
Love: l’arte di provocare tra porno e film d’autore
Come si può iniziare a scrivere una recensione di un film che si apre con una scena di masturbazione molto esplicita e non è su qualche sito zozzo, ma in bella vista su Netflix? Forse tipo così: “Bambini andate a dormire, queste sono cose da grandi”. Ma ormai le cose non sono più come una volta, lo spirito di ribellione alle regole è troppo forte.
Attenzione questa recensione è adatta a un pubblico adulto, potrebbero esserci foto sconce e parolacce.
Gaspar Noè, regista franco-argentino che non ci pensa nemmeno a scendere a patti, ha portato Love al Festival di Cannes, con la voglia di scioccare un po’ tutti e di far scoppiare polemiche in difesa della creatività. Mi immagino saccenti critici e donne super truccate con la borsa da mille euro e la piega appena fatta che sedute in sala vedono sul grande schermo gli attori come mamma li ha fatti, praticamente per tutto il film. E non sono corpi fermi lì in posa, ma si danno da fare, facendo le capriole con posizioni da kamasutra. Il vero protagonista è il sesso, promiscuo, crudo e violento. La versione originale addirittura è in 3D per non lasciare proprio nulla all’immaginazione.
Murphy (Karl Glusman) è uno studente americano trasferitosi a Parigi con l’entusiasmo di un giovane regista cinematografico amante dei vecchi classici tra cui 2001: Odissea nello spazio. Oltre alla passione per la settima arte c’è quella per le donne, ma soprattutto gli piace scopare. A causa di un preservativo rotto, invece di tornare negli Stati Uniti e cancellarsi dai social network, rimane a vivere con Omi (Klara Kristin) e il figlio, obbligato ad assumersi le proprie responsabilità.
Quando il mattino del 1 Gennaio suona il telefono Murphy si accorge di non essere tanto convinto dalla sua vita, sente che qualcosa gli manca. Quel qualcosa in realtà è Elletra (Aomy Muyock) vecchio amore mai dimenticato sparito da qualche mese non solo dalla sua vita, senza lasciare tracce. Inizia così un viaggio a ritroso nei ricordi del protagonista fatto di perversione e scelte sbagliate. È un trip allucinogeno che ricorda Trainspotting, non solo per la droga, ma per la voglia di rappresentare una vita vissuta senza pensare troppo alle conseguenze.
Le scene di sesso, girate veramente sul set, vengono rappresentate senza un minimo senso d’imbarazzo o pudore. La fotografia, sicuramente, è un valore aggiunto, per come riesce a esaltare il valore dei corpi eliminando il tabù dell’atto sessuale. Sembra quasi di trovarsi davanti a un nudo artistico esposto in un museo. La potenza espressiva giustifica questo spingersi oltre.
Love non è per niente un film d’amore, non c’è neanche un pizzico di romanticismo. È voyeurismo allo stato puro, non solo per i particolari piccanti e pruriginosi esibiti in bella mostra come se nulla fosse, ma anche perché si butta uno sguardo critico dentro la vita di Murphy.
Non c’è spazio per la tenerezza, le parole non dette o la felicità. Abbandonarsi alle tentazioni per non pensare. Scopare solo per godere. L’istinto animale pronto a ingoiare i sentimenti.
Guardando questo film mi è tornato in mente Amar e mi sono accorto che praticamente era un remake. La scena al bar, il carattere del protagonista, le riprese del letto, sono uguali. La differenza è che il film spagnolo si pone dei limiti diventando appetibile più o meno a chiunque, questo invece è roba tosta. È folle, senza regole, tremendamente sfacciato.
La storia in sé, scena dopo scena, perde sempre importanza in favore di un opera d’impatto e autoreferenziale. Se Gaspar Noè avesse accettato di raccontare un amore oltre le righe optando per un’autocensura e imposizioni varie ne usciva una porcata tipo 50 Sfumature, così invece è una lode al cinema libero. Così un porno diventa un film d’autore e ogni inquadratura suscita un orgasmo.