
Loro 2 – Sorrentino e la solitudine del numero primo
Loro 2 – “I miei nemici non riescono a mettermi a fuoco: pensano che sia tutto complesso, invece è tutto semplice”.
In risposta a tutti coloro i quali sostengono che Sorrentino sia bravo solo tecnicamente, ma non sappia scrivere i film, il regista napoletano ribatte così, con uno dei suoi film meglio scritti, che surclassa la prima parte (ancora si stenta a capire il perché della divisione in due tronconi). Loro 2 inizia più o meno da dove si era concluso Loro 1, cioè da un Caimano alla ricerca del riscatto e disposto a tutto per ottenerlo, costretto a gestire – nel contempo – una crisi matrimoniale che lo porterà inesorabilmente al divorzio.
Loro 2 è un film che rispetta le aspettative del pubblico e, al contrario della prima parte, si concentra quasi esclusivamente su Berlusconi, un Berlusconi impegnato a riappropriarsi di se stesso grazie all’aiuto degli amici di sempre (Ennio Doris, Fedele Confalonieri, Mike Bongiorno), a riprendersi il suo Paese, la sua credibilità, sua moglie, il suo potere.
Loro 2 però, così come la prima parte, non è né un film politico, né la storia di una rinascita: tutt’altro, è un film crepuscolare, che – al pari di Youth – racconta in modo disincantato della vecchiaia, stavolta combattuta a suon di zoccole e festini, della paura della morte, del perdere se stessi. Memorabile a questo proposito la scena in cui Berlusconi tenta di vendere una casa che non esiste a una pensionata estratta a caso dall’elenco telefonico: per ricordare la sua grandezza il miglior piazzista di sempre deve tornare a fare ciò che sa fare meglio. Parrà paradossale, ma per scoprirsi grande Berlusconi deve continuare a ripeterselo, deve circondarsi di un corteo di lacchè e odalische che ridono sguaiatamente alle sue battute e che non lo contraddicono mai, vezzeggiandolo in cerca di qualche favore. Quello che emerge non è altro che risultato di uno smisurato (come dice uno dei senatori corrotti) senso di inferiorità che il Berlusconi di Servillo prova nei confronti del mondo. Eppure non c’è condanna nella regia di Sorrentino, solo tanta pietas per un uomo solo il quale crede alle bugie che si racconta, che si butta a capofitto in qualsiasi cosa pur di non rimanere da solo con se stesso, perché prova nei confronti del vuoto e del silenzio un terrore indicibile.
L’odore che si respira nella seconda parte di questo ottavo film (8 e ½?) di Sorrentino è un odore di formaldeide, di anziano (“L’odore delle case dei vecchi”), di morte imbalsamata che promana dai cadaveri del terremoto a L’Aquila, dalla faccia di tolla di Servillo che scimmiotta Berlusconi alla perfezione e dal codazzo di megere in topless che mettono in mostra la mercanzia (la scena dell’inno di Forza Italia è roba da pazzi) pur di avere qualcosa in cambio, sia pure un cenno, una strizzata d’occhi.
Al centro di tutto sta la rottura tra Silvio e Veronica, che mette il marito di fronte a tutti i suoi limiti, i suoi errori, le sue bugie e lo fa senza pietà, come un qualsiasi Travaglio, Scalfari o toga rossa. Berlusconi risponde come fa di solito, cioè deviando il colpo, ignorando le domande e passando al contrattacco. Cioè risponde senza rispondere e colpendo al cuore, perché anche Veronica in fondo in fondo non è senza peccato. Il 2 del titolo risulta così ancor più importante quando capiamo che Loro 2 sono proprio loro due, cioè Silvio e Veronica, coppia che scoppia a causa di venticinque anni di silenzi, bugie e chissà cos’altro. Un matrimonio che finisce proprio come tanti altri, con Silvio che rinuncia a fare i conti con se stesso e Veronica che non ha più voglia di provare a redimerlo. Ognuno va per la sua strada e Sorrentino registra il tutto, senza giudicare.
E poi c’è la solitudine, l’immensa solitudine di un immenso venditore (“il venditore è l’uomo più solo del mondo, perché parla sempre e non ascolta mai”) che deve reinventarsi ogni giorno per rimanere a galla, senza poter fare altro che indossare una maschera sopra un’altra maschera, sopra un’altra maschera ancora. Forse sta proprio qui il difetto di cui il pubblico accuserà il film di Sorrentino, cioè che si limita a descrivere le varie maschere di Berlusconi, senza riuscire a dirci chi sia veramente. Quello che però vuole dirci il regista è che il vero Berlusconi sta proprio qui: nella sua doppiezza, nella sua capacità di essere e farci allo stesso tempo, di ridere e rimanere impassibile, di piangere sorridendo, di offendersi senza offendersi (“Io non mi offendo mai”). Sta quindi nella doppiezza e nella mascheratura la vera natura di un uomo irrimediabilmente incompreso (dagli amici e – soprattutto – dai nemici), perduto, schiavo di se stesso e del suo bisogno di agire, costretto a rifugiarsi nel suo castello fatato per sopravvivere, a circondarsi di streghe e fattucchiere per perpetrare la sua magia e prestare così fede alla formidabile chiusa de La grande bellezza: “in fondo, è solo un trucco. Si, è solo un trucco”.