tratte pari pari dai comizi di Forza Italia. Chiudi gli occhi e ti sembra di sentirlo mentre arringa la folla anche davanti all’innocente nipotino, imprigionato nella dorata costa Smeralda a inveire contro i comunisti che gli hanno fottuto il posto, obbligato dal mondo a essere sempre e solo Silvio Berlusconi.
In pochi minuti c’è tutto il Berlusconi degli ultimi vent’anni: le donne, i suoi smaglianti sorrisi, le bugie, la megalomania, la sete di potere, la sua abilità di piacere (quasi) a tutti, il lusso sfrenato, il Milan, la politica così tanto simile a una campagna pubblicitaria, le televisioni, la capacità di poter raccontare tutto e il contrario di tutto (come recita in esergo la splendida massima di Giorgio Manganelli “Tutto documentato, tutto arbitrario”).
Oltre a questo caravanserraglio c’è anche parecchio spazio per il personaggio di Veronica Lario (Elena Sofia Ricci), donna algida e tradita che vive unicamente per farla pagare a quel marito che, però, sotto sotto ama ancora.
Dare giudizi a metà film è difficile e pertanto mi astengo dalla tentazione. Possiamo semplicemente dire che Sorrentino per ora non sta deludendo le aspettative offrendoci, come suo solito, uno spettacolo che riempie gli occhi e scalda gli animi, oltre che lasciarci percossi e attoniti. Rimaniamo dunque in attesa della seconda parte (uscirà il 10 maggio) in cui vedremo Berlusconi abbandonare il dorato esilio a villa Certosa e riprendere le vie del governo, in quel concitato biennio 2008-2010 che segnerà l’inizio di un tramonto – il suo – di cui nel 2018 non abbiamo avuto ancora piena contezza.
Di sicuro c’è questo: Loro 1 e la seconda parte faranno un gustosissimo, salutare, artistico casino.