Uno pensa che mescolando David Fincher, il Tim Miller del primo Deadpool, fantascienza e animazione all’avanguardia venga fuori un gioiello cibernetico da indossare almeno a un ballo di gala. Non uno di quegli anelli con la caramella sopra, buoni eh, ma che andavano bene quando ci sbucciavamo le ginocchia cadendo in bici. Ecco, Love, Death & Robots è come i chewing-gum fatti a sigaretta: ti prendono subito, li vuoi da morire, ma poi il gusto sparisce troppo in fretta e ti sembra di masticare un sasso.
Ce lo dicevano sempre a scuola, no? “Può, ma non si applica”. E Love, Death & Robots può tantissimo, più di quanto potreste immaginare. E si applica poco, troppo poco.
Ora, facciamo così: prima parliamo della serie antologica Netflix in generale, poi andiamo a fare una Top 5 e Flop 5 dei suoi 18 episodi. Va bene? Sì, dai.
Love, Death & Robots è estremamente contemporanea nella sua fruizione: episodi brevi, autoconclusivi, che ti sfilano uno dopo l’altro con estrema facilità. Forse troppa. Fagocitato uno, via subito con l’altro. Ed è qui che tutto inizia a perdersi. Dei 18 cortometraggi se ne salvano davvero pochi, tolta l’animazione. Perché i diversi stili sono uno più bello dell’altro, alcuni visivamente pazzeschi (beh, per un corto c’è anche la Sony dietro), d’impatto, pronti a schiaffeggiarti gli occhi esplodendo in colori, realismo, retrofuturismo, cyberpunk. Insomma: c’è davvero tutto.
La nota dolente è, ancora e sempre, la sceneggiatura. Love, Death & Robots sembra dover sparigliare le carte, ma è tutto già visto, già sentito, già assorbito. Poca innovazione, scialba capacità di stupire, finali tronchi e mozzi lasciati a loro stessi, che si perdono, fagocitati da uno sguardo ormai allenato, che quasi si diverte a dire “ma questo l’ho già visto da un’altra parte”. E, spesso e volentieri, ha ragione. In ordine sparso: Ai confini della realtà, Gravity, Metropolis (anche quella di Rintarō), La voce delle stelle, Paprika e… l’elenco sarebbe troppo lungo.
È come se bisognasse stupire a ogni costo, dimenticandosi del tema (se mai ce ne fosse davvero uno), lasciando da parte i significati, i motivi del corto, tutto in funzione di un plot-twist finale che lascia solo sconforto. Sembra quasi che Love, Death & Robots voglia ricreare ogni volta Sentinella, splendido racconto di Fredric Brown, riuscendoci poco o niente.
Manca anche equilibrio nella serie: tantissima Death, qualche Robot e poco Love.
Perciò ora lanciamoci in una Top e Flop 5.
Top 5
Sonnie’s Edge
Il corto di apertura ti fa ben sperare. L’animazione è pazzesca, il mondo creato è subito riconoscibile, palpabile. Vorresti una serie solo su questo concept. Anche il plot-twist finale è coerente e ben orchestrato, soprattutto in funzione di un tema (la violenza, sulle donne e in generale) che permea tutta la narrazione.
Three Robots
Saremmo tutti andati avanti ore a sentire questi tre robot spararsi frecciate di black comedy, mentre fuori c’è, letteralmente, la morte. Una locura cibernetica che funziona sotto ogni aspetto. Dateci un lungo con questi tre protagonisti, subito.
Suits
Tema già visto, ma gestito bene, senza sbavature (e con pochi guizzi, in realtà). Praticamente un’applicazione del meme “non è molto, ma è un lavoro onesto”. In tutti i sensi.
The Witness
In fin dei conti un gioco, ma gestito perfettamente con regia e montaggio, dove il retrofuturismo si spande ovunque e ci tiene, comunque, agganciati fino alla fine.
Zima Blue
Forse il corto migliore di tutti. Ogni tassello incasellato nel posto giusto, dal tema, alla scrittura, all’animazione. Spigoli visivi a supporto di un intimismo così piccolo, seppur nella grandiosità delle opere create. “Bisogna godersi le piccole cose” si diceva in Zombieland, no?
Flop 5
Sucker of Souls
Forse era meglio lasciare da parte il fantasy. Questa specie di ennesima rivisitazione di Dracula serve solo a darci un po’ di gore, e uno dei tanti finali inutilmente monchi che Love, Death & Robots ha purtroppo creato.
Beyond the Aquila Rift
Oh, bello tutto eh. Bella ‘a boiserie, bello l’armadio, belle le cassapanche, bello bello bello tutto. Bravo, grazie, adesso te ne poi anna’ (cit.). Il corto è visivamente impressionante, girato bene e… con un finale telefonato di una banalità assurda. Ci aveva già pensato Kishimoto in Naruto, se proprio non vogliamo andare troppo indietro.
Fish Night
Stessa storia, stesso mare. Impatto splendido per gli occhi, scrittura senza un vero e proprio senso o guizzo. Si resta tutti lì, appesi, con un fastidioso “e quindi?” che ci ronza nelle orecchie.
Ice Age
Forse il corto peggiore di tutto Love, Death & Robots. La vaschetta della genesi di Lisa in live action, ma piatto come qualsiasi stagione de I Simpson dalla decima in poi. Non se sentiva il bisogno.
Alternate Histories
Ecco, questo fa semplicemente incazzare. Non è brutto di per sé, ma non sfrutta il suo enorme potenziale, riducendo il tutto a un giochino scemo che non soddisfa la curiosità vera dello spettatore. Perché se Hitler fosse morto in un altro momento noi vorremmo davvero sapere cosa sarebbe successo. Senza gelatine alla frutta, magari.
E quindi Love, Death & Robots ci prende all’amo, ma poi decide di ributtarci in acqua, con la padella già rovente e la tavola apparecchiata.